Visita guidata a Sassari

di Mario Matteo Tola Grixoni

Piazza Duomo

La nostra visita guidata nel centro storico di Sassari inizia dalla Piazza Duomo.

 

Chiesa di San Giacomo: La chiesa di San Giacomo è situata all'interno di un cortile il cui ingresso prospetta in Via Decimario, proprio di fronte al Duomo, tra il Palazzo Farina e il palazzo Manca di Mores, oggi Peretti. E' dalla seconda metà del secolo XVI di proprietà della Venerabile Arciconfraternita dell'Orazione e Morte, antica confraternita cittadina dedita alle opere di misericordia che accetta tra i suoi membri solo persone appartenenti alla nobiltà. E' detta anche la Canonica perché anticamente in un edificio adiacente ad essa, fatto costruire tra il 1438 e il 1441 dall'Arcivescovo di Sassari Pietro III Spano (1422 - 1448, fu l'ultimo Arcivescovo di Torres e il primo di Sassari), era la canonica, dove il Corpo Capitolare della Cattedrale viveva in vita claustrale. La chiesa, allora intitolata al Santo Sepolcro, assolveva alle funzioni di oratorio. Il tempio ha origini certamente più antiche, risale almeno al XIII secolo, come attesta una lapide ritrovata durante i restauri del 1907 - 1908, oggi al Museo Sanna, una copia della quale è possibile vedere all'interno della chiesa murata nella parete di sinistra per chi entra dalla porta principale. In essa è scritto <<+ANNO D. MCCLXVIIII H. OP. FACTV. TPR. DNI. PET. FAA. PEB.>>, che va così letto: "Anno Domini 1269 hoc opus factum est tempore domini Petro Fata plebani" (Quest'opera fu fatta nell'anno del Signore 1269 al tempo del pievano Don Pietro Fata). Nel XV secolo il tempio venne riattato e consolidato. Intorno alla metà del 1500 i Canonici abbandonarono la vita comune e la chiesa e le sue pertinenze furono cedute nel 1568 all'Arciconfraternita dell'Orazione e Morte detta in antico del Santo Sepolcro che, tra il 1600 e il 1603, ricostruì la chiesa per ben due volte - poiché non appena terminato il primo intervento questa crollò - e le cambiò intitolazione dedicandola al proprio Santo protettore: San Giacomo o Jago. La città contribuì alla riedificazione con 200 ducati. La Canonica ancora per poco tempo abitata decadde rapidamente e divenne prima il Decimario (locale dove venivano versate le decime spettanti alla Chiesa), quindi, nella seconda metà del XIX secolo, fu incorporata nel Palazzo Manca di Mores, edificio ampliato da Don Simone Manca Isolero che nel 1844 ottenne anche di poter allargare la sua casa coprendo con una volta ad arco l'ingresso del cortile della chiesa. Opera che fu realizzata nel 1907 - 1908. Sino ad allora il cancello era sormontato da un arco sul quale stava una nicchia in cui era collocato un simulacro di San Giacomo. La nicchia e la statua sono oggi alloggiate sopra la porta laterale della chiesa.
Il cancello che da accesso al cortile del tempio è sormontato da una lunetta in cui compaiono i simboli della Confraternita: la clessidra, il teschio con due ossa incrociate e una croce. Sopra la centina dell'arco, incisa in una lastra di marmo, è la scritta <>. Attraversato l'archivolto ci si trova nel cortile davanti alla porta laterale del tempio sormontata da una nicchia con il simulacro di San Giacomo; il tutto disegnato dal pittore P. Bossi nel 1840. L'architrave della porta è oggi rovinato da un malaccorto restauro. Quella che abbiamo di fronte è la fiancata laterale destra, segnata da tre possenti contrafforti e da un campanile a vela molto grazioso che presenta anch'esso un teschio con due femori incrociati. Dal cortile molto bello si può vedere il retro della casa Farina, assai interessante; di particolare fascino sono le gargoille, ovvero caditoie per l'acqua piovana a forma di teste mostruose, che si possono osservare sotto il cornicione. La facciata della chiesa è piuttosto semplice, a capanna delimitata da paraste. il timpano presenta alla base una cornice aggettante. Il portale architravato è sormontato da un arco di scarico e da un'ampia finestra centinata. In angolo con la facciata, a sinistra, è la così detta Casa del Rettore della metà del XIX secolo dalla facciata classicista. La chiesa attuale, come detto, fu costruita ai primi del '600; essa è composta da una sola navata voltata a botte lunettata con quattro finestre centinate realizzate nel 1908, quindi l'arco trionfale. Questo era a tutto sesto e, nei restauri del 1907 - 1908 che interessarono tutto il complesso, sulla sua centina furono posti due angeli in stucco sorreggenti un cartiglio con due scritte e sopra lo stemma del Pontefice Pio X allora regnante. Le scritte recitavano: <> (Glorificò il suo Santo Signore) ancora visibile, e più sotto un altro angioletto recava un'altra scritta: <> (e Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo e impose ad essi i nomi di "figli del tuono") scomparsa con gli ultimi interventi di restauro che hanno dato all'arco trionfale un'arbitraria forma a sesto acuto. Oltre l'arco è il presbiterio formato da un ambiente a pianta quadrangolare voltato a crociera, illuminato da tre finestre, di un gotico molto tardo, certamente preesistente al resto dell'edificio, ma non di molto. Esso è rialzato dalla navata dalla quale era separato da una balaustra marmorea a colonnine, realizzata nel 1908 in sostituzione dell'originale lignea che si trovava in condizioni assai precarie. L'altare, anch'esso risalente al 1908, era in muratura in stile neogotico; era assai elevato e presentava sulla sua sommità la grande statua in stucco di San Giacomo, attualmente posta al centro su un basamento. Questi manufatti, verosimilmente opera dello scultore piemontese G. Sartorio (Boccioleto Valsesia 1864 - scomparso in mare tra Olbia e Civitavecchia nel 1922) attivo in Sardegna a cavallo tra il XIX e il XX secolo, non esistono più demoliti dal piccone dell'ultimo restauro "filologico". A destra del presbiterio due porte danno accesso alla sacrestia, ove è conservato un bel mobile paratore ascrivibile al '600 che, purtroppo, dopo il recente restauro ha conservato poco dell'originale. La chiesa conserva molti arredi sacri di pregio, tra cui spiccano: dei candelabri lignei secenteschi, quattro composizioni di fiori da altare (palme) settecentesche, diversa argenteria, vari simulacri e un magnifico tronetto per l'esposizione del Santissimo Sacramento di area veneta o austriaca della fine del XVII secolo o dei primi di quello successivo.

Palazzo Manca di Mores (oggi Peretti): Il Palazzo Manca di Mores sorge in Piazza Duomo, presenta un elegante prospetto caratterizzato da belle finestre contornate e da una serie di balconi, dalle ringhiere in ferro con forme geometriche, disposti in simmetria. Al centro della facciata è lo stemma della nobile casata.
La forma attuale del Palazzo è dovuta alla ricostruzione fatta eseguire da Don Simone Manca Isolero (Sassari 1809 – 1900) secondo il Costa intorno al 1838, e verosimilmente dopo il 1840 anno in cui morì Don Diego Manca Satta dei Marchesi di Mores (1786 – 1840) padre di Don Simone. Questo personaggio è ricordato da Enrico Costa come colui che mise la propria casa, dotata di una grande sala, a disposizione della Nobiltà sassarese per i balli del carnevale del 1835.
L’ala di sinistra sembra essere la parte più antica dell’edificio, essa è infatti identificabile con la “Canonica”, sorta di convento costruito tra il 1438 e il 1441 dall’Arcivescovo Pietro III Spano dove il Corpo Capitolare della Cattedrale viveva in vita claustrale. La chiesa di San Giacomo, detta del Santo Sepolcro, svolgeva allora funzioni di Oratorio per i Canonici. Non si sa esattamente quali fossero le esatte pertinenze della Canonica, certo è che quando la Chiesa e la casa in questione passarono in proprietà all’Arciconfraternita dell’Orazione e Morte il 31 marzo 1568, nell’atto di passaggio è scritto che vengono cedute alla Confraria de sa Morte… sa domu manna qui serviat innanti pro Oratoriu, et sa corte e domu… vicina alla corte de Mossen Lacanu, non incluso l’orto grande, dietro la casa dell’Oratorio; “l’orto grande” è identificabile con l’attuale giardino del Palazzo Manca di Mores. Infatti il porticato ricorda molto ciò che resta del chiostro di un convento.
Non si sa in che anno la Canonica, che nel frattempo era stata trasformata in “decimario” ad uso della Curia Turritana venne ceduta ai Manca di Mores (i cui membri furono sempre Confratelli dell’Orazione e Morte), né in che anno questi la trasformarono in loro residenza.
La prestigiosa dimora nobiliare è ricordata dal Padre Vittorio Angius nel Dizionario geografico storico – statistico – commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna di G. Casalis, e fu ammirato dal Della Marmora nel suo Itinerario dell’isola di Sardegna.
L’interno presenta ampie sale dalle volte decorate e bellissimi camini neoclassici in marmo.

