Visita guidata a Sassari
di Mario Matteo Tola Grixoni
Piazza Duomo
La nostra visita guidata nel centro storico di Sassari inizia dalla Piazza Duomo.
Chiesa
di San Giacomo: La chiesa di San Giacomo è situata all'interno
di un cortile il cui ingresso prospetta in Via Decimario, proprio di fronte
al Duomo, tra il Palazzo Farina e il palazzo Manca di Mores, oggi Peretti.
E' dalla seconda metà del secolo XVI di proprietà della Venerabile Arciconfraternita
dell'Orazione e Morte, antica confraternita cittadina dedita alle opere
di misericordia che accetta tra i suoi membri solo persone appartenenti
alla nobiltà. E' detta anche la Canonica perché anticamente in un edificio
adiacente ad essa, fatto costruire tra il 1438 e il 1441 dall'Arcivescovo
di Sassari Pietro III Spano (1422 - 1448, fu l'ultimo Arcivescovo di Torres
e il primo di Sassari), era la canonica, dove il Corpo Capitolare della
Cattedrale viveva in vita claustrale. La chiesa, allora intitolata al
Santo Sepolcro, assolveva alle funzioni di oratorio. Il tempio ha origini
certamente più antiche, risale almeno al XIII secolo, come attesta una
lapide ritrovata durante i restauri del 1907 - 1908, oggi al Museo Sanna,
una copia della quale è possibile vedere all'interno della chiesa murata
nella parete di sinistra per chi entra dalla porta principale. In essa
è scritto <<+ANNO D. MCCLXVIIII H. OP. FACTV. TPR. DNI. PET. FAA. PEB.>>,
che va così letto: "Anno Domini 1269 hoc opus factum est tempore domini
Petro Fata plebani" (Quest'opera fu fatta nell'anno del Signore 1269 al
tempo del pievano Don Pietro Fata). Nel XV secolo il tempio venne riattato
e consolidato. Intorno alla metà del 1500 i Canonici abbandonarono la
vita comune e la chiesa e le sue pertinenze furono cedute nel 1568 all'Arciconfraternita
dell'Orazione e Morte detta in antico del Santo Sepolcro che, tra il 1600
e il 1603, ricostruì la chiesa per ben due volte - poiché non appena terminato
il primo intervento questa crollò - e le cambiò intitolazione dedicandola
al proprio Santo protettore: San Giacomo o Jago. La città contribuì alla
riedificazione con 200 ducati. La Canonica ancora per poco tempo abitata
decadde rapidamente e divenne prima il Decimario (locale dove venivano
versate le decime spettanti alla Chiesa), quindi, nella seconda metà del
XIX secolo, fu incorporata nel Palazzo Manca di Mores, edificio ampliato
da Don Simone Manca Isolero che nel 1844 ottenne anche di poter allargare
la sua casa coprendo con una volta ad arco l'ingresso del cortile della
chiesa. Opera che fu realizzata nel 1907 - 1908. Sino ad allora il cancello
era sormontato da un arco sul quale stava una nicchia in cui era collocato
un simulacro di San Giacomo. La nicchia e la statua sono oggi alloggiate
sopra la porta laterale della chiesa. |
Palazzo Manca di
Mores (oggi Peretti): Il Palazzo Manca di Mores sorge in Piazza
Duomo, presenta un elegante prospetto caratterizzato da belle finestre contornate
e da una serie di balconi, dalle ringhiere in ferro con forme geometriche,
disposti in simmetria. Al centro della facciata è lo stemma della
nobile casata. La forma attuale del Palazzo è dovuta alla ricostruzione fatta eseguire da Don Simone Manca Isolero (Sassari 1809 – 1900) secondo il Costa intorno al 1838, e verosimilmente dopo il 1840 anno in cui morì Don Diego Manca Satta dei Marchesi di Mores (1786 – 1840) padre di Don Simone. Questo personaggio è ricordato da Enrico Costa come colui che mise la propria casa, dotata di una grande sala, a disposizione della Nobiltà sassarese per i balli del carnevale del 1835. L’ala di sinistra sembra essere la parte più antica dell’edificio, essa è infatti identificabile con la “Canonica”, sorta di convento costruito tra il 1438 e il 1441 dall’Arcivescovo Pietro III Spano dove il Corpo Capitolare della Cattedrale viveva in vita claustrale. La chiesa di San Giacomo, detta del Santo Sepolcro, svolgeva allora funzioni di Oratorio per i Canonici. Non si sa esattamente quali fossero le esatte pertinenze della Canonica, certo è che quando la Chiesa e la casa in questione passarono in proprietà all’Arciconfraternita dell’Orazione e Morte il 31 marzo 1568, nell’atto di passaggio è scritto che vengono cedute alla Confraria de sa Morte… sa domu manna qui serviat innanti pro Oratoriu, et sa corte e domu… vicina alla corte de Mossen Lacanu, non incluso l’orto grande, dietro la casa dell’Oratorio; “l’orto grande” è identificabile con l’attuale giardino del Palazzo Manca di Mores. Infatti il porticato ricorda molto ciò che resta del chiostro di un convento. Non si sa in che anno la Canonica, che nel frattempo era stata trasformata in “decimario” ad uso della Curia Turritana venne ceduta ai Manca di Mores (i cui membri furono sempre Confratelli dell’Orazione e Morte), né in che anno questi la trasformarono in loro residenza. La prestigiosa dimora nobiliare è ricordata dal Padre Vittorio Angius nel Dizionario geografico storico – statistico – commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna di G. Casalis, e fu ammirato dal Della Marmora nel suo Itinerario dell’isola di Sardegna. L’interno presenta ampie sale dalle volte decorate e bellissimi camini neoclassici in marmo. |
Palazzo Farina:In
via Decimario, proprio di fronte al Duomo osserviamo il bel prospetto
del Palazzo Farina impreziosito da finestre barocche nel piano nobile
e, nella retrofacciata che prospetta nel cortile della Chiesa di San Giacomo,
da alcune gargoille tardo gotiche. Appartenne a Don Gavino Farina, nominato
Medico di Corte da Filippo IV, e quindi ai suoi eredi. Nell’Ottocento
era dello “Speziale Diez”, il quale lo ingrandì acquistando
e saturando un pezzo del cortile di San Giacomo. Non si capisce la ragione
del nome “Casa del Mercante” con il quale oggi l’edificio
è conosciuto; infatti il Diez, speziale, era appunto farmacista. |
Chiesa
di San Michele: La Chiesa è posta quasi di fronte al Duomo. L'attuale
edificio fu iniziato nel periodo "Tedesco" ossia tra il 1708 e il 1718,
decennio che vide gli austriaci dominare in Sardegna (Trattato di Utrecht,
1713, a conclusione della guerra di successione spagnola) e tradizionalmente
si vuole che sostituisca un tempio più antico dedicato a San Gavino; tradizione
sostenuta anche dal fatto che al suo interno officiò la Confraternita
di San Gavino i cui componenti erano chiamati "Bainzini" (dal sardo Bainzu
= Gavino); detta Confraternita si costituì nel 1616 in seguito al ritrovamento
delle Reliquie dei Santi Martiri Turritani nella Basilica di San Gavino
a Porto Torres, ad opera dell'Arcivescovo di Torres Don Gavino Manca Çedrelles
(1614 - 1621) nel 1614, e dalla cripta a corridoio del '600, voltata a
botte, esemplata dalla coeva cripta esistente nella Basilica di San Gavino
a Porto Torres. Nella cripta di San Michele, come in quella di San Gavino,
sono custoditi i simulacri (busti lignei) dei tre Santi Gavino, Proto
e Gianuario, oltre alle reliquie di Sant'Antioco e di Gabino, primo Vescovo
di Torres. La facciata fu terminata verso la fine del '700, probabilmente
dalle stesse maestranze che lavorarono al Palazzo Ducale, come lascia
supporre la foggia delle tre finestre poste nel secondo ordine. Attualmente
all'interno della Chiesa è ospitato l'interessante Museo Diocesano di
Arte Sacra che custodisce pregiati dipinti e diversi simulacri. |
Duomo:
Esistente sin dalla prima metà del XII secolo, il Duomo di Sassari
divenne Cattedrale della Diocesi nel 1441 quando i Vescovi Turritani abbandonarono
l’antica Chiesa di San Gavino di Porto Torres. La storia dell’edificio
è leggibile dai tanti stili architettonici usati nella sua costruzione,
sovrapposti uno all’altro ma ancora leggibili e interessante palestra
per gli amanti dell’arte. Esternamente sono chiaramente riconoscibili
il Romanico nella base del campanile; il Gotico e il Gotico-aragonese
nella sopraelevazione del campanile, nella zona presbiteriale, nelle gargoille
a foggia di animali mostruosi e nei tanti archi ogivali dalla mostra più
o meno decorata; il Rinascimentale nella serie di finestre serliane, rare
in Sardegna, oggi accecate, che compaiono nelle due facciate laterali;
il Manierismo nei portali laterali; il Barocco e il Roccocò nell’imponente
facciata e in alcuni arredi interni e il Neoclassico in diversi arredi
interni, primo fra tutti il maestoso mausoleo che lo scultore romano,
canoviano, Felice Festa eseguì nel 1807 per la sepoltura di S.A.R.
il Principe Placido Benedetto di Savoia Conte di Moriana, fratello dei
Re Carlo Emanuele IV, Vittorio Emanuele I e Carlo Felice, morto improvvisamente
a Sassari e qui sepolto.
|
Piazza del Comune
Risalendo alla sinistra del Duomo si arriva alla Piazza del Comune dove trovasi il Palazzo Ducale e a pochi metri il Palazzo Pilo (Via Santa Caterina).