Palazzo Farina:In via Decimario, proprio di fronte al Duomo osserviamo il bel prospetto del Palazzo Farina impreziosito da finestre barocche nel piano nobile e, nella retrofacciata che prospetta nel cortile della Chiesa di San Giacomo, da alcune gargoille tardo gotiche. Appartenne a Don Gavino Farina, nominato Medico di Corte da Filippo IV, e quindi ai suoi eredi. Nell’Ottocento era dello “Speziale Diez”, il quale lo ingrandì acquistando e saturando un pezzo del cortile di San Giacomo. Non si capisce la ragione del nome “Casa del Mercante” con il quale oggi l’edificio è conosciuto; infatti il Diez, speziale, era appunto farmacista.


Chiesa di San Michele: La Chiesa è posta quasi di fronte al Duomo. L'attuale edificio fu iniziato nel periodo "Tedesco" ossia tra il 1708 e il 1718, decennio che vide gli austriaci dominare in Sardegna (Trattato di Utrecht, 1713, a conclusione della guerra di successione spagnola) e tradizionalmente si vuole che sostituisca un tempio più antico dedicato a San Gavino; tradizione sostenuta anche dal fatto che al suo interno officiò la Confraternita di San Gavino i cui componenti erano chiamati "Bainzini" (dal sardo Bainzu = Gavino); detta Confraternita si costituì nel 1616 in seguito al ritrovamento delle Reliquie dei Santi Martiri Turritani nella Basilica di San Gavino a Porto Torres, ad opera dell'Arcivescovo di Torres Don Gavino Manca Çedrelles (1614 - 1621) nel 1614, e dalla cripta a corridoio del '600, voltata a botte, esemplata dalla coeva cripta esistente nella Basilica di San Gavino a Porto Torres. Nella cripta di San Michele, come in quella di San Gavino, sono custoditi i simulacri (busti lignei) dei tre Santi Gavino, Proto e Gianuario, oltre alle reliquie di Sant'Antioco e di Gabino, primo Vescovo di Torres. La facciata fu terminata verso la fine del '700, probabilmente dalle stesse maestranze che lavorarono al Palazzo Ducale, come lascia supporre la foggia delle tre finestre poste nel secondo ordine. Attualmente all'interno della Chiesa è ospitato l'interessante Museo Diocesano di Arte Sacra che custodisce pregiati dipinti e diversi simulacri.


Duomo: Esistente sin dalla prima metà del XII secolo, il Duomo di Sassari divenne Cattedrale della Diocesi nel 1441 quando i Vescovi Turritani abbandonarono l’antica Chiesa di San Gavino di Porto Torres. La storia dell’edificio è leggibile dai tanti stili architettonici usati nella sua costruzione, sovrapposti uno all’altro ma ancora leggibili e interessante palestra per gli amanti dell’arte. Esternamente sono chiaramente riconoscibili il Romanico nella base del campanile; il Gotico e il Gotico-aragonese nella sopraelevazione del campanile, nella zona presbiteriale, nelle gargoille a foggia di animali mostruosi e nei tanti archi ogivali dalla mostra più o meno decorata; il Rinascimentale nella serie di finestre serliane, rare in Sardegna, oggi accecate, che compaiono nelle due facciate laterali; il Manierismo nei portali laterali; il Barocco e il Roccocò nell’imponente facciata e in alcuni arredi interni e il Neoclassico in diversi arredi interni, primo fra tutti il maestoso mausoleo che lo scultore romano, canoviano, Felice Festa eseguì nel 1807 per la sepoltura di S.A.R. il Principe Placido Benedetto di Savoia Conte di Moriana, fratello dei Re Carlo Emanuele IV, Vittorio Emanuele I e Carlo Felice, morto improvvisamente a Sassari e qui sepolto.
La facciata, elemento caratterizzante l’edificio, fu costruita a partire dal 1686 a cura dei milanesi Baldassarre Romero e Giovanni Battista Corbellini, e fu compiuta nel 1714.
Essa mostra un primo ordine formato da tre grandi archi che costituiscono un particolare portico voltato con volte a crociere dalla nervature particolarmente complicate che rimandano all’ultima fase del Gotico internazionale che in questo caso si vuole aragonese; il secondo ordine appare più stretto del sottostante e presenta tre campi dal bugnato liscio divisi da lesene; nelle tre nicchie presenti nelle specchiature sono i simulacri litici dei tre Martiri Turritani San Gavino, San Proto e San Gianuario, esemplati dal San Gavino d’argento, simulacro barocco eseguito a Città del Messico donato all’Arciconfraternita dell’Orazione e Morte di San Giacomo da Don Gavino Farina nella prima metà del ‘600, custodito all’interno della stessa Cattedrale il primo, e dalle due piccole statue in legno argentato seicentesche conservate nella Chiesa di San Giacomo gli altri due. Al centro è la torre simbolo della Diocesi con la scritta FIAT PAX 1714.
Il terzo ordine è costituito dal frontone curvilineo con al centro una grande nicchia che ospita il simulacro di San Nicola, sul tutto è il Padre Eterno Benedicente.
I rimandi stilistici più in voga rimanderebbero a un barocco di derivazione leccese, sembra più proprio parlare però di un barocco iberico di chiaro impianto plateresco, si può affermare infatti, senza tema di smentita, che gli artefici della facciata volessero proporre in pietra qualcosa di simile ai tanti altari lignei presenti in moltissime chiese della Sardegna.
L’interno come già accennato presenta arredi di indubbio valore nei più diversi stili, degni di nota sono senz’altro il dipinto che raffigura la Madonna del Bosco, tavola medievale d’impianto senese collocata nell’Altare Maggiore; il Battesimo del Cristo del Rapous della metà del XVIII secolo, il Martirio dei Santi Cosma e Damiano, eccelsa pittura attribuita ora al manierista fiorentino Bacio Gorini, ora alla scuola dei Carracci, ora addirittura al romano Carlo Maratta, a testimoniare il valore dell’opera. Interessanti sono anche le opere del Cagliaritano Giovanni Marghinotti della metà del XIX secolo.
Particolarmente affascinante è poi il coro ligneo, vero capolavoro di ebanisteria locale e le architetture della sacrestia sinistra, dove è attualmente esposta la sezione degli argenti del Museo Diocesano di Arte Sacra.




Piazza del Comune

Risalendo alla sinistra del Duomo si arriva alla Piazza del Comune dove trovasi il Palazzo Ducale e a pochi metri il Palazzo Pilo (Via Santa Caterina).

Palazzo Ducale: Posto nella Piazza del Comune, alle spalle della Cattedrale di San Nicola, sorge il Palazzo Ducale, imponente costruzione voluta da Don Antonio Manca, Marchese di Mores e primo Duca dell’Asinara (dal 1755). Questi, forse perché l'antico edificio di Piazza Tola mal si prestava alla difesa personale in quanto addossato ad altre case, concepì il progetto di occupare un intero isolato, alle spalle del Duomo, in un'area urbana certamente più appartata e tranquilla. Secondo alcuni le ragioni della costruzione della nuova residenza ducale devono ricercarsi nella paura del feudatario di essere assalito nella sua casa, e nell'esigenza di dotarsi quindi di un'abitazione che lo ponesse al riparo da tale pericolo. La fabbrica può essere letta anche come risposta a una forte esigenza di tipo sociale, cioè quella di dover confermare il ruolo preminente del casato e difenderlo dall'ascesa sociale dei nuovi ceti emergenti di stampo borghese che incarnavano la colonna portante dell'economia urbana. L'edificio fu realizzato in un torno di tempo che va dal 1775 al 1805, in un'area già occupata da un "palazzo grande", di proprietà del Manca, e da altre piccole case, acquisite allora, prospettanti l'odierna Via Turritana. Il disegno si deve forse all'ingegnere piemontese Carlo Valino, la realizzazione a maestranze lombarde; lo stile unisce elementi Rococò e Neoclassici. I Manca usarono il Palazzo per poco tempo, il committente morirà prima della conclusione dei lavori e il superstite nipote, Don Vincenzo Manca, Marchese di Mores, Duca dell'Asinara e Duca di Vallombrosa, unico vero fruitore dell'edificio, si trasferirà in Francia, affittando la magione prima all'Amministrazione Provinciale e alla Prefettura poi, dal 1878, al Municipio di Sassari che lo acquisterà per 120.000 lire nel 1900. Il Palazzo rappresentò in quegli anni uno dei massimi esempi di architettura civile dell'isola, divenendo così modello per diverse realizzazioni edilizie successive. L'edificio è a pianta quadrangolare e si eleva su tre piani sia nel lato della facciata che nelle due testate, che si raccordano verso Via Turritana, sul fronte della quale si eleva un corpo più basso. La facciata si presenta scompartita da lesene e suddivisa da fasce marcapiano sulle quali corrono finestre di differenti tipologie: " Primo ordine: sovrastate da trabeazioni aggettanti; " Piano nobile: si caratterizza per timpani triangolari e curvilinei; " Ultimo piano: incorniciate da un originale motivo di gusto Rococò (doppie volute che suggeriscono un timpano spezzato). Il balcone centrale, collocato nel 1908 dal Comune, è sormontato dallo stemma Manca: Di rosso al sinistrocherio (braccio sinistro) armato d'argento movente dal fianco destro ed impugnante una spada al naturale alta in palo (ossia verticale); in punta dello scudo un elmo d'argento di fronte, semiaperto, ornato di tre penne di struzzo d'argento e d'azzurro. (Il motto della famiglia è: Labor omnia vincit). Sul coronamento corre il cornicione dotato di doccioni, che convogliano le acque piovane del terrazzo sovrastante, concluso da una balaustra. Esternamente il palazzo non ha subito sostanziali variazioni, mentre le diverse utilizzazioni hanno portato a una modifica dell'articolazione interna degli spazi che ne hanno mutato in parte l'immagine originaria. All'interno nelle sale, alcune delle quali con volte dalle decorazioni neoclassiche originali, sono conservate interessanti suppellettili, alcune già dei Manca, e preziosi quadri, appartenenti alla pinacoteca comunale.
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Palazzo del Duca dell'Asinara
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Carrozziera del Duca dell'Asinara

Carrozziera del Duca dell'Asinara:Di fronte al Palazzo è la carrozzeria, preesistente al Palazzo, che si caratterizza per un ampio portale sul quale è esposto lo stemma della famiglia Manca col distico: HOC QUOD MANCA CADENS/ MANCUM MORIENDO RELIQUIT/ MANCA VIRENS DESTRUM REDDIDIT ALTER OPUS (Quest’opera che il Manca mancante [cadente] lasciò monca mancando [morendo], un altro Manca fiorente rese destra [utile]), che si riferisce al fatto che alla morte del vecchio Duca, Don Antonio, l’opera fu completata dal giovane nuovo Duca, Don Vincenzo.


Palazzo Pais Deliperi: Il Palazzo classicista, posto in posizione angolare, prima Pais Deliperi, appartiene alla nobile famiglia Pilo, ramo oggi dei Conti di San Pietro di Silki, che tuttora lo possiede.
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Palazzo Pais Deliperi

Dalla Piazza del Comune, si scende per la piazza Monsignor Mazzotti fino ad arrivare al Largo Monache Cappuccine dove si trova la Chiesa di Gesù, Giuseppe e Maria e l'annesso Convento delle Monache Cappuccine.

Chiesa Gesù, Giuseppe e Maria (Monache Cappuccine): La Chiesa di Gesù, Giuseppe e Maria è annessa al Convento delle Monache Clarisse Cappuccine, per questo motivo è comunemente chiamata chiesa delle Monache o delle Cappuccine.
È posta in Via e Largo Monache Cappuccine e fu edificata in un arco di tempo che va dal 1670 – anno in cui cinque Monache: Suor Giovanna Francesca, Suor Maria Isabella Candida de Carmona Y Moreno (morta Badessa nel 1689), Suor Maria Teresa, Suor Maria Giuseppa e Suor Agnese giunsero dal Real Convento delle Cappuccine di Madrid a Sassari – al 1695.
Nell’area preesisteva la chiesa di San Salvatore, edificata nel 1668 dal medico Sassarese Salvatore della Croce al posto della più antica chiesa di Sant’Eusebio, forse originariamente annessa a un Monastero di Monache Benedettine. Le suore ebbero in dono dal della Croce la chiesa e l’area annessa con alcune case; in seguito, grazie alle grosse donazioni ricevute dall’Inquisitore generale prima, da Filippo IV re di Spagna poi, e infine dal Nobile Cavaliere Don Giovanni Tola dell’Arca di antica famiglia di origine spagnola, Sindaco del Convento dal 1675, poterono edificare il Monastero e, dal 1675 – a spese di Don Giovanni Tola – riedificare completamente la chiesa, consacrata solennemente nel 1692. Nel 1695, un anno dopo la morte dell’insigne benefattore, fu completato anche l’antiportico.
Attualmente la chiesa ospita la Confraternita dei SS. Misteri che organizza la Processione del Martedì Santo.
La facciata è a due spioventi marcati da una sottile cornice con una croce in pietra sulla sommità. Ai lati due acroteri in pietra di forma piramidale e due caditoie per l’acqua piovana tardo rinascimentali.
Nel primo ordine troviamo il portale architravato e centinato di grandi dimensioni, affiancato da due porte più piccole oggi murate. Sopra la centina sta una lapide marmorea che reca lo stemma nobiliare della famiglia del generoso benefattore Don Giovanni Tola (un toro passante rivolto a oriente), e un’iscrizione che dice:<<DEI FILIO GESU SS. GENITRICI MARIAE ET EIUS SPONSO PATRIARCHAE DIVO JOSEPH, CONVENTUS MONIALIUM CAPUCINIARUM TITOLARIBUS HOC TEMPLUM AEDIFICAVIT An. D. ni 1692 NOB. DON JOANNES TOLA. POST OBITUM EIUS MANDATO ET SEMPTIBUS PORTICUS CONSTRUCTUS EST ANNO D. ni 1695>> (Al figlio di Dio Gesù, alla Santa madre Maria e al suo Santo sposo Divino patriarca Giuseppe, titolari del Convento delle monache Cappuccine questo tempio edificò nell’anno del Signore 1692 il Nobile Don Giovanni Tola. Dopo la morte per sua volontà e a sue spese fu costruito il portico nell’anno del Signore 1695). Nel secondo ordine tre finestre, le due laterali, più piccole, oggi appaiono murate. Nel terzo, tra gli spioventi, una lunetta cieca.
Varcato il portale ci si trova nell’ampio antiportico, a destra e a sinistra due porte conducono nei locali dell’annesso Convento. Lungo i muri perimetrali poggiano delle panche in pietra. Da qui un portale architravato da accesso alla chiesa.
La chiesa è a navata unica scompartita in tre campate da lesene doriche, esse poggiano su un basamento e sorreggono una cornice aggettante decorata in basso da una fascia a triglifi. La volta è a botte lunettata.
Nella controfacciata possiamo osservare alcune lapidi che ricordano le sepolture del Nobile dottor Girolamo Artea – Conte di Sant’Elia – morto nel 1705 e del Rev. Don Giacomo Artea – Canonico Turritano e Consultore della Santa Inquisizione – morto nel 1715. Nella prima campata a destra invece è la lapide che indica la tomba del Cavalier Don Giovanni Tola. In essa sotto lo stemma della famiglia è scritto:<<HIC IACET NOB DON JOANNES TOLA QUI AEDIFICAVIT HANC ECCLESIAM. OBYT ANNOS ETATIS SUAE 62. DIE 19 JULI 1694>> (Qui riposa il Nobile Don Giovanni Tola, che edificò questa chiesa. Morì a 62 anni di età. 19 luglio 1694).
Nelle pareti della navata sono collocati alcuni dipinti tra i più interessanti della città, tra i quali un San Gerolamo della fine del ‘600, copia di un originale del Domenichino (Bologna 1581 – Napoli 1641) conservata in San Pietro a Roma; Il Martirio di San Gavino, tela seicentesca attribuita a Mattia Preti detto il Cavalier Calabrese (Taverna Calabra 1613 – La Valletta - Malta 1699) considerato unanimemente uno tra i migliori quadri presenti a Sassari; e un San Matteo e l’angelo, copia di Caravaggio, seicentesco di buona fattura probabile opera di artista romano.
Tra gli arredi merita particolare attenzione l’altare maggiore, molto bello e di pregio, mirabile esempio di ancona barocca. Esso è in legno intagliato dipinto e dorato ed è composto da tre ordini scanditi da trabeazione e concluso sulla sommità da un’Aquila bicipite dell’Impero Austriaco. L’altare è un esempio di barocco classicheggiante, di derivazione italiana per alcuni storici, e di derivazione spagnola ma “secondo lo schema ispanico severo Herreriano” per altri. Anche se è possibile ammettere un’esecuzione locale, per la costruzione dell’opera si deve supporre l’arrivo dei disegni da qualche personalità del continente. L’epoca della costruzione dovrebbe essere inquadrata nell’arco di tempo che va dal 1700 al 1718, periodo in cui la Sardegna fu sotto il dominio dell’Impero, come denuncerebbe la presenza dell’Aquila bicipite nella sommità del fastigio. A meno che, come altri storici sostengono, l’Aquila bicipite non sia dovuta dal ripetersi da parte delle maestranze locali di un elemento decorativo entrato nei repertori degli intagliatori del legno come degli scalpellini della pietra locali già dall’epoca di Carlo V d’Asburgo imperatore, re di Spagna e re di Sardegna, dalla seconda metà del XVI secolo. Se così fosse si potrebbe retrodatare l’altare alla fine del XVII secolo.
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Chiesa Gesù, Giuseppe e Maria

Corso Vittorio Emanuele

Visitata la Chiesa, si sfocia quindi nel Corso Vittorio Emanuele per osservare il seicentesco Palazzo Deliperi adorno di stemma gentilizio datato 1601. Di questa famiglia ricordiamo Don Simone Deliperi che ai primi del Seicento fu Giurato della Città di Sassari. Il palazzo passò poi ai Cugia Marchesi di Sant’Orsola. Più avanti la chiesa di Sant’Andrea proprietà della Confraternita del Santissimo Sacramento.