Palazzo Ducale: Posto nella Piazza del Comune, alle spalle della Cattedrale di San Nicola, sorge il Palazzo Ducale, imponente costruzione voluta da Don Antonio Manca, Marchese di Mores e primo Duca dell’Asinara (dal 1755). Questi, forse perché l'antico edificio di Piazza Tola mal si prestava alla difesa personale in quanto addossato ad altre case, concepì il progetto di occupare un intero isolato, alle spalle del Duomo, in un'area urbana certamente più appartata e tranquilla. Secondo alcuni le ragioni della costruzione della nuova residenza ducale devono ricercarsi nella paura del feudatario di essere assalito nella sua casa, e nell'esigenza di dotarsi quindi di un'abitazione che lo ponesse al riparo da tale pericolo. La fabbrica può essere letta anche come risposta a una forte esigenza di tipo sociale, cioè quella di dover confermare il ruolo preminente del casato e difenderlo dall'ascesa sociale dei nuovi ceti emergenti di stampo borghese che incarnavano la colonna portante dell'economia urbana. L'edificio fu realizzato in un torno di tempo che va dal 1775 al 1805, in un'area già occupata da un "palazzo grande", di proprietà del Manca, e da altre piccole case, acquisite allora, prospettanti l'odierna Via Turritana. Il disegno si deve forse all'ingegnere piemontese Carlo Valino, la realizzazione a maestranze lombarde; lo stile unisce elementi Rococò e Neoclassici. I Manca usarono il Palazzo per poco tempo, il committente morirà prima della conclusione dei lavori e il superstite nipote, Don Vincenzo Manca, Marchese di Mores, Duca dell'Asinara e Duca di Vallombrosa, unico vero fruitore dell'edificio, si trasferirà in Francia, affittando la magione prima all'Amministrazione Provinciale e alla Prefettura poi, dal 1878, al Municipio di Sassari che lo acquisterà per 120.000 lire nel 1900. Il Palazzo rappresentò in quegli anni uno dei massimi esempi di architettura civile dell'isola, divenendo così modello per diverse realizzazioni edilizie successive. L'edificio è a pianta quadrangolare e si eleva su tre piani sia nel lato della facciata che nelle due testate, che si raccordano verso Via Turritana, sul fronte della quale si eleva un corpo più basso. La facciata si presenta scompartita da lesene e suddivisa da fasce marcapiano sulle quali corrono finestre di differenti tipologie: " Primo ordine: sovrastate da trabeazioni aggettanti; " Piano nobile: si caratterizza per timpani triangolari e curvilinei; " Ultimo piano: incorniciate da un originale motivo di gusto Rococò (doppie volute che suggeriscono un timpano spezzato). Il balcone centrale, collocato nel 1908 dal Comune, è sormontato dallo stemma Manca: Di rosso al sinistrocherio (braccio sinistro) armato d'argento movente dal fianco destro ed impugnante una spada al naturale alta in palo (ossia verticale); in punta dello scudo un elmo d'argento di fronte, semiaperto, ornato di tre penne di struzzo d'argento e d'azzurro. (Il motto della famiglia è: Labor omnia vincit). Sul coronamento corre il cornicione dotato di doccioni, che convogliano le acque piovane del terrazzo sovrastante, concluso da una balaustra. Esternamente il palazzo non ha subito sostanziali variazioni, mentre le diverse utilizzazioni hanno portato a una modifica dell'articolazione interna degli spazi che ne hanno mutato in parte l'immagine originaria. All'interno nelle sale, alcune delle quali con volte dalle decorazioni neoclassiche originali, sono conservate interessanti suppellettili, alcune già dei Manca, e preziosi quadri, appartenenti alla pinacoteca comunale. |
Carrozziera
del Duca dell'Asinara:Di fronte al Palazzo è la carrozzeria,
preesistente al Palazzo, che si caratterizza per un ampio portale sul
quale è esposto lo stemma della famiglia Manca col distico: HOC
QUOD MANCA CADENS/ MANCUM MORIENDO RELIQUIT/ MANCA VIRENS DESTRUM REDDIDIT
ALTER OPUS (Quest’opera che il Manca mancante [cadente] lasciò
monca mancando [morendo], un altro Manca fiorente rese destra [utile]),
che si riferisce al fatto che alla morte del vecchio Duca, Don Antonio,
l’opera fu completata dal giovane nuovo Duca, Don Vincenzo. |
Palazzo Pais Deliperi: Il Palazzo classicista, posto in posizione angolare, prima Pais Deliperi, appartiene alla nobile famiglia Pilo, ramo oggi dei Conti di San Pietro di Silki, che tuttora lo possiede. |
Dalla Piazza del Comune, si scende per la piazza Monsignor Mazzotti fino ad arrivare al Largo Monache Cappuccine dove si trova la Chiesa di Gesù, Giuseppe e Maria e l'annesso Convento delle Monache Cappuccine.
Chiesa Gesù,
Giuseppe e Maria (Monache Cappuccine): La Chiesa di Gesù,
Giuseppe e Maria è annessa al Convento delle Monache Clarisse Cappuccine,
per questo motivo è comunemente chiamata chiesa delle Monache o delle
Cappuccine. È posta in Via e Largo Monache Cappuccine e fu edificata in un arco di tempo che va dal 1670 – anno in cui cinque Monache: Suor Giovanna Francesca, Suor Maria Isabella Candida de Carmona Y Moreno (morta Badessa nel 1689), Suor Maria Teresa, Suor Maria Giuseppa e Suor Agnese giunsero dal Real Convento delle Cappuccine di Madrid a Sassari – al 1695. Nell’area preesisteva la chiesa di San Salvatore, edificata nel 1668 dal medico Sassarese Salvatore della Croce al posto della più antica chiesa di Sant’Eusebio, forse originariamente annessa a un Monastero di Monache Benedettine. Le suore ebbero in dono dal della Croce la chiesa e l’area annessa con alcune case; in seguito, grazie alle grosse donazioni ricevute dall’Inquisitore generale prima, da Filippo IV re di Spagna poi, e infine dal Nobile Cavaliere Don Giovanni Tola dell’Arca di antica famiglia di origine spagnola, Sindaco del Convento dal 1675, poterono edificare il Monastero e, dal 1675 – a spese di Don Giovanni Tola – riedificare completamente la chiesa, consacrata solennemente nel 1692. Nel 1695, un anno dopo la morte dell’insigne benefattore, fu completato anche l’antiportico. Attualmente la chiesa ospita la Confraternita dei SS. Misteri che organizza la Processione del Martedì Santo. La facciata è a due spioventi marcati da una sottile cornice con una croce in pietra sulla sommità. Ai lati due acroteri in pietra di forma piramidale e due caditoie per l’acqua piovana tardo rinascimentali. Nel primo ordine troviamo il portale architravato e centinato di grandi dimensioni, affiancato da due porte più piccole oggi murate. Sopra la centina sta una lapide marmorea che reca lo stemma nobiliare della famiglia del generoso benefattore Don Giovanni Tola (un toro passante rivolto a oriente), e un’iscrizione che dice:<<DEI FILIO GESU SS. GENITRICI MARIAE ET EIUS SPONSO PATRIARCHAE DIVO JOSEPH, CONVENTUS MONIALIUM CAPUCINIARUM TITOLARIBUS HOC TEMPLUM AEDIFICAVIT An. D. ni 1692 NOB. DON JOANNES TOLA. POST OBITUM EIUS MANDATO ET SEMPTIBUS PORTICUS CONSTRUCTUS EST ANNO D. ni 1695>> (Al figlio di Dio Gesù, alla Santa madre Maria e al suo Santo sposo Divino patriarca Giuseppe, titolari del Convento delle monache Cappuccine questo tempio edificò nell’anno del Signore 1692 il Nobile Don Giovanni Tola. Dopo la morte per sua volontà e a sue spese fu costruito il portico nell’anno del Signore 1695). Nel secondo ordine tre finestre, le due laterali, più piccole, oggi appaiono murate. Nel terzo, tra gli spioventi, una lunetta cieca. Varcato il portale ci si trova nell’ampio antiportico, a destra e a