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Chiesa di Sant'Andrea

Chiesa di Sant'Andrea:La chiesa di Sant’Andrea è l’unica posta nel corso Vittorio Emanuele.
La costruzione iniziò verso il 1650 per volontà e con finanziamenti dell’illustre medico di origine corsa il Nobile Andrea Vico Guidoni, morto nel 1648. Diverse vicende ne ostacolarono il completamento e la facciata fu terminata nel 1715 circa. È di proprietà della Confraternita del Santissimo Sacramento, sodalizio nato nel 1642 da una scissione dei mercanti Liguri e Corsi dalla più antica Confraternita del Rosario oggi scomparsa. La confraternita, che ha come fine il Culto e la Preghiera, partecipa ai riti della Settimana Santa con processione propria il pomeriggio del Mercoledì Santo.
La chiesa ha una bella facciata barocca costituita da due ordini scanditi da trabeazione e sormontata da un timpano. Il primo ordine è diviso in tre specchi da lesene tuscaniche che poggiano su basamento; nello specchio centrale è il portale dall’architrave decorato a triglifi, sostenuto da colonne doriche e sormontato da un timpano spezzato nel cui centro sta un’edicola centinata ed architravata. Negli specchi laterali sono sei aperture cieche, tre per parte; esse sono costituite da un piccolo portale dal timpano spezzato sul quale è una nicchia centinata sormontata da una finestrella quadrata, la cornice della quale forma ai lati quattro riquadri. Il secondo ordine è più piccolo del primo ed è a esso raccordato da due volute sormontate da due campanili a vela dal timpano triangolare. Nello specchio centrale è una bella finestra a serliana sormontata da un timpano triangolare. Il timpano di coronamento è contornato da una cornice molto aggettante sostenuta da mensole.
La chiesa è a navata unica voltata a botte, divisa in tre campate disuguali da lesene doriche. Presenta quattro cappelle laterali, due per parte. Nella prima campata è una bella cantoria lignea settecentesca con dipinti diversi angeli musicanti e al centro due esponenti della Confraternita in adorazione del SS. Sacramento. Nella cantoria è collocato un organo settecentesco.
Le quattro cappelle sono arredate con altari in stucco dipinto molto simili tra loro; hanno colonne tortili dipinte di nero, capitelli bianchi e timpano barocco. Dovrebbero risalire al 1698, e sono tutte arredate con pregevoli dipinti e interessanti sculture
Nella parete destra del presbiterio è una lapide che indica la tomba del fondatore Don Andrea Vico Guidoni; sotto lo stemma scolpito in altorilievo vi appare scritto:<<SUB HOC SARCOPHAGO IACENT OSSA DON ANDREA VICO ET GUIDONI, EXIMII MEDICINAE DOCTORIS HUIUS ECCLESIE PATRONI ET FUNDATORIS QUI OBIT DIE PRIMO AUGUSTI ANNO Dm. MDCXXXXVII>> (Sotto questo sarcofago riposano le ossa di Don Andrea Vico [e] Guidoni, esimio dottore di medicina patrono e fondatore di questa chiesa, che morì il primo giorno di agosto nell’anno del Signore 1648). La lapide, originariamente nel pavimento e poi negli spazi retrostanti l’abside, fu collocata qui in seguito a dei restauri perché fosse visibile



Palazzo già Castiglia: Non si hanno notizie sulle originarie proprietà di questo interessante palazzo posto nel corso Vittorio Emanuele all'angolo con ciò che resta di Via dei Corsi. L'edificio grazie a dei recenti restauri ha restituito le tracce di persistenze gotiche tra le più antiche e interessanti in città e, in modo particolare, le tracce di un "porticales", elemento che caratterizzava originariamente tutta la via e nella quale erano collocate le "tiendas" dei mercanti cittadini.
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Palazzo già Castiglia
Palazzo Quesada di San Sebastiano: Il Palazzo Quesada che solo per metà apparteneva al ramo cadetto della famiglia che ottenne nel 1824 il titolo di Marchese di San Sebastiano e Conte di San Pietro, fu disegnato da Cominotti, Marchesi e Bossi. Presenta una facciata molto bella e un atrio d'ingresso assai suggestivo caratterizzato da quattro grandi colonne.
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Palazzo Quesada di San Sebastiano
Palazzo Frazioli già Melone:Sempre nel Corso è il prospetto principale, con evidenti persistenze gotiche, del Palazzo Melone che però ha l’ingresso, con lo scalone assai bello e interessante, in via Canopolo. Un’epigrafe con stemma, rinvenuta durante alcuni lavori di restauro nel 1872 (oggi conservata nel Museo Sanna) recita: In nomine Domini amen hoc opus fe/ cit fieri Franciscus Melone quondam/ Petri civis civita/ tis Sassari anno/ Domini 1442.
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Palazzo Frazioli (Melone)

Si imbocca quindi la Via Al Rosello dove si vedranno il Palazzo Cugia di Sant'Orsola dalla facciata secentesca recentemente restaurata che presenta degli splendidi balconi in ferro battuto e l'antico Palazzo Ledà d'Ittiri. Da qui si risale via Lamarmora dove sono il palazzo Fois poi Maramaldo dalle belle finestre settecentesche del piano nobile e dalla bella scala che, se il portone è aperto, non si può fare a meno di osservare. Appartenne a Don Antonio Fois Giudice della Reale Udienza, Alternos del Vicerè e poi Vice Intendente alla fine del Settecento. La casa passò alla figlia che aveva sposato un Maramaldo Comandante degli Invalidi; e quello Scano Ventura poi Sussarello per giungere in Piazza Tola e prendere Via Pettenadu dove nella confluenza con Via Sebastiano Satta a destra è il piacevole Palazzo Quesada con lo stemma sul portone. In Via Satta il Palazzo Manca di San Placido, dei Moros Y Molinos e quello Brunengo di Monteleone.

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Palazzo Quesada

Palazzo Quesada: Posto in Via Pettenadu tra la confluenza di questa con le vie Sebastiano Satta e Ospizio Cappuccini, il Palazzetto Quesada è un bell’esempio di architettura civile del XIX secolo che assunse l’aspetto attuale verosimilmente in concomitanza con la costruzione del Palazzo Quesada di San Pietro e fu probabilmente eseguito dalla stesse maestranze.
La facciata, in stile classicista abbastanza severa, domina la Via Satta costituendone una pregevole quinta di sfondo. L’edificio ha una pianta complicata, si estende in profondità e mostra un prospetto poco sviluppato, che piega a sinistra e termina in Via Ospizio Cappuccini. Il lato destro si sviluppa tutto, eccetto un piccolo ambiente posto su un archivolto, nella Corte della Murighessa.
L’edificio è il risultato di accorpamenti e sottrazioni di edifici preesistenti, modificato più volte nel corso degli anni, anche in tempi relativamente recenti. Il carattere generale che l’esterno offre è però, certamente, quello ottocentesco, ossia tre livelli compreso il terreno, con in più delle cantine in gran parte scavate nella roccia. La facciata principale è resa da un avancorpo che sporge da Via Ospizio Cappuccini verso Via Sebastiano Satta; presenta tre aperture per livello. Nel primo al centro è il portone di accesso, architravato, molto semplice e non molto imponente; questo è sormontato dallo stemma gentilizio della famiglia Quesada sorretto da due tenenti zoomorfi e con corona marchionale, è posto dentro uno scudo accartocciato dove trovano spazio anche una croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, dei cannoni e, dentro un cartiglio il motto che recita: «POTIUS MORI QUAM FEDARI».
Niente sappiamo del periodo in cui il Palazzo, o le case che sorgevano nell’area oggi occupata dall’edificio, pervenne ai Quesada. Ma poiché sappiamo che l’edificio appartenne sempre solo ai discendenti di Don Proto Quesada, il quale nel 1653 aveva sposato Donna Giovanna Figo, possiamo dedurre che il tutto, dopo essere stato alla fine del XVI secolo proprietà dell’abate di Saccargia, di cui s’ignora il nome e il casato, appartenne originariamente alla Nobile famiglia Figo. Infatti anche la Farmacia dei frati Cappuccini, dalla quale prende il nome la via contigua, fu fondata nei primi anni del XVIII secolo dal Cavalier Dottor Matteo Quasina Figo, probabile nipote ex matre di Donna Giovanna.
Nei primi anni del ‘900 l’edificio fu venduto al Cavalier Tomaso Bua, i cui discendenti lo alieneranno nel 2007.



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Palazzo Scano

Palazzo Scano: In angolo con Via Pettenadu è un imponente palazzo che alla fine dell’Ottocento era proprietà di Donna Luigia Scano Violante e che nei primi anni del XX secolo era abitato da un ramo della Nobile famiglia Segni.


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Palazzo Moros y Molinos

Palazzo Moros y Molinos: Sempre nella Via Satta al n. 12 è il Palazzo Moros Y Molinos sormontato dallo stemma della Nobile famiglia estinta da molto tempo


Ritornati nuovamente nel Corso vediamo il Palazzo di Città, il Palazzo Quesada di San Saturnino oggi Dettori Garau, interessante architettura Ottocentesca disegnata da Piretto e Bossi e compiuta nel 1847 come si evince da una lastra marmorea visibile da Via Duomo nel prospetto posteriore all'ultimo piano e le antiche persistenze gotico - aragonesi del Palazzo Montanyans o di Re Enzo.

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Palazzo di Città

Palazzo di Città: Nell'area attualmente occupata dal Palazzo di Città e dal Teatro Civico sorgeva fino al 1826 il Palazzo di Città, affacciato sulla scomparsa piazza del Comune, a metà della Platha de Codinas, asse centrale della città murata. Le precarie condizioni dell'edificio medievale, come il rinnovamento urbanistico dei primi decenni dell'Ottocento avviato dal re Carlo Felice, portarono nel 1826 alla decisione di erigere un nuovo palazzo civico con la forma dell'attuale struttura neoclassica. Realizzato su progetto dell'allora architetto civico Giuseppe Cominotti, comprendeva un adeguato teatro in sostituzione delle precedenti strutture precarie presenti in loco, disegnato a ferro di cavallo sull'esempio del teatro Carignano di Torino, sebbene di dimensioni minori. Fra le due funzioni dell'edificio, il privilegio concesso alla struttura teatrale ne determinò l'inadeguatezza come palazzo comunale, portando al trasloco prima nel Palazzo Manca di Usini nel 1879, e nell'attuale sede di Palazzo Ducale nel 1900 .
Ai primi del Novecento ebbe inizio un lento degrado delle strutture e delle attività legate al teatro, che portarono nel 1947 alla demolizione delle strutture lignee e delle decorazioni. Il teatro riaprì nel 1967, dopo un radicale restauro. Nuovamente restaurato agli inizi del XXI secolo con il ripristino di alcune decorazioni lignee, è tuttora sede di concerti, mostre d'arte e spettacoli. Vi è inoltre una sezione del Museo della Città con importanti testimonianze del passato cittadino.
Durante la Discesa dei Candelieri è tappa della Processione e luogo di incontro tra il Sindaco e l’obriere del Gremio dei Massai per il tradizionale brindisi “A zent'anni”.
All'interno è collocata una targa con la quale l'amministrazione comunale ha voluto omaggiare il regista Giampiero Cubeddu.
La notevole facciata principale prospiciente il corso segue canoni neoclassici puristi; è sormontata da un frontone triangolare timpanato e scandita da quattro lesene di ordine ionico gigante. Inferiormente nell'asse centrale si pone l'accesso all'atrio, dove sono collocate due erme dedicate a Vittorio Alfieri e Carlo Goldoni opere ottocentesche dello scultore Francesco Orsolino. Sovrasta l'ingresso lo stemma della città e la targa recitante "AEDES · PVBLICA · IN · HANC · MELIOREM · FORMAM · REAEDIFICATA · A · D · MDCCCXXX". All'ornamentazione dell'edificio lavorarono anche i pittori torinesi Pietro Bossi e Cesare Vacca.
Il prospetto verso via Sebastiano Satta è concluso da una lunetta cilindrica decorata con festoni e ghirlande; a lato una targa ricorda il passaggio in città di Giuseppe Garibaldi, al centro è collocato l'accesso al teatro.
La costruzione servirà da esempio all'architetto Franco Poggi per costruire fra il 1858 ed il 1862 il teatro civico di Alghero.

Palazzo Quesada di San Saturnino: Il Palazzo dei Quesada Marchesi di San Saturnino (altro ramo dell’illustre famiglia più volte citata) oggi Dettori è un’interessante architettura Ottocentesca disegnata da Gaetano Piretto e Pietro Bossi e compiuta nel 1847 come si evince da una lastra marmorea visibile da Via Duomo, nel prospetto posteriore, all’ultimo piano. Fu eretto, dopo molte insistenze della municipalità, al posto di bassi magazzini che deturpavano il Corso proprio di fronte al Palazzo di Città e in più, ospitando una fabbrica di colla, ammorbavano l’aria con le esalazioni dovute al procedimento di lavorazione. La ricostruzione del Palazzo e del Teatro Civico, avvenuta tra il 1826 e il 1830, furono la scusa per costringere il Marchese di San Saturnino, proprietario dell’area, a eliminare lo sconcio.
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Palazzo Quesada di San Saturnino
Palazzo di Re Enzo (già Montanyans, Casa Defraia e oggi Casa Guarino): Il Palazzo è quello, in tutta la via, che ha conservato nel tempo l’aspetto che doveva avere all’epoca della sua costruzione. Pur essendo stato molto restaurato nel primo quarto del XX secolo, mantiene infatti le caratteristiche dell’abitazione signorile medievale del ‘400. Per la sua vetustà la cittadinanza lo indica come palazzo di proprietà e improbabile residenza di Enzo di Svevia (1220 – 1272), re di Sardegna. Costui, figlio dell’imperatore Federico II, aveva sposato Adelasia, ultima Giudichessa di Torres o Logudoro e vedova di Ubaldo Visconti Giudice di Gallura, assumendone entrambi i titoli e in più ottenendo dal padre l’investitura del titolo sovrano suscitando per questo le ire del Papa Gregorio IX che aveva la giurisdizione dell’Isola. Fatto prigioniero nel 1249 dai Bolognesi nella battaglia di Fossalta venne rinchiuso a Bologna nel “Palazzo di re Enzo” in Piazza Maggiore e li trascorse i suoi giorni sino alla morte.
La costruzione che sorge su un ampio loggiato e conserva bellissime finestre lavorate, nel 1925 fu decorata, nei soffitti cassettonati del piano terreno, con pitture in uno “stile sardo” con reminiscenze goticheggianti da Paolo Maninchedda (Thiesi 1884 – Sassari 1974).
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Palazzo di Re Enzo

Imbocchiamo poi Via Santa Caterina dove troviamo l'omonima Chiesa.

Chiesa di Santa Caterina (già Gesù e Maria): È la seconda delle cinque parrocchie istituite a Sassari nel 1278 dall’Arcivescovo Dorgodorio. L’attuale edificio non è quello che per cinque secoli ospitò la parrocchia. La vecchia chiesa di Santa Caterina occupava l’area di Piazza Azuni in angolo con il Largo Cavallotti. Nel 1853 la chiesa fu demolita per ordine del Comune. Negli stessi anni ci si pose il problema di dare una nuova sede alla parrocchia. La scelta cadde su Gesù e Maria, officiata dai Gesuiti sino al 1848, anno in cui questi vennero allontanati dal Regno di Sardegna. La chiesa di Gesù e Maria assunse allora il nome di Santa Caterina e così è ancora oggi chiamata.
Santa Caterina affaccia sull’omonima piazza creata ai primi del Novecento con la demolizione del “Seminario vecchio”, un insieme di strutture quattrocentesche che occupavano l’area degli uffici comunali e quella antistante che avevano ospitato il primo Canopoleno. Venne costruita tra il 1580 e il 1607 circa, dopo che fu compiuta l’attigua casa professa dei padri Gesuiti giunti in Sardegna nel 1559. I lavori furono diretti per i primi tre anni dal padre Bernardoni, e – dopo la partenza di questo per Cracovia (1583) – conclusi da maestranze sassaresi.
La facciata, unico esempio di architettura religiosa tardo rinascimentale in città, presenta gli stemmi del benefattore Arcivescovo Alfonso De Lorca (1577 – 1604) e quello della Compagnia di Gesù purtroppo molto deteriorato. In una finestra al centro è una bella vetrata raffigurante Santa Caterina d’Alessandria eseguita nel 1954 da un cartone di Filippo Figari (1885 – 1974). La facciata posteriore dà su via Canopolo ed è formata da un’ampia superficie liscia, in cui l’unica apertura è l’oculo del presbiterio, conclusa da una cornice ai lati della quale sporgono due gargoille raffiguranti animali mostruosi. La pianta della chiesa è tipicamente controriformista: a croce latina con un’unica larga navata che incrocia un transetto poco pronunciato e con cappelle laterali a pianta quadrata. All’interno spicca la differenza di stile tra pareti verticali (tardo-rinascimentali) e le coperture di cappelle e navate (gotico – catalane). Il tempio sembrerebbe costruito in due tempi e incredibilmente dall’alto verso il basso, ossia i muri dopo le volte. Il tutto è spiegato dal fatto che i gesuiti portarono da Roma oltre al progetto anche le maestranze per realizzarlo. Nel 1583, forse per carenza di fondi, le maestranze forestiere lasciarono la città e il cantiere rimase a cielo aperto. Gli operai locali che subentrarono, non conoscendo i nuovi sistemi di costruzione, utilizzarono la collaudata tecnica delle crociere costolonate gotico – catalane completando il lavoro così come da trecento anni si usava in Sardegna. Particolare è anche la cupola: essa poggia su un alto tamburo ottagonale impostato su quattro archi a sesto acuto inseriti nelle pareti; lo spazio quadrangolare è raccordato al tamburo da quattro pennacchi decorati con elementi geometrici e fitomorfi che ricordano gli intagli artigianali sardi.
Santa Caterina è tra le poche chiese di Sassari che ha conservato la maggior quantità di arredi originali dell’epoca della sua costruzione, tra questi sono estremamente interessanti i dipinti seicenteschi di grandi dimensioni che raccontano scene della vita di Gesù, un tempo inseriti in un grande retablo ligneo che, sino ai primi del XIX secolo, fungeva da altare maggiore. Questi, si vuole siano tutti opera del pittore padre Johan Bilevelt, di origine fiamminga, frate Gesuita ospite della Casa di Sassari sino alla seconda metà del XVII secolo. In realtà dalle cronache sembra di capire che i pittori che si dedicarono agli arredi della chiesa furono diversi, probabilmente coordinati dal Bilevelt definito “pittore di casa”, al quale con sicurezza si può attribuire la tela dell’altare del transetto destro, una bella Incoronazione della Vergine dove appare la Fontana del Rosello.
La Parrocchia di Santa Caterina da diverso tempo è accorpata a quella di San Nicola.
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Chiesa Santa Caterina

Ritornati nuovamente nel Corso troviamo la casa Farris, attualmente in fase di restauro, e il retro Liberty con stemma del Palazzo Arborio Mella di Sant’Elia.


Casa Farris

Casa Farris: L’edificio dai forti caratteri gotico aragonesi, recentemente restaurato, si mostra per essere l’unione di due palazzi distinti avvenuta in epoca imprecisata. Al piano terreno sono evidenti i caratteristici porticales, logge aperte nelle quali si esercitava il commercio sin dai tempi più antichi e poi aboliti per ingrandire i palazzi e togliere angoli nascosti utili ai malintenzionati per trovare rifugio nelle ore notturne. Interessanti le finestre quattro-cinquecentesche di diverse fogge e misure.