sinistra due porte conducono nei locali dell’annesso Convento. Lungo i muri perimetrali poggiano delle panche in pietra. Da qui un portale architravato da accesso alla chiesa. La chiesa è a navata unica scompartita in tre campate da lesene doriche, esse poggiano su un basamento e sorreggono una cornice aggettante decorata in basso da una fascia a triglifi. La volta è a botte lunettata. Nella controfacciata possiamo osservare alcune lapidi che ricordano le sepolture del Nobile dottor Girolamo Artea – Conte di Sant’Elia – morto nel 1705 e del Rev. Don Giacomo Artea – Canonico Turritano e Consultore della Santa Inquisizione – morto nel 1715. Nella prima campata a destra invece è la lapide che indica la tomba del Cavalier Don Giovanni Tola. In essa sotto lo stemma della famiglia è scritto:<<HIC IACET NOB DON JOANNES TOLA QUI AEDIFICAVIT HANC ECCLESIAM. OBYT ANNOS ETATIS SUAE 62. DIE 19 JULI 1694>> (Qui riposa il Nobile Don Giovanni Tola, che edificò questa chiesa. Morì a 62 anni di età. 19 luglio 1694). Nelle pareti della navata sono collocati alcuni dipinti tra i più interessanti della città, tra i quali un San Gerolamo della fine del ‘600, copia di un originale del Domenichino (Bologna 1581 – Napoli 1641) conservata in San Pietro a Roma; Il Martirio di San Gavino, tela seicentesca attribuita a Mattia Preti detto il Cavalier Calabrese (Taverna Calabra 1613 – La Valletta - Malta 1699) considerato unanimemente uno tra i migliori quadri presenti a Sassari; e un San Matteo e l’angelo, copia di Caravaggio, seicentesco di buona fattura probabile opera di artista romano. Tra gli arredi merita particolare attenzione l’altare maggiore, molto bello e di pregio, mirabile esempio di ancona barocca. Esso è in legno intagliato dipinto e dorato ed è composto da tre ordini scanditi da trabeazione e concluso sulla sommità da un’Aquila bicipite dell’Impero Austriaco. L’altare è un esempio di barocco classicheggiante, di derivazione italiana per alcuni storici, e di derivazione spagnola ma “secondo lo schema ispanico severo Herreriano” per altri. Anche se è possibile ammettere un’esecuzione locale, per la costruzione dell’opera si deve supporre l’arrivo dei disegni da qualche personalità del continente. L’epoca della costruzione dovrebbe essere inquadrata nell’arco di tempo che va dal 1700 al 1718, periodo in cui la Sardegna fu sotto il dominio dell’Impero, come denuncerebbe la presenza dell’Aquila bicipite nella sommità del fastigio. A meno che, come altri storici sostengono, l’Aquila bicipite non sia dovuta dal ripetersi da parte delle maestranze locali di un elemento decorativo entrato nei repertori degli intagliatori del legno come degli scalpellini della pietra locali già dall’epoca di Carlo V d’Asburgo imperatore, re di Spagna e re di Sardegna, dalla seconda metà del XVI secolo. Se così fosse si potrebbe retrodatare l’altare alla fine del XVII secolo. |
Corso Vittorio Emanuele
Visitata la Chiesa, si sfocia quindi nel Corso Vittorio Emanuele per osservare il seicentesco Palazzo Deliperi adorno di stemma gentilizio datato 1601. Di questa famiglia ricordiamo Don Simone Deliperi che ai primi del Seicento fu Giurato della Città di Sassari. Il palazzo passò poi ai Cugia Marchesi di Sant’Orsola. Più avanti la chiesa di Sant’Andrea proprietà della Confraternita del Santissimo Sacramento.
Chiesa di
Sant'Andrea:La chiesa di Sant’Andrea è l’unica
posta nel corso Vittorio Emanuele. |
Palazzo già Castiglia: Non si hanno notizie sulle originarie proprietà di questo interessante palazzo posto nel corso Vittorio Emanuele all'angolo con ciò che resta di Via dei Corsi. L'edificio grazie a dei recenti restauri ha restituito le tracce di persistenze gotiche tra le più antiche e interessanti in città e, in modo particolare, le tracce di un "porticales", elemento che caratterizzava originariamente tutta la via e nella quale erano collocate le "tiendas" dei mercanti cittadini. |
Palazzo Quesada di San Sebastiano: Il Palazzo Quesada che solo per metà apparteneva al ramo cadetto della famiglia che ottenne nel 1824 il titolo di Marchese di San Sebastiano e Conte di San Pietro, fu disegnato da Cominotti, Marchesi e Bossi. Presenta una facciata molto bella e un atrio d'ingresso assai suggestivo caratterizzato da quattro grandi colonne. |
Palazzo Frazioli già Melone:Sempre nel Corso è il prospetto principale, con evidenti persistenze gotiche, del Palazzo Melone che però ha l’ingresso, con lo scalone assai bello e interessante, in via Canopolo. Un’epigrafe con stemma, rinvenuta durante alcuni lavori di restauro nel 1872 (oggi conservata nel Museo Sanna) recita: In nomine Domini amen hoc opus fe/ cit fieri Franciscus Melone quondam/ Petri civis civita/ tis Sassari anno/ Domini 1442. |
Si imbocca quindi la Via Al Rosello dove si vedranno il Palazzo Cugia di Sant'Orsola dalla facciata secentesca recentemente restaurata che presenta degli splendidi balconi in ferro battuto e l'antico Palazzo Ledà d'Ittiri. Da qui si risale via Lamarmora dove sono il palazzo Fois poi Maramaldo dalle belle finestre settecentesche del piano nobile e dalla bella scala che, se il portone è aperto, non si può fare a meno di osservare. Appartenne a Don Antonio Fois Giudice della Reale Udienza, Alternos del Vicerè e poi Vice Intendente alla fine del Settecento. La casa passò alla figlia che aveva sposato un Maramaldo Comandante degli Invalidi; e quello Scano Ventura poi Sussarello per giungere in Piazza Tola e prendere Via Pettenadu dove nella confluenza con Via Sebastiano Satta a destra è il piacevole Palazzo Quesada con lo stemma sul portone. In Via Satta il Palazzo Manca di San Placido, dei Moros Y Molinos e quello Brunengo di Monteleone.
Palazzo Quesada:
Posto in Via Pettenadu tra la confluenza di questa con le vie Sebastiano
Satta e Ospizio Cappuccini, il Palazzetto Quesada è un bell’esempio
di architettura civile del XIX secolo che assunse l’aspetto attuale
verosimilmente in concomitanza con la costruzione del Palazzo Quesada
di San Pietro e fu probabilmente eseguito dalla stesse maestranze. |
Palazzo Scano:
In angolo con Via Pettenadu è un imponente palazzo che
alla fine dell’Ottocento era proprietà di Donna Luigia Scano
Violante e che nei primi anni del XX secolo era abitato da un ramo della
Nobile famiglia Segni. |
Palazzo Moros
y Molinos: Sempre nella Via Satta al n. 12 è il Palazzo
Moros Y Molinos sormontato dallo stemma della Nobile famiglia estinta
da molto tempo |
Ritornati nuovamente nel Corso vediamo il Palazzo di Città, il Palazzo Quesada di San Saturnino oggi Dettori Garau, interessante architettura Ottocentesca disegnata da Piretto e Bossi e compiuta nel 1847 come si evince da una lastra marmorea visibile da Via Duomo nel prospetto posteriore all'ultimo piano e le antiche persistenze gotico - aragonesi del Palazzo Montanyans o di Re Enzo.
Palazzo di
Città: Nell'area attualmente occupata dal Palazzo di Città
e dal Teatro Civico sorgeva fino al 1826 il Palazzo di Città, affacciato
sulla scomparsa piazza del Comune, a metà della Platha de Codinas,
asse centrale della città murata. Le precarie condizioni dell'edificio
medievale, come il rinnovamento urbanistico dei primi decenni dell'Ottocento
avviato dal re Carlo Felice, portarono nel 1826 alla decisione di erigere
un nuovo palazzo civico con la forma dell'attuale struttura neoclassica.
Realizzato su progetto dell'allora architetto civico Giuseppe Cominotti,
comprendeva un adeguato teatro in sostituzione delle precedenti strutture
precarie presenti in loco, disegnato a ferro di cavallo sull'esempio del
teatro Carignano di Torino, sebbene di dimensioni minori. Fra le due funzioni
dell'edificio, il privilegio concesso alla struttura teatrale ne determinò
l'inadeguatezza come palazzo comunale, portando al trasloco prima nel
Palazzo Manca di Usini nel 1879, e nell'attuale sede di Palazzo Ducale
nel 1900 . |
Palazzo Quesada di San Saturnino: Il Palazzo dei Quesada Marchesi di San Saturnino (altro ramo dell’illustre famiglia più volte citata) oggi Dettori è un’interessante architettura Ottocentesca disegnata da Gaetano Piretto e Pietro Bossi e compiuta nel 1847 come si evince da una lastra marmorea visibile da Via Duomo, nel prospetto posteriore, all’ultimo piano. Fu eretto, dopo molte insistenze della municipalità, al posto di bassi magazzini che deturpavano il Corso proprio di fronte al Palazzo di Città e in più, ospitando una fabbrica di colla, ammorbavano l’aria con le esalazioni dovute al procedimento di lavorazione. La ricostruzione del Palazzo e del Teatro Civico, avvenuta tra il 1826 e il 1830, furono la scusa per costringere il Marchese di San Saturnino, proprietario dell’area, a eliminare lo sconcio. |
Palazzo di Re Enzo
(già Montanyans, Casa Defraia e oggi Casa Guarino): Il Palazzo
è quello, in tutta la via, che ha conservato nel tempo l’aspetto
che doveva avere all’epoca della sua costruzione. Pur essendo stato
molto restaurato nel primo quarto del XX secolo, mantiene infatti le caratteristiche
dell’abitazione signorile medievale del ‘400. Per la sua vetustà
la cittadinanza lo indica come palazzo di proprietà e improbabile
residenza di Enzo di Svevia (1220 – 1272), re di Sardegna. Costui,
figlio dell’imperatore Federico II, aveva sposato Adelasia, ultima
Giudichessa di Torres o Logudoro e vedova di Ubaldo Visconti Giudice di
Gallura, assumendone entrambi i titoli e in più ottenendo dal padre
l’investitura del titolo sovrano suscitando per questo le ire del
Papa Gregorio IX che aveva la giurisdizione dell’Isola. Fatto prigioniero
nel 1249 dai Bolognesi nella battaglia di Fossalta venne rinchiuso a Bologna
nel “Palazzo di re Enzo” in Piazza Maggiore e li trascorse i
suoi giorni sino alla morte. La costruzione che sorge su un ampio loggiato e conserva bellissime finestre lavorate, nel 1925 fu decorata, nei soffitti cassettonati del piano terreno, con pitture in uno “stile sardo” con reminiscenze goticheggianti da Paolo Maninchedda (Thiesi 1884 – Sassari 1974). |
Imbocchiamo poi Via Santa Caterina dove troviamo l'omonima Chiesa.
Chiesa di Santa
Caterina (già Gesù e Maria): È la seconda
delle cinque parrocchie istituite a Sassari nel 1278 dall’Arcivescovo
Dorgodorio. L’attuale edificio non è quello che per cinque
secoli ospitò la parrocchia. La vecchia chiesa di Santa Caterina
occupava l’area di Piazza Azuni in angolo con il Largo Cavallotti.
Nel 1853 la chiesa fu demolita per ordine del Comune. Negli stessi anni
ci si pose il problema di dare una nuova sede alla parrocchia. La scelta
cadde su Gesù e Maria, officiata dai Gesuiti sino al 1848, anno in
cui questi vennero allontanati dal Regno di Sardegna. La chiesa di Gesù
e Maria assunse allora il nome di Santa Caterina e così è
ancora oggi chiamata. Santa Caterina affaccia sull’omonima piazza creata ai primi del Novecento con la demolizione del “Seminario vecchio”, un insieme di strutture quattrocentesche che occupavano l’area degli uffici comunali e quella antistante che avevano ospitato il primo Canopoleno. Venne costruita tra il 1580 e il 1607 circa, dopo che fu compiuta l’attigua casa professa dei padri Gesuiti giunti in Sardegna nel 1559. I lavori furono diretti per i primi tre anni dal padre Bernardoni, e – dopo la partenza di questo per Cracovia (1583) – conclusi da maestranze sassaresi. La facciata, unico esempio di architettura religiosa tardo rinascimentale in città, presenta gli stemmi del benefattore Arcivescovo Alfonso De Lorca (1577 – 1604) e quello della Compagnia di Gesù purtroppo molto deteriorato. In una finestra al centro è una bella vetrata raffigurante Santa Caterina d’Alessandria eseguita nel 1954 da un cartone di Filippo Figari (1885 – 1974). La facciata posteriore dà su via Canopolo ed è formata da un’ampia superficie liscia, in cui l’unica apertura è l’oculo del presbiterio, conclusa da una cornice ai lati della quale sporgono due gargoille raffiguranti animali mostruosi. La pianta della chiesa è tipicamente controriformista: a croce latina con un’unica larga navata che incrocia un transetto poco pronunciato e con cappelle laterali a pianta quadrata. All’interno spicca la differenza di stile tra pareti verticali (tardo-rinascimentali) e le coperture di cappelle e navate (gotico – catalane). Il tempio sembrerebbe costruito in due tempi e incredibilmente dall’alto verso il basso, ossia i muri dopo le volte. Il tutto è spiegato dal fatto che i gesuiti portarono da Roma oltre al progetto anche le maestranze per realizzarlo. Nel 1583, forse per carenza di fondi, le maestranze forestiere lasciarono la città e il cantiere rimase a cielo aperto. Gli operai locali che subentrarono, non conoscendo i nuovi sistemi di costruzione, utilizzarono la collaudata tecnica delle crociere costolonate gotico – catalane completando il lavoro così come da trecento anni si usava in Sardegna. Particolare è anche la cupola: essa poggia su un alto tamburo ottagonale impostato su quattro archi a sesto acuto inseriti nelle pareti; lo spazio quadrangolare è raccordato al tamburo da quattro pennacchi decorati con elementi geometrici e fitomorfi che ricordano gli intagli artigianali sardi. Santa Caterina è tra le poche chiese di Sassari che ha conservato la maggior quantità di arredi originali dell’epoca della sua costruzione, tra questi sono estremamente interessanti i dipinti seicenteschi di grandi dimensioni che raccontano scene della vita di Gesù, un tempo inseriti in un grande retablo ligneo che, sino ai primi del XIX secolo, fungeva da altare maggiore. Questi, si vuole siano tutti opera del pittore padre Johan Bilevelt, di origine fiamminga, frate Gesuita ospite della Casa di Sassari sino alla seconda metà del XVII secolo. In realtà dalle cronache sembra di capire che i pittori che si dedicarono agli arredi della chiesa furono diversi, probabilmente coordinati dal Bilevelt definito “pittore di casa”, al quale con sicurezza si può attribuire la tela dell’altare del transetto destro, una bella Incoronazione della Vergine dove appare la Fontana del Rosello. La Parrocchia di Santa Caterina da diverso tempo è accorpata a quella di San Nicola. |
Ritornati nuovamente nel Corso troviamo la casa Farris, attualmente in fase di restauro, e il retro Liberty con stemma del Palazzo Arborio Mella di Sant’Elia.
Casa Farris |
Casa Farris:
L’edificio dai forti caratteri gotico aragonesi, recentemente
restaurato, si mostra per essere l’unione di due palazzi distinti
avvenuta in epoca imprecisata. Al piano terreno sono evidenti i caratteristici
porticales, logge aperte nelle quali si esercitava il commercio sin dai
tempi più antichi e poi aboliti per ingrandire i palazzi e togliere
angoli nascosti utili ai malintenzionati per trovare rifugio nelle ore
notturne. Interessanti le finestre quattro-cinquecentesche di diverse
fogge e misure. |
Retro Palazzo
Arborio Mella: Piacevole è la retrofacciata del Palazzo
Arborio Mella di Sant’Elia che prospetta in Piazza Nazario Sauro
sul Corso. Frutto di una ristrutturazione del 1925 è in stile Liberty
e presenta lo stemma della famiglia. |
Quindi svoltiamo per Via Cesare Battisti, dove è
il Palazzo Mannu Ledà, con le settecentesche finestre del piano nobile
che riprendono il disegno di quelle del Palazzo Farina in Via Decimario, si
arriva in Piazza Tola dove sono: il cinquecentesco Palazzo Manca d’Usini
e di San Giorgio, sede della Biblioteca Comunale, dalla facciata tardo rinascimentale
e due stemmi ai lati del portale. Numerosi esponenti della famiglia Manca ricoprirono,
nel corso dei secoli, cariche civiche di spicco.