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Retro Palazzo Arborio Mella:

Retro Palazzo Arborio Mella: Piacevole è la retrofacciata del Palazzo Arborio Mella di Sant’Elia che prospetta in Piazza Nazario Sauro sul Corso. Frutto di una ristrutturazione del 1925 è in stile Liberty e presenta lo stemma della famiglia.


 

Quindi svoltiamo per Via Cesare Battisti, dove è il Palazzo Mannu Ledà, con le settecentesche finestre del piano nobile che riprendono il disegno di quelle del Palazzo Farina in Via Decimario, si arriva in Piazza Tola dove sono: il cinquecentesco Palazzo Manca d’Usini e di San Giorgio, sede della Biblioteca Comunale, dalla facciata tardo rinascimentale e due stemmi ai lati del portale. Numerosi esponenti della famiglia Manca ricoprirono, nel corso dei secoli, cariche civiche di spicco.
Alla sua sinistra il Palazzo Tola dalla curiosa facciata ottocentesca in stile medievaleggiante alla Viollet-le-Duc. Spunti più interessanti e persistenze gotiche presenta la facciata laterale in Via Lamarmora. Anche diversi esponenti della famiglia Tola ricoprirono importanti cariche pubbliche.
Andando giù per la piazza nel lato sinistro si nota il Palazzo Arborio Mella Conti di Sant’Elia già Artea, con stemma in facciata portante le iniziali della Famiglia, assai in degrado ma dal portale interessante. Il palazzo che lo precede, Casa Ferrà, presenta uno stemma con la data 1497 che nessuno storico è ancora riuscito a identificare; forse apparteneva alla nobile famiglia Saba. Nell’altro lato della piazza un bel palazzetto, oggi Ciceri Nigra, con un loggiato su due livelli era nell’ Ottocento l’abitazione del Barone Tondut Vice Governatore della Città e Comandante Militare della Piazza. Adiacente ad esso un Palazzo Quesada.

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Palazzo Ledà d'Ittiri Mannu:

Palazzo Ledà Mannu: Al numero 6 della Via Cesare Battisti, nota a Sassari come “Carra Piccola” è il palazzo che appartenne a Donna Ignazia Ledà dei Conti d’Ittiri sposata Mannu e quindi ai suoi eredi Mannu e Dettori. Il prospetto presenta nel piano nobile delle finestre dal disegno settecentesco che in qualche misura riprendono quelle del Palazzo Farina di Via Decimario – Piazza Duomo.


Piazza Tola

 