Alla sua sinistra il Palazzo Tola dalla curiosa facciata ottocentesca in stile
medievaleggiante alla Viollet-le-Duc. Spunti più interessanti e persistenze
gotiche presenta la facciata laterale in Via Lamarmora. Anche diversi esponenti
della famiglia Tola ricoprirono importanti cariche pubbliche.
Andando giù per la piazza nel lato sinistro si nota il Palazzo Arborio
Mella Conti di Sant’Elia già Artea, con stemma in facciata portante
le iniziali della Famiglia, assai in degrado ma dal portale interessante. Il
palazzo che lo precede, Casa Ferrà, presenta uno stemma con la data 1497
che nessuno storico è ancora riuscito a identificare; forse apparteneva
alla nobile famiglia Saba. Nell’altro lato della piazza un bel palazzetto,
oggi Ciceri Nigra, con un loggiato su due livelli era nell’ Ottocento
l’abitazione del Barone Tondut Vice Governatore della Città e Comandante
Militare della Piazza. Adiacente ad esso un Palazzo Quesada.
Palazzo Ledà
Mannu: Al numero 6 della Via Cesare Battisti, nota a Sassari
come “Carra Piccola” è il palazzo che appartenne a
Donna Ignazia Ledà dei Conti d’Ittiri sposata Mannu e quindi
ai suoi eredi Mannu e Dettori. Il prospetto presenta nel piano nobile
delle finestre dal disegno settecentesco che in qualche misura riprendono
quelle del Palazzo Farina di Via Decimario – Piazza Duomo. |
Piazza Tola
Fino al quarto decennio del XIX secolo Sassari mantenne l'aspetto di una città medievale. L'intero nucleo urbano era cinto dalle mura costruite nei secoli XIII e XIV e si estendeva su un'area pentagonale irregolare. Nei secoli l'ammontare della popolazione aumentò oscillando tra i 25.000 e i 15.000 abitanti, con picchi negativi o positivi (ma più negativi) in conseguenza di carestie ed epidemie. L'abitato crebbe per secoli all'interno dell'antica cerchia medievale arrivando così alla pressoché totale saturazione o riduzione degli spazi comuni quali strade e piazze. Nonostante le prime richieste (in forma di suppliche al Governo Viceregio) datassero sin dal XVII Secolo, la città ottenne di potersi ampliare oltre la cerchia medievale di mura solo a partire dal 1837. Perciò per supplire alla necessità di nuove case fu necessario sacrificare (sec XIV - XV) molte aree rimaste libere. Tale sorte toccò nel Cinquecento anche all'antica Piazza Carra Manna (poi Piazza Tola), d'età medievale, che poi si ricostituì nel XVII secolo liberando lo spazio dalle costruzioni che vi insistevano . Certamente Piazza Tola subì negli anni diverse modifiche; il 3 Novembre 1607 il Consiglio Maggiore del Comune deliberò di atterrare un palazzo che ospitava il Braccio Militare posto in mezzo alla Piazza, abitato dal Reggente, lavoro che fu eseguito nel 1608 ; venne poi ingrandita, liberandola dalla casa che ospitava la carra e da altre case che la deturpavano, tra il 1614 e il 1622 . Già vi prospettavano importanti palazzi gentilizi quali quello Manca d'Usini, l'Artea poi Sant'Elia e quello del Marchesato di Valdecalzana. Nel 1567 e nel 1608 l'inquisizione vi tenne atti pubblici d'esecuzione detti Autos de Fè . La Piazza veniva usata anche per il mercato, che diventerà stabile nel 1833, e per un breve periodo fu chiamata Piazza delle Erbe . La visita del Re Carlo Alberto alla città di Sassari nel 1841 fece sì che la Piazza venisse ulteriormente abbellita e migliorata, con lo spianamento e la conseguente eliminazione di gradini e dislivelli, tanto da farla diventare "una delle migliori località della città". Nello stesso anno si spostò altrove il mercato. Durante la visita del Sovrano la piazza era "splendidamente illuminata. Nel suo centro vedevasi una colonna, sulla quale sorgeva il busto di Sua Maestà" realizzato in cartapesta. La Piazza aveva preso il nome di Carra dalle misure del grano collocate originariamente nel porticato dell'antico Palazzo Manca di San Giorgio (o d'Usini, che doveva avere forme gotiche), una più grande, disposta verso la Piazza, e una più piccola, collocata verso Via Cesare Battisti. Da qui Carra Manna per la piazza e Carra Pizzinna per la via. Il nome rimase a lungo e ancora popolarmente viene così chiamata dai sassaresi. La carra venne spostata altrove, dopo che il Palazzo Manca, ristrutturato nel XVI secolo in forme rinascimentali, aveva perso il porticato. Nel 1848 per l'entusiasmo dovuto alla Costituzione si deliberò di intitolare la Piazza a Carlo Alberto e si aprì anche una sottoscrizione per collocarvi una statua del Sovrano, iniziativa che però non andò a buon fine. Poco dopo la morte dell'illustre Storico e Giurista Pasquale Tola, avvenuta a Genova nel 1874, la cittadinanza intitolò la Piazza alla famiglia Tola , così da poter celebrare oltre a Pasquale anche i fratelli Barone Giovanni Antonio, Giudice della Reale Udienza, letterato e poeta ed Efisio che, accusato di essere mazziniano, era stato fucilato a Chambéry nel 1833. In Piazza Tola si trovano diversi palazzi di pregevole architettura, molti dei quali appartenuti all'antica Aristocrazia cittadina.
Palazzo Manca d'Usini: L'edificio ha forme rinascimentali ed è l'unico del suo genere in Sardegna, infatti l'isola sarà toccata marginalmente dal Rinascimento. I recenti lavori di restauro hanno evidenziato la preesistenza di una più antica costruzione gotica, quella che al livello terreno doveva avere i portici nei quali, come ricorda il Costa, erano collocate le "carre". Il palazzo presenta tre piani dei quali l'ultimo è forse una sopraelevazione settecentesca. Il terreno è caratterizzato dall'imponente portale con ai lati due stemmi della famiglia Manca. Tra l'architrave del portale e la cornice aggettante è una lapide che recita: "ILLUSTRIS DON JACOBUS MANCA DOMINUS OPPIDI DE USINI - 1577". La facciata è intonacata, il portale e le cornici delle finestre sono in calcare cristallino lavorato. Passato al ramo della famiglia dei Duchi dell'Asinara e dei Marchesi di Mores il Palazzo fu venduto nel 1865 al Comune di Sassari che lo destinò a uffici della Pretura. Oggi è sede della Biblioteca Comunale. Nel 1701, nel giardino di questo palazzo, in fondo a un pozzo fu rinvenuto morto il sassarese Vescovo di Bosa Giorgio Sotgia Serra, frate Servita che arricchì di pregiati altari lignei diverse chiese dell'Isola e che a Sassari aveva voluto e finanziato la ricostruzione della chiesa di Sant'Antonio Abate . Qualche giorno dopo la sua morte arrivò in città la notizia della sua nomina ad arcivescovo Turritano. Qualcuno parlò di omicidio, altri di disgrazia o di squilibri mentali del Sotgia e quindi di suicidio. Nella facciata, a destra del portone, è murata una lapide che ricorda Giò Maria Angioy; essa recita: "A / GIOVANNI MARIA ANGIOY / RIVENDICATORE / DI LIBERTÀ DI EGUAGLIANZA / QUI DOVE I TIRANNI / VOLLERO L'ULTIMO SCEMPIO / DEI MARTIRI / IL POPOLO / MDCCCVIII - MCMVIII". La frase allude all'esecuzione del notaio Cilocco che fu impiccato nell'Agosto del 1802 dopo essere stato torturato barbaramente. Si vuole che, da una finestra del palazzo, il Duca dell'Asinara incitasse i carnefici perché incrudelissero sul malcapitato . Stipite comune a tutti i Nobili Manca di Sassari fu Giovanni che combatté valorosamente, con i fratelli Giacomo e Andrea, all'assedio di Monteleone Roccadoria nel 1436. In ricompensa di questa impresa i tre vennero infeudati in consignoria delle Ville di Thiesi, Cheremule e Bessude costituenti il Montemaggiore. Successivamente la famiglia accrescerà i suoi possessi feudali divenendo: Conti di San Giorgio (Usini e Tissi), Marchesi di Mores, Marchesi di Montemaggiore, Baroni di Ossi e, in seguito, Duchi dell'Asinara e di Vallombrosa. Un altro ramo familiare sarà quello dei Marchesi di Villahermosa, Nissa e Santa Croce. |
Palazzo Tola: Al n. 41 della Piazza è il Palazzo Tola dalla curiosa facciata ottocentesca in stile medievaleggiante alla Viollet-le-Duc. L'edificio si ritiene abbia assunto queste forme durante i restauri fatti eseguire da Pasquale Tola e dai suoi figli e nipoti nel XIX secolo. Certamente fu Pasquale che acquistò - dall'Arciconfraternita dell'Orazione e Morte di San Giacomo - e unì al Palazzo nel 1836, due case basse in Contrada del Carmine che confinavano con il Palazzo grande della vedova Donna Maria Teresa Tealdi Tola, sua madre . Le due case sono oggi parte integrante dell'edificio, ma hanno conservato ognuno la propria scala e una anche la facciata, con il portone d'accesso, che dà sulla Via La Marmora al numero 12. L'altra prospettava su un vicolo che doveva avere origine nella stessa Via La Marmora e che poi fu inglobato nell'area dello stabilimento Clemente. L'edificio ha quattro piani compreso il terreno, presenta cinque aperture per livello più una nel lato sinistro dove la facciata volta e crea un angolo della piazza. Al piano terreno sono porte centinate a tutto sesto, contornate da un marcato bugnato rustico, in trachite rossa, che prende forma ogivale; al centro è il portale d'accesso riconoscibile per le maggiori dimensioni. L'ammezzato presenta cinque finestre più una nel risvolto, così come i piani superiori, poste in asse con le aperture sottostanti. L'architrave è ad arco ribassato e il bugnato in trachite ne accentua le forme. I restanti due piani presentano finestre centinate a tutto sesto con il contorno bugnato dal disegno a sesto acuto. Tra l'ammezzato e il piano nobile è uno scudo, dove una volta era l'arma della famiglia Tola, caduta durante un temporale e mai più ricollocata. Nel lato sinistro del portone due lapidi ricordano il Giovane Tenente Efisio Tola. Esse recitano: "IN QUESTA CASA NACQUE / EFISIO TOLA / ADDÌ 15 GIUGNO 1803 / FIAMMA D'IMMENSO AFFETTO L'INVASE / AUSPICE DIO E POPOLO / PER L'UNITÀ E LIBERTÀ D'ITALIA / DECRETANTE UN CONSIGLIO MARZIALE / PIOMBO MILITARE LO SPENSE IN CIAMBERY / NEL 12 GIUGNO 1833 / LA PATRIA LE ISTORIE RAMMENTINO L'ALTO SACRIFICIO! / IL CIRCOLO LA GIOVENTÙ 1880" la prima; "NEL PRIMO CENTENARIO DELLA NASCITA / E DOPO LXX ANNI DAL SACRIFIZIO / AUSPICE L'ASSOCIAZIONE UNIVERSITARIA / LA CITTADINANZA SASSARESE / TRIBUTAVA SOLENNI ONORANZE / XIV GIUGNO MDCCCCIII" la seconda. Spunti più interessanti e persistenze gotiche presenta la facciata laterale in Via La Marmora. Qui il fronte è molto più esteso e l'analisi del paramento denuncia la preesistenza di diversi edifici gotici uniti insieme quando si è creato il Palazzo. Degni di nota sono un portale in pietra bicroma - basaltica e trachitica - e un frammento di una finestra, tardo gotica o primo rinascimento, posta tra il primo e il secondo piano nella parte destra. Altrettanto interessante è un marcapiano, con una finta archeggiatura pensile trilobata gotica, realizzata con materiale lapideo bicromo. All'interno l'atrio d'ingresso mostra delle belle decorazioni neogotiche e, su una parete dello scalone principale, un piacevole affresco che rappresenta la fontana del Rosello. La Nobile famiglia Tola (o de Tola) che fu proprietaria del palazzo è originaria della Spagna e precisamente delle Asturie. Tra i primi ad arrivare in Sardegna fu Giordano II, Alto Ufficiale, che giunse al seguito del Luogotenente Generale o Vicerè del Regno di Sardegna Ximene Perez de Arenoso. Tra i personaggi che la famiglia espresse si ricordano: Leonardo nato verso la metà del XV secolo; questi dopo aver combattuto valorosamente contro gli aragonesi per disaccordo personale contro il Vicerè Carroz accanto a Leonardo Alagon distinguendosi nella battaglia di Macomer (1477), caduto il glorioso Marchesato di Oristano, passò nella Spagna per continuarvi la carriera delle armi, e là, sotto le bandiere di Ferdinando il Cattolico, divenne celebre, contribuendo alla conquista di Granada da più secoli occupata dai mori. Infatti una mattina del mese di dicembre 1491, un saraceno di erculee forme e di torreggiante statura, si fece innanzi, provocando a duello qualunque cristiano avesse avuto il coraggio di misurarsi con lui. Leonardo Tola si sentì più di tutti offeso da quella provocazione, e si presentò subito al padiglione del Re Don Ferdinando, chiedendo che fosse a lui consentito di rintuzzare l'orgoglio dell'insolente saraceno. Ottenuto il permesso, fra lo stupore dei suoi compagni e dei combattenti, si fece avanti con passo grave e sicuro armato di una semplice corda (soga) alla cui estremità aveva rapidamente disposto un laccio. Il gigantesco moro intanto gli si avvicinava con aria di disprezzo, ma Leonardo, giunto alla distanza di pochi metri, così prontamente maneggiava la sua corda, che affibbiatogli il laccio al collo e gettatolo a terra, lo trascinava nel campo come un giovenco indomito, e mezzo soffocato lo presentava al padiglione del Monarca, fra le entusiastiche acclamazioni dell'esercito spagnolo e le grida di rabbia e di maledizione degli assediati. In premio di tanto valore, il re Don Ferdinando, decorava sul campo stesso il Tola dell'Aureo Cingolo Equestre, colmandolo di ricchezze e di onori. Lo stesso Re gli concesse il Privilegio della Generosità (cioè il riconoscimento dell'antica Nobiltà Generosa familiare) ; Giovanni Battista che fu nel 1620 Rettore dell'Università di Pisa; Giovanni, Alcaide del Porto di Torres, fondò due Cappellanie nella basilica di San Gavino di Torres, una chiesa e un collegio Gesuitico a Ozieri e, a Sassari, costruì a sue spese la Chiesa del Convento delle Monache Cappuccine e lì si fece dare sepoltura dopo la morte avvenuta a costruzione non ancora ultimata (lo stemma della famiglia è tuttora visibile sulla facciata del Tempio oltre che sulla lapide sepolcrale all'interno); Giacomo di Sassari, Teologo di Corte presso Cosimo III dei Medici, fu Vescovo di Bosa. In tempi più recenti Gavino, che fu Clavario della Città di Sassari, sposò Maria Teresa Tealdi e si trasferì a Sassari nel palazzo posto nella Carra Grande. I di lui figli: Giovanni Antonio, alto Magistrato, creato Barone nel 1842, fu un validissimo poeta. Il Siotto-Pintor nella Storia Letteraria di Sardegna dice che "...tra i nostri poeti deve avere un luogo distintissimo. Forti sono le sue idee, aggiustate ognora le frasi, lo stile affatto poetico..." e conclude: "...niente uscì dalla penna del Barone Tola che non sia più o meno degna di lode" ; Pasquale, illustre Magistrato, Deputato e insigne storico, vera gloria della città di Sassari e infine Efisio, Tenente del I Reggimento della Brigata Pinerolo di stanza a Chambéry dove, accusato di essere mazziniano, dopo un processo in cui mostrò tutto il suo valore e la sua fierezza, fu fucilato il 12 Giugno del 1833. |
Palazzo Quesada: Il grande Palazzo che segue, recentemente restaurato, nella seconda metà del XIX secolo era di proprietà dell’Ospedale Civile di Sassari. Precedentemente apparteneva al Nobile Don Francesco Quesada. Presenta quattro piani compreso il terreno e ha sei aperture per piano; le finestre architravate sono contornate da una fascia liscia e al centro è un piacevole balcone. Il cornicione di coronamento appare piuttosto aggettante. |
Palazzo Nigra Ciceri:Il
primo palazzo a sinistra guardando la Piazza da Via Pettenadu, dopo lo slargo
su Via La Marmora, probabilmente apparteneva al Nobile Don Francesco Quesada.