Fino al quarto decennio del XIX secolo Sassari mantenne l'aspetto di una città medievale. L'intero nucleo urbano era cinto dalle mura costruite nei secoli XIII e XIV e si estendeva su un'area pentagonale irregolare. Nei secoli l'ammontare della popolazione aumentò oscillando tra i 25.000 e i 15.000 abitanti, con picchi negativi o positivi (ma più negativi) in conseguenza di carestie ed epidemie. L'abitato crebbe per secoli all'interno dell'antica cerchia medievale arrivando così alla pressoché totale saturazione o riduzione degli spazi comuni quali strade e piazze. Nonostante le prime richieste (in forma di suppliche al Governo Viceregio) datassero sin dal XVII Secolo, la città ottenne di potersi ampliare oltre la cerchia medievale di mura solo a partire dal 1837. Perciò per supplire alla necessità di nuove case fu necessario sacrificare (sec XIV - XV) molte aree rimaste libere. Tale sorte toccò nel Cinquecento anche all'antica Piazza Carra Manna (poi Piazza Tola), d'età medievale, che poi si ricostituì nel XVII secolo liberando lo spazio dalle costruzioni che vi insistevano . Certamente Piazza Tola subì negli anni diverse modifiche; il 3 Novembre 1607 il Consiglio Maggiore del Comune deliberò di atterrare un palazzo che ospitava il Braccio Militare posto in mezzo alla Piazza, abitato dal Reggente, lavoro che fu eseguito nel 1608 ; venne poi ingrandita, liberandola dalla casa che ospitava la carra e da altre case che la deturpavano, tra il 1614 e il 1622 . Già vi prospettavano importanti palazzi gentilizi quali quello Manca d'Usini, l'Artea poi Sant'Elia e quello del Marchesato di Valdecalzana. Nel 1567 e nel 1608 l'inquisizione vi tenne atti pubblici d'esecuzione detti Autos de Fè . La Piazza veniva usata anche per il mercato, che diventerà stabile nel 1833, e per un breve periodo fu chiamata Piazza delle Erbe . La visita del Re Carlo Alberto alla città di Sassari nel 1841 fece sì che la Piazza venisse ulteriormente abbellita e migliorata, con lo spianamento e la conseguente eliminazione di gradini e dislivelli, tanto da farla diventare "una delle migliori località della città". Nello stesso anno si spostò altrove il mercato. Durante la visita del Sovrano la piazza era "splendidamente illuminata. Nel suo centro vedevasi una colonna, sulla quale sorgeva il busto di Sua Maestà" realizzato in cartapesta. La Piazza aveva preso il nome di Carra dalle misure del grano collocate originariamente nel porticato dell'antico Palazzo Manca di San Giorgio (o d'Usini, che doveva avere forme gotiche), una più grande, disposta verso la Piazza, e una più piccola, collocata verso Via Cesare Battisti. Da qui Carra Manna per la piazza e Carra Pizzinna per la via. Il nome rimase a lungo e ancora popolarmente viene così chiamata dai sassaresi. La carra venne spostata altrove, dopo che il Palazzo Manca, ristrutturato nel XVI secolo in forme rinascimentali, aveva perso il porticato. Nel 1848 per l'entusiasmo dovuto alla Costituzione si deliberò di intitolare la Piazza a Carlo Alberto e si aprì anche una sottoscrizione per collocarvi una statua del Sovrano, iniziativa che però non andò a buon fine. Poco dopo la morte dell'illustre Storico e Giurista Pasquale Tola, avvenuta a Genova nel 1874, la cittadinanza intitolò la Piazza alla famiglia Tola , così da poter celebrare oltre a Pasquale anche i fratelli Barone Giovanni Antonio, Giudice della Reale Udienza, letterato e poeta ed Efisio che, accusato di essere mazziniano, era stato fucilato a Chambéry nel 1833. In Piazza Tola si trovano diversi palazzi di pregevole architettura, molti dei quali appartenuti all'antica Aristocrazia cittadina.
Palazzo Manca d'Usini: L'edificio ha forme rinascimentali ed è l'unico del suo genere in Sardegna, infatti l'isola sarà toccata marginalmente dal Rinascimento. I recenti lavori di restauro hanno evidenziato la preesistenza di una più antica costruzione gotica, quella che al livello terreno doveva avere i portici nei quali, come ricorda il Costa, erano collocate le "carre". Il palazzo presenta tre piani dei quali l'ultimo è forse una sopraelevazione settecentesca. Il terreno è caratterizzato dall'imponente portale con ai lati due stemmi della famiglia Manca. Tra l'architrave del portale e la cornice aggettante è una lapide che recita: "ILLUSTRIS DON JACOBUS MANCA DOMINUS OPPIDI DE USINI - 1577". La facciata è intonacata, il portale e le cornici delle finestre sono in calcare cristallino lavorato. Passato al ramo della famiglia dei Duchi dell'Asinara e dei Marchesi di Mores il Palazzo fu venduto nel 1865 al Comune di Sassari che lo destinò a uffici della Pretura. Oggi è sede della Biblioteca Comunale. Nel 1701, nel giardino di questo palazzo, in fondo a un pozzo fu rinvenuto morto il sassarese Vescovo di Bosa Giorgio Sotgia Serra, frate Servita che arricchì di pregiati altari lignei diverse chiese dell'Isola e che a Sassari aveva voluto e finanziato la ricostruzione della chiesa di Sant'Antonio Abate . Qualche giorno dopo la sua morte arrivò in città la notizia della sua nomina ad arcivescovo Turritano. Qualcuno parlò di omicidio, altri di disgrazia o di squilibri mentali del Sotgia e quindi di suicidio. Nella facciata, a destra del portone, è murata una lapide che ricorda Giò Maria Angioy; essa recita: "A / GIOVANNI MARIA ANGIOY / RIVENDICATORE / DI LIBERTÀ DI EGUAGLIANZA / QUI DOVE I TIRANNI / VOLLERO L'ULTIMO SCEMPIO / DEI MARTIRI / IL POPOLO / MDCCCVIII - MCMVIII". La frase allude all'esecuzione del notaio Cilocco che fu impiccato nell'Agosto del 1802 dopo essere stato torturato barbaramente. Si vuole che, da una finestra del palazzo, il Duca dell'Asinara incitasse i carnefici perché incrudelissero sul malcapitato . Stipite comune a tutti i Nobili Manca di Sassari fu Giovanni che combatté valorosamente, con i fratelli Giacomo e Andrea, all'assedio di Monteleone Roccadoria nel 1436. In ricompensa di questa impresa i tre vennero infeudati in consignoria delle Ville di Thiesi, Cheremule e Bessude costituenti il Montemaggiore. Successivamente la famiglia accrescerà i suoi possessi feudali divenendo: Conti di San Giorgio (Usini e Tissi), Marchesi di Mores, Marchesi di Montemaggiore, Baroni di Ossi e, in seguito, Duchi dell'Asinara e di Vallombrosa. Un altro ramo familiare sarà quello dei Marchesi di Villahermosa, Nissa e Santa Croce.
Palazzo Tola: Al n. 41 della Piazza è il Palazzo Tola dalla curiosa facciata ottocentesca in stile medievaleggiante alla Viollet-le-Duc. L'edificio si ritiene abbia assunto queste forme durante i restauri fatti eseguire da Pasquale Tola e dai suoi figli e nipoti nel XIX secolo. Certamente fu Pasquale che acquistò - dall'Arciconfraternita dell'Orazione e Morte di San Giacomo - e unì al Palazzo nel 1836, due case basse in Contrada del Carmine che confinavano con il Palazzo grande della vedova Donna Maria Teresa Tealdi Tola, sua madre . Le due case sono oggi parte integrante dell'edificio, ma hanno conservato ognuno la propria scala e una anche la facciata, con il portone d'accesso, che dà sulla Via La Marmora al numero 12. L'altra prospettava su un vicolo che doveva avere origine nella stessa Via La Marmora e che poi fu inglobato nell'area dello stabilimento Clemente. L'edificio ha quattro piani compreso il terreno, presenta cinque aperture per livello più una nel lato sinistro dove la facciata volta e crea un angolo della piazza. Al piano terreno sono porte centinate a tutto sesto, contornate da un marcato bugnato rustico, in trachite rossa, che prende forma ogivale; al centro è il portale d'accesso riconoscibile per le maggiori dimensioni. L'ammezzato presenta cinque finestre più una nel risvolto, così come i piani superiori, poste in asse con le aperture sottostanti. L'architrave è ad arco ribassato e il bugnato in trachite ne accentua le forme. I restanti due piani presentano finestre centinate a tutto sesto con il contorno bugnato dal disegno a sesto acuto. Tra l'ammezzato e il piano nobile è uno scudo, dove una volta era l'arma della famiglia Tola, caduta durante un temporale e mai più ricollocata. Nel lato sinistro del portone due lapidi ricordano il Giovane Tenente Efisio Tola. Esse recitano: "IN QUESTA CASA NACQUE / EFISIO TOLA / ADDÌ 15 GIUGNO 1803 / FIAMMA D'IMMENSO AFFETTO L'INVASE / AUSPICE DIO E POPOLO / PER L'UNITÀ E LIBERTÀ D'ITALIA / DECRETANTE UN CONSIGLIO MARZIALE / PIOMBO MILITARE LO SPENSE IN CIAMBERY / NEL 12 GIUGNO 1833 / LA PATRIA LE ISTORIE RAMMENTINO L'ALTO SACRIFICIO! / IL CIRCOLO LA GIOVENTÙ 1880" la prima; "NEL PRIMO CENTENARIO DELLA NASCITA / E DOPO LXX ANNI DAL SACRIFIZIO / AUSPICE L'ASSOCIAZIONE UNIVERSITARIA / LA CITTADINANZA SASSARESE / TRIBUTAVA SOLENNI ONORANZE / XIV GIUGNO MDCCCCIII" la seconda. Spunti più interessanti e persistenze gotiche presenta la facciata laterale in Via La Marmora. Qui il fronte è molto più esteso e l'analisi del paramento denuncia la preesistenza di diversi edifici gotici uniti insieme quando si è creato il Palazzo. Degni di nota sono un portale in pietra bicroma - basaltica e trachitica - e un frammento di una finestra, tardo gotica o primo rinascimento, posta tra il primo e il secondo piano nella parte destra. Altrettanto interessante è un marcapiano, con una finta archeggiatura pensile trilobata gotica, realizzata con materiale lapideo bicromo. All'interno l'atrio d'ingresso mostra delle belle decorazioni neogotiche e, su una parete dello scalone principale, un piacevole affresco che rappresenta la fontana del Rosello. La Nobile famiglia Tola (o de Tola) che fu proprietaria del palazzo è originaria della Spagna e precisamente delle Asturie. Tra i primi ad arrivare in Sardegna fu Giordano II, Alto Ufficiale, che giunse al seguito del Luogotenente Generale o Vicerè del Regno di Sardegna Ximene Perez de Arenoso. Tra i personaggi che la famiglia espresse si ricordano: Leonardo nato verso la metà del XV secolo; questi dopo aver combattuto valorosamente contro gli aragonesi per disaccordo personale contro il Vicerè Carroz accanto a Leonardo Alagon distinguendosi nella battaglia di Macomer (1477), caduto il glorioso Marchesato di Oristano, passò nella Spagna per continuarvi la carriera delle armi, e là, sotto le bandiere di Ferdinando il Cattolico, divenne celebre, contribuendo alla conquista di Granada da più secoli occupata dai mori. Infatti una mattina del mese di dicembre 1491, un saraceno di erculee forme e di torreggiante statura, si fece innanzi, provocando a duello qualunque cristiano avesse avuto il coraggio di misurarsi con lui. Leonardo Tola si sentì più di tutti offeso da quella provocazione, e si presentò subito al padiglione del Re Don Ferdinando, chiedendo che fosse a lui consentito di rintuzzare l'orgoglio dell'insolente saraceno. Ottenuto il permesso, fra lo stupore dei suoi compagni e dei combattenti, si fece avanti con passo grave e sicuro armato di una semplice corda (soga) alla cui estremità aveva rapidamente disposto un laccio. Il gigantesco moro intanto gli si avvicinava con aria di disprezzo, ma Leonardo, giunto alla distanza di pochi metri, così prontamente maneggiava la sua corda, che affibbiatogli il laccio al collo e gettatolo a terra, lo trascinava nel campo come un giovenco indomito, e mezzo soffocato lo presentava al padiglione del Monarca, fra le entusiastiche acclamazioni dell'esercito spagnolo e le grida di rabbia e di maledizione degli assediati. In premio di tanto valore, il re Don Ferdinando, decorava sul campo stesso il Tola dell'Aureo Cingolo Equestre, colmandolo di ricchezze e di onori. Lo stesso Re gli concesse il Privilegio della Generosità (cioè il riconoscimento dell'antica Nobiltà Generosa familiare) ; Giovanni Battista che fu nel 1620 Rettore dell'Università di Pisa; Giovanni, Alcaide del Porto di Torres, fondò due Cappellanie nella basilica di San Gavino di Torres, una chiesa e un collegio Gesuitico a Ozieri e, a Sassari, costruì a sue spese la Chiesa del Convento delle Monache Cappuccine e lì si fece dare sepoltura dopo la morte avvenuta a costruzione non ancora ultimata (lo stemma della famiglia è tuttora visibile sulla facciata del Tempio oltre che sulla lapide sepolcrale all'interno); Giacomo di Sassari, Teologo di Corte presso Cosimo III dei Medici, fu Vescovo di Bosa. In tempi più recenti Gavino, che fu Clavario della Città di Sassari, sposò Maria Teresa Tealdi e si trasferì a Sassari nel palazzo posto nella Carra Grande. I di lui figli: Giovanni Antonio, alto Magistrato, creato Barone nel 1842, fu un validissimo poeta. Il Siotto-Pintor nella Storia Letteraria di Sardegna dice che "...tra i nostri poeti deve avere un luogo distintissimo. Forti sono le sue idee, aggiustate ognora le frasi, lo stile affatto poetico..." e conclude: "...niente uscì dalla penna del Barone Tola che non sia più o meno degna di lode" ; Pasquale, illustre Magistrato, Deputato e insigne storico, vera gloria della città di Sassari e infine Efisio, Tenente del I Reggimento della Brigata Pinerolo di stanza a Chambéry dove, accusato di essere mazziniano, dopo un processo in cui mostrò tutto il suo valore e la sua fierezza, fu fucilato il 12 Giugno del 1833.
Palazzo Quesada: Il grande Palazzo che segue, recentemente restaurato, nella seconda metà del XIX secolo era di proprietà dell’Ospedale Civile di Sassari. Precedentemente apparteneva al Nobile Don Francesco Quesada. Presenta quattro piani compreso il terreno e ha sei aperture per piano; le finestre architravate sono contornate da una fascia liscia e al centro è un piacevole balcone. Il cornicione di coronamento appare piuttosto aggettante.
Palazzo Nigra Ciceri:Il primo palazzo a sinistra guardando la Piazza da Via Pettenadu, dopo lo slargo su Via La Marmora, probabilmente apparteneva al Nobile Don Francesco Quesada. Da lui sarebbe passato al nipote Ignazio, Conte di San Pietro (proprietario anche del Palazzo del Circolo Sassarese); che lo avrebbe poi venduto ai coniugi Carolina Agnesa e Luigi Ciceri . Quest’ultimo, noto commerciante di olio e altri prodotti della Sardegna era figlio del tipografo Andrea, marito di Anna Maria Chiarella, che aveva creato la tipografia poi divenuta Dessy, ancora esistente. Da lui passò alla figlia Luisa maritata Nigra ed è tuttora proprietà dei suoi eredi. Certamente nel 1815 lo possedevano le sorelle Flores figlie del Giudice della Reale Udienza Dottor Andrea, Assessore Civile della Città nel 1794 .
Si tratta di un edificio piacevole, caratterizzato da un loggiato su due livelli, il primo dei quali comprende anche l’ammezzato, composti da quattro arcate nel primo ordine e da altrettante nel superiore. Forse sono reminescenze rimaneggiate di un più vecchio edificio gotico trasformato nella primo quarto dell’Ottocento, alcuni resti del quale affiorano nel prospetto su Via La Marmora. L’ingresso al palazzo avviene dallo slargo che unisce Piazza Tola a Via La Marmora; il portone, decentrato sulla sinistra è architravato senza decorazioni particolari. Molto più interessante la facciata sulla Piazza con il loggiato che accoglie nel secondo ordine un balcone dalla balaustra a colonnine poco profondo e ne sorregge un altro, forse frutto di una sopraelevazione più recente. Le finestre sono semplici senza nessun ornamento.
In questo palazzo abitò intorno alla metà del XVIII secolo il barone Ferdinando Tondut, Comandante Militare della Piazza di Sassari e Truppa del Logudoro (Governatore). Fu un personaggio scomodo; pretendeva di avere la precedenza sull’Arcivescovo nelle occasioni ufficiali e si scontrò con il Marchese Manca di Mores perché questi non l’aveva invitato in occasione della Monacazione di una sua figlia nonostante avesse invitato anche le mogli dei dottori. Contro lo stesso Marchese ricorse addirittura al Viceré perché ad un’altra festa lo aveva invitato, anziché di persona, attraverso un servitore in livrea