Da lui sarebbe passato al nipote Ignazio, Conte di San Pietro (proprietario
anche del Palazzo del Circolo Sassarese); che lo avrebbe poi venduto ai
coniugi Carolina Agnesa e Luigi Ciceri . Quest’ultimo, noto commerciante
di olio e altri prodotti della Sardegna era figlio del tipografo Andrea,
marito di Anna Maria Chiarella, che aveva creato la tipografia poi divenuta
Dessy, ancora esistente. Da lui passò alla figlia Luisa maritata
Nigra ed è tuttora proprietà dei suoi eredi. Certamente nel
1815 lo possedevano le sorelle Flores figlie del Giudice della Reale Udienza
Dottor Andrea, Assessore Civile della Città nel 1794 . Si tratta di un edificio piacevole, caratterizzato da un loggiato su due livelli, il primo dei quali comprende anche l’ammezzato, composti da quattro arcate nel primo ordine e da altrettante nel superiore. Forse sono reminescenze rimaneggiate di un più vecchio edificio gotico trasformato nella primo quarto dell’Ottocento, alcuni resti del quale affiorano nel prospetto su Via La Marmora. L’ingresso al palazzo avviene dallo slargo che unisce Piazza Tola a Via La Marmora; il portone, decentrato sulla sinistra è architravato senza decorazioni particolari. Molto più interessante la facciata sulla Piazza con il loggiato che accoglie nel secondo ordine un balcone dalla balaustra a colonnine poco profondo e ne sorregge un altro, forse frutto di una sopraelevazione più recente. Le finestre sono semplici senza nessun ornamento. In questo palazzo abitò intorno alla metà del XVIII secolo il barone Ferdinando Tondut, Comandante Militare della Piazza di Sassari e Truppa del Logudoro (Governatore). Fu un personaggio scomodo; pretendeva di avere la precedenza sull’Arcivescovo nelle occasioni ufficiali e si scontrò con il Marchese Manca di Mores perché questi non l’aveva invitato in occasione della Monacazione di una sua figlia nonostante avesse invitato anche le mogli dei dottori. Contro lo stesso Marchese ricorse addirittura al Viceré perché ad un’altra festa lo aveva invitato, anziché di persona, attraverso un servitore in livrea |
Casa Ferrà:
Il palazzo successivo, risalendo verso Via Cesare Battisti, era proprietà
del Nobile Don Giacomo Ferrà fu Pietro e delle figlie Donna Antonietta
e Donna Vittoria. Ha una facciata piuttosto semplice e sembra essere frutto
dell’unione di due edifici distinti. Nel lato sinistro mostra uno
stemma partito: nel primo all’aquila coronata rivolta a sinistra;
nel secondo alla torre aperta, finestrata e merlata, sovrastante sei piume,
tre per parte, con la data 1497 che nessuno storico è ancora riuscito
a identificare; forse apparteneva alla famiglia Saba. Piacevole il lungo
balcone dalla ringhiera in ferro battuto. |
Palazzo Arborio
Mella (Artea):Già di Don Girolamo Artea Conte di Sant’Elia
(sepolto nella chiesa delle Monache Cappuccine), il Palazzo passò
agli Arborio Mella, intorno alla metà del XVIII secolo, per il
matrimonio della sua figlia Vittoria con Giuseppe Filippo, primo della
famiglia Arborio Mella ad arrivare a Sassari. L’edificio tardo secentesco
è caratterizzato da un bel portale manierista, decentrato sulla
destra, composto da due colonne dal capitello dorico, poggianti su due
semplici plinti, che sorreggono un alto architrave decorato da triglifi
e da rosette con cinque petali, il tutto sormontato da una cornice aggettante.
Al piano terreno altre due aperture, prive di decorazioni, danno ad altrettanti
magazzini. I due piani superiori presentano ciascuno quattro finestre
semplici, disposte in coppia che lasciano libero lo spazio centrale dove
è posto uno scudo, inserito in un cartiglio, che mostra le lettere
SE (Sant’Elia) sormontate dalla corona comitale. |
Al centro della piazza il monumento a Pasquale Tola, opera dell'insigne scultore Filippo Giulianotti, autore tra l'altro anche del busto del Mazzini già alla Stazione e ora nell'Emiciclo Garibaldi. Il monumento ebbe una storia travagliata. Infatti a causa del fallimento della banca, dove erano custoditi i fondi della pubblica sottoscrizione, fu necessaria un'ulteriore raccolta che bastò a soddisfare l'artista, il quale aveva iniziato il lavoro alla fine dell'ottocento e l'aveva poi sospeso, nel 1901, a lavoro quasi finito. L'opera fu compiuta nel 1903, ma la morte improvvisa dello scultore rimandò ancora la consegna. Gli eredi del Giulianotti consegnarono la statua al comitato promotore, chiedendo in cambio una fotografia del monumento dopo l'inaugurazione. Ma i fondi erano finiti e così la statua, dentro una cassa, fu collocata (o abbandonata) in un lato della Piazza Tola, come si può vedere nelle numerose cartoline dei primi del XX secolo. Dopo un'attesa di undici anni, un rinnovato comitato dava incarico all'ingegner Domenico Cordella per la costruzione del basamento in granito sardo e la direzione dei lavori per la collocazione del monumento, che ritrae l'illustro storico seduto, al centro della piazza. Opera che il Cordella eseguì gratuitamente, ricevendo in segno di gratitudine, da parte del Comitato, un cronometro d'oro. L'inaugurazione e la consegna alla città avvennero, con grande concorso di popolo, il 1° Dicembre 1912. Sul basamento una lapide di bronzo recita: "LA SARDEGNA RICONOSCENTE / A / PASQUALE TOLA / CHE IN TEMPI ANCORA TRISTI / DOPO LUNGHI SECOLI / DI DOMINAZIONI SFRUTTATRICI E OSCURANTISTE / NE ILLUSTRÒ LE CIVILI MEMORIE / E NE DIVINÒ LA PARTECIPAZIONE / AI FASTI DEL RISORGIMENTO ITALIANO / ANNO 1912". Il Sindaco On. Filippo Garavetti nell'occasione sottoscrisse le seguenti parole con l'impegno di promessa formale: "Il Sindaco (...) (a nome della cittadinanza sassarese) accetta la preziosa offerta, promettendo che l'Amministrazione Comunale sarà sempre fedele e vigile del monumento". Cosa che purtroppo non avverrà, se si considera lo stato di incuria e abbandono in cui versa il manufatto.
Ripresa la Via Lamarmora si arriva in Via Mercato dove, si osserva il Palazzo Pilo, costruzione in collegamento con il Convento dei Padri Carmelitani. Della famiglia Pilo diversi esponenti ricoprirono cariche importanti nell'Università tra i quali, nel XVIII secolo, un Don Ignazio Angelo Maria e un Don Andrea. Proseguendo si arriva al numero 1 dove è il Palazzo Quesada di San Pietro.
Palazzo Quesada
di San Pietro: Costruito nella prima metà del XIX secolo
da Don Carlo Quesada Marchese di San Sebastiano, il Palazzo sorge in via
Mercato e fronteggia il Largo San Sebastiano. Tradizionalmente si vuole
che l’edificio fosse destinato al figlio secondogenito del Marchese,
Don Ignazio Quesada Conte di San Pietro, che effettivamente nel 1852 ne
divenne proprietario. Attualmente è proprietà Delitala –
Frassetto.
|
Proseguendo la Via Mercato si arriva alla Via Sedilo che, percorsa, ci immette nel Largo Felice Cavallotti dove al numero 13 è il Palazzo Delitala di Sedilo e Canales e poco più giù l’interessante facciata del Palazzo Diaz, il Palazzo Tomè (già Giordano) e il Palazzo Bozzo, questi ultimi due nella Piazza Azuni. Sempre dalla Piazza Azuni si può osservare nel Largo Ittiri il Palazzo Ledà d’Ittiri già Toufani di Nureci e Asuni che oltre a una pianta articolata presenta anche un’interessante facciata posteriore. Dei Ledà un don Gerolamo fu nell’Ottocento Sindaco della Città.
Palazzo Delitala
di Sedilo poi Dessì: Al n. 13 è il Palazzo che
appartenne alla Nobile famiglia Delitala Marchesi di Sedilo. Acquistato
dal noto tipografo Giuseppe Dessì alla fine del XIX secolo fu parzialmente
ricostruito per gli usi della tipografia, che divenne in breve tempo una
delle più importanti dell’Isola. Vi abitò sino alla
morte il famoso pittore Stanis Dessy (Arzana 1900 – Sassari 1986),
marito di una nipote del tipografo Dessì. |
Palazzo Diaz:
L’interessante immobile fu edificato intorno al 1891 per ospitare
nel prospetto sul Largo Cavallotti la Ditta Bancaria Fratelli Costa, fondata
a Sassari nel 1887 dai fratelli Domenico e Giovanni Battista Costa Bozzo,
originari di Santa Margherita Ligure, come emanazione della Francesco
& Antonio fratelli Costa della quale i due erano titolari. |
Palazzo Bozzo: L’imponente palazzo fu costruito intorno agli anni ’70 del XIX secolo in stile genovese, con ammezzati tra un piano e l’altro, da maestranze fatte arrivare appositamente da Genova, dai fratelli Giovanni Battista e Luigi Bozzo Costa, originari di Santa Margherita Ligure che, con altri parenti, erano giunti in Sardegna nella prima metà dell’800 dando vita a numerose attività commerciali con proficui scambi tra l’Isola e la Liguria, specializzandosi infine nella commercializzazione del caffè. Il palazzo presenta un prospetto piuttosto elaborato con bugnato e grandi archi che comprendono due livelli. L’ingresso agli appartamenti avviene dal Vicolo Bertolinis, riservando per uso delle attività commerciali i grandi locali presenti nel prospetto principale. Ancora oggi appartiene in parte agli eredi Bozzo. |
Palazzo Tomè (già Giordano): L'immobile, nella seconda metà dell'800, appartenne al Barone Cesare Giordano Apostoli (1832 - 1920) e al fratello Andrea (1833 - 1924). A metà anni '20 del XX secolo, venne acquistato dal Commendator Giuseppe Tomè (1890 - 1966), commerciante e collezionista d'arte, che alla morte nominò suo erede il Comune di Sassari. |
Palazzo Ledà:
Nel Largo Ittiri, al n. 7 è un bell’edificio conosciuto come
Palazzo dei Conti Ledà d’Ittiri. Nel passato era proprietà
di Don Francesco Mearça Conte di Nureci e Asuni. Passò poi
per successioni ereditarie ai Ledà d’Ittiri e ai Palici (Paliacho)
di Suni Marchesi della Planargia. In antichità sembra fosse la
dimora della nobile famiglia Garrucho. |
Risalendo Largo Cavallotti si nota sulla destra la Chiesa della Madonna del Rosario. Al termine di Largo Cavallotti si arriva nella Piazza Castello e risalendo ancora si arriva in Piazza Italia dove si trovano, tra gli altri, il Palazzo della Provincia ed il Palazzo Giordano.
Chiesa della Madonna
del Rosario: L’edificio fu edificato tra il 1632 e il 1635
dalla Confraternita del Santissimo Rosario e nacque insieme al Convento
dei frati Domenicani che era situato nell’area attigua, oggi occupata
dal Palazzo delle Poste (progetto dell’architetto Cippelli 1922);
nel 1682 venne rimaneggiata la navata e tra il 1683 e il 1686 vennero decorate
in stucco le cappelle laterali. Dell’interno si ammira la coerenza degli arredi, realizzati tutti in pietra e stucco a simulare preziose sculture e finte tarsie marmoree – salvo l’altare maggiore in legno intagliato, dipinto e dorato – con la volontà tutta barocca dei costruttori di voler stupire, impressionare e ingannare. Presenta un’unica navata, affiancata da tre cappelle per lato, con profondo presbiterio a pianta quadrata, il tutto è voltato a botte. I recenti restauri hanno restituito al Tempio l’aspetto che aveva alla fine del ‘600 e hanno messo in luce le scritte originali dei cartigli presenti sopra ogni altare, cosa che ha permesso di riscoprire il disegno liturgico originario dell’edificazione della Chiesa. Gli altari sono tutti simili, in stucco e, così come le pareti e la volta, sono dipinti a simulare il marmo. Nel presbiterio possiamo ammirare quello che forse è il più bel retablo ligneo della Sardegna, un tripudio di decorazioni fitomorfe dorate su fondo grigio perlaceo, opera seicentesca di maestranze locali. Finito di costruire a Sassari nel 1696, è alto 13 metri e largo 8. Negli altari laterali sono collocati diversi dipinti di prestigio risalenti per lo più al XVII secolo. |
Chiesa della Madonna del Rosario |
Piazza Castello: |
Caserma della
Brigata Sassari (Piazza Castello): Intitolata al Generale Alberto
Ferrero della Marmora, fu costruita in stile Umbertino sulle macerie del
distrutto castello nella seconda metà del XIX secolo. Sede del
152° Brigata Sassari, al suo interno è custodito il Museo Storico
della gloriosa Brigata. Nel cortile sono un pozzo con un cunicolo sotterraneo
e, murati alle pareti, cinque antichi stemmi, salvati dalla demolizione
dell’antica fortezza. |
Piazza Italia
Il Piano di ingrandimento e abbellimento della città
di Sassari fu disegnato nel 1829 dall'architetto regio Giuseppe Cominotti e
ridefinito in dettaglio dall'ingegner Enrico Marchesi nel 1836. L'ingrandimento
della città e l'edificazione fuori dalle mura furono concessi dal sovrano
Carlo Alberto con un Regio Pregone, seguito dal decreto prescrittivo del 1838.
Piazza d’Italia nasce grazie al Piano Urbanistico che prevedeva, oltre
a vari interventi sul centro storico e la cinta muraria, anche la creazione
di due piazze, una circolare, nell'area del pozzo di rena, realizzata solo per
metà e denominata poi Emiciclo Garibaldi, e una ottagonale, circondata
da edifici porticati e in asse col piano del castello dalla quale partivano
quattro vie. Solo successivamente la piazza assumerà nelle carte l’odierna
forma quadrangolare. Dei portici previsti se ne realizzarono soltanto una piccola
parte, limitata agli edifici che uniscono Piazza Castello a Piazza d’Italia,
le classicheggianti case Quesada-Mannu a sinistra e Basso, poi Saccomanno, a
destra.
Realizzata materialmente a partire dal 1872, dalle dimensioni di un ettaro esatto,
la piazza si caratterizzò subito per le eleganti architetture Umbertine
che le fanno tutt’oggi da contorno. Quella d’angolo con la Via Roma
a destra, e con ingresso in quest’ultima, appartenne ad Antonio Segni
(Sassari 1891 – Roma 1972), Ministro e poi Presidente della Repubblica
Italiana, che qui visse prima di trasferirsi nel Palazzo Carta di Viale Umberto,
proprietà della famiglia della moglie.
Nel 1890 un apposito comitato volle erigere una statua al “Padre della
Patria” Vittorio Emanuele II. Si decise di affidare l'esecuzione dell'opera
allo scultore Giuseppe Sartorio (Boccioleto 1854 - Mar Tirreno 1922) e di collocarla
al centro della piazza. Il 4 maggio 1896 si aprì una sottoscrizione pubblica
per finanziare il basamento della statua, ormai ultimata. Il monumento fu completato
nel luglio 1898; l’opera è alta 4,50 metri su una base di metri
7,45 di altezza e 6,10 di lato. La cerimonia di inaugurazione avvenne il 19
Aprile 1900 in concomitanza con la visita alla città dei sovrani, il
re Umberto I con la regina Margherita.
Palazzo Quesada: | Palazzo Quesada |
Palazzo Giordano:
Attuale sede della Banca Intesa–San Paolo, venne costruito a partire
dal novembre del 1877 per conto del Nobile Giuseppe dei Baroni Giordano
Apostoli, Deputato e Senatore e fondatore del quotidiano La Sardegna (era
marito di Enedina Sanna, una delle ricchissime figlie dell’imprenditore
e Deputato Giovanni Antonio Sanna) su progetto dell'ingegnere Giuseppe Pasquali
al quale subentrò l'architetto Luigi Fasoli, che ne curò tutti
i dettagli e le decorazioni. L'edificio in stile neogotico si articola su tre livelli caratterizzati da un bugnato rustico in trachite al piano terreno e da un intonaco dipinto a fasce bicrome (oggi assai attenuate) negli alzati. Porte e finestre sono archiacute, ridotte a eleganti bifore trilobate nel piano nobile. Il profilo del palazzo è accentuato dalla presenza di lesene con fregio e, al di sotto del cornicione aggettante che regge il coronamento balaustrato, originariamente decorato da una teoria di busti marmorei, vi è una lunga serie di archetti pensili archiacuti. Le sfarzose sale interne sono anch'esse decorate e arredate in stile neogotico, ricche di fregi, stucchi e importanti affreschi realizzati dal pittore Guglielmo Bilancioni (Rimini 1836 – 1907) Nel passaggio di proprietà avvenuto nel 1921 a favore del Banco di Napoli si è conservato gran parte del lussuoso arredo interno originario, realizzato dalla ditta sassarese dei Fratelli Clemente, la stessa che integrerà il mobilio per uso della banca. |
Palazzo Lombardo e Ponzeveroni - Viale: |
Palazzo Lombardo
e Ponzeveroni - Viale: |
Palazzo De Vita: |
Palazzo De
Vita: Costruito e abitato sino alla morte da Proto Tola Delitala,
venne successivamente venduto dagli eredi ad Achille De Vita. |
Palazzo Basso (poi Saccomanno): | Palazzo Basso (poi Saccomanno) |
Palazzo della
Provincia: Nel 1872 il Consiglio Comunale concesse gratuitamente
l'area per l'erezione del Palazzo della Provincia. Si decise quindi di
costruire un palazzo di grande dignità e decoro in uno stile neoclassico
molto accademico, stanziando l'importante somma di 600.000 lire. |
Con la visita al Palazzo della Provincia, ed in particolare agli appartamenti reali, termina il nostro itinerario.