Casa Ferrà: Il palazzo successivo, risalendo verso Via Cesare Battisti, era proprietà del Nobile Don Giacomo Ferrà fu Pietro e delle figlie Donna Antonietta e Donna Vittoria. Ha una facciata piuttosto semplice e sembra essere frutto dell’unione di due edifici distinti. Nel lato sinistro mostra uno stemma partito: nel primo all’aquila coronata rivolta a sinistra; nel secondo alla torre aperta, finestrata e merlata, sovrastante sei piume, tre per parte, con la data 1497 che nessuno storico è ancora riuscito a identificare; forse apparteneva alla famiglia Saba. Piacevole il lungo balcone dalla ringhiera in ferro battuto.
Nella seconda metà del XIX secolo passò in proprietà ad Antonio Ricci Agnesa fu Pietro.



Palazzo Arborio Mella (Artea):Già di Don Girolamo Artea Conte di Sant’Elia (sepolto nella chiesa delle Monache Cappuccine), il Palazzo passò agli Arborio Mella, intorno alla metà del XVIII secolo, per il matrimonio della sua figlia Vittoria con Giuseppe Filippo, primo della famiglia Arborio Mella ad arrivare a Sassari. L’edificio tardo secentesco è caratterizzato da un bel portale manierista, decentrato sulla destra, composto da due colonne dal capitello dorico, poggianti su due semplici plinti, che sorreggono un alto architrave decorato da triglifi e da rosette con cinque petali, il tutto sormontato da una cornice aggettante. Al piano terreno altre due aperture, prive di decorazioni, danno ad altrettanti magazzini. I due piani superiori presentano ciascuno quattro finestre semplici, disposte in coppia che lasciano libero lo spazio centrale dove è posto uno scudo, inserito in un cartiglio, che mostra le lettere SE (Sant’Elia) sormontate dalla corona comitale.
Piacevole è la retrofacciata che prospetta in Piazza Nazario Sauro. Frutto di una ristrutturazione del 1925 è in stile Liberty e mostra lo stemma della famiglia.
La famiglia Arborio Mella è piemontese, originaria di Vercelli. Il capostipite è il Nobile Ufficiale Alessandro Mella che per i meriti suoi e dei suoi avi venne creato, nel 1681, Conte sul cognome dal Duca di Savoia, il quale l’anno successivo lo riconobbe Consignore del Castello e Villa di Arborio.
Nel XVIII secolo giunse a Sassari, bambino, Giuseppe Maria Filippo Arborio Mella, portatovi dalla madre, Paola Avogadro, che vedova aveva sposato il barone Ferdinando Tondut, Comandante Militare della Piazza di Sassari e Truppa del Logudoro (Governatore). Abitando la casa oggi Nigra Ciceri, posta di fronte all’Artea, fu facile combinare il matrimonio tra il giovane e la Contessina Vittoria Artea di Sant’Elia figlia di Girolamo, che trasportò il titolo alla famiglia Arborio Mella. Infatti il primo Conte Arborio Mella di Sant’Elia sarà proprio il figlio Luigi. Da lui nascerà un Girolamo, che sarà ucciso nel 1845 da dei malviventi introdottisi nella sua casa a scopo di rapina. Il figlio Luigi sarà il padre del Colonnello Conte Alessandro Arborio Mella di Sant’Elia. Fu un valoroso Ufficiale, partecipò alla Guerra di Crimea; meritò una Menzione Onorevole “Per lo slancio con cui condusse il suo plotone in ripetuti attacchi alla baionetta contro il nemico” quando, da Tenente dei Bersaglieri, prese parte nel 1859 alla Battaglia di San Martino, per la quale ebbe successivamente anche la Medaglia d’Argento; fu quindi alla presa di Roma nel 1870 come Maggiore dei Bersaglieri e infine si congedò come Tenente Colonnello di Fanteria . Il 10 Luglio 1872 si batté a duello con Don Bardilio Delitala (padre del pittore Mario) che aveva definito, su La Giovine Sardegna, l’uniforme dei soldati “livrea” . Nel 1883 fu nominato sindaco di Sassari . Sposatosi con Donna Maria Grazia Serra Pilo-Boyl ebbe: il Conte Luigi, Cerimoniere di Corte, che ad Alghero edificò la Villa Sant’Elia, oggi Las Tronas, dove ospitò diversi esponenti di casa Savoia; il Barone Gaspare, che a Sassari costruì la Villa Mimosa; Carlo che tenne la casa di famiglia in Piazza Tola a Sassari; infine Alberto, alto prelato del Vaticano e Cerimoniere di SS. Santità Pio XI e Pio XII. Furono Luigi e Alberto di Sant’Elia durante la prima visita del Re d’Italia in Vaticano dopo il Concordato tra Stato e Chiesa ad incontrarsi per primi e a presentare l’un l’altro i rispettivi sovrani.



 

Al centro della piazza il monumento a Pasquale Tola, opera dell'insigne scultore Filippo Giulianotti, autore tra l'altro anche del busto del Mazzini già alla Stazione e ora nell'Emiciclo Garibaldi. Il monumento ebbe una storia travagliata. Infatti a causa del fallimento della banca, dove erano custoditi i fondi della pubblica sottoscrizione, fu necessaria un'ulteriore raccolta che bastò a soddisfare l'artista, il quale aveva iniziato il lavoro alla fine dell'ottocento e l'aveva poi sospeso, nel 1901, a lavoro quasi finito. L'opera fu compiuta nel 1903, ma la morte improvvisa dello scultore rimandò ancora la consegna. Gli eredi del Giulianotti consegnarono la statua al comitato promotore, chiedendo in cambio una fotografia del monumento dopo l'inaugurazione. Ma i fondi erano finiti e così la statua, dentro una cassa, fu collocata (o abbandonata) in un lato della Piazza Tola, come si può vedere nelle numerose cartoline dei primi del XX secolo. Dopo un'attesa di undici anni, un rinnovato comitato dava incarico all'ingegner Domenico Cordella per la costruzione del basamento in granito sardo e la direzione dei lavori per la collocazione del monumento, che ritrae l'illustro storico seduto, al centro della piazza. Opera che il Cordella eseguì gratuitamente, ricevendo in segno di gratitudine, da parte del Comitato, un cronometro d'oro. L'inaugurazione e la consegna alla città avvennero, con grande concorso di popolo, il 1° Dicembre 1912. Sul basamento una lapide di bronzo recita: "LA SARDEGNA RICONOSCENTE / A / PASQUALE TOLA / CHE IN TEMPI ANCORA TRISTI / DOPO LUNGHI SECOLI / DI DOMINAZIONI SFRUTTATRICI E OSCURANTISTE / NE ILLUSTRÒ LE CIVILI MEMORIE / E NE DIVINÒ LA PARTECIPAZIONE / AI FASTI DEL RISORGIMENTO ITALIANO / ANNO 1912". Il Sindaco On. Filippo Garavetti nell'occasione sottoscrisse le seguenti parole con l'impegno di promessa formale: "Il Sindaco (...) (a nome della cittadinanza sassarese) accetta la preziosa offerta, promettendo che l'Amministrazione Comunale sarà sempre fedele e vigile del monumento". Cosa che purtroppo non avverrà, se si considera lo stato di incuria e abbandono in cui versa il manufatto.

Ripresa la Via Lamarmora si arriva in Via Mercato dove, si osserva il Palazzo Pilo, costruzione in collegamento con il Convento dei Padri Carmelitani. Della famiglia Pilo diversi esponenti ricoprirono cariche importanti nell'Università tra i quali, nel XVIII secolo, un Don Ignazio Angelo Maria e un Don Andrea. Proseguendo si arriva al numero 1 dove è il Palazzo Quesada di San Pietro.

Palazzo Quesada di San Pietro: Costruito nella prima metà del XIX secolo da Don Carlo Quesada Marchese di San Sebastiano, il Palazzo sorge in via Mercato e fronteggia il Largo San Sebastiano. Tradizionalmente si vuole che l’edificio fosse destinato al figlio secondogenito del Marchese, Don Ignazio Quesada Conte di San Pietro, che effettivamente nel 1852 ne divenne proprietario. Attualmente è proprietà Delitala – Frassetto.
Il Progetto si deve a illustri architetti operanti in città nella prima metà del XIX secolo, quali Giuseppe Cominotti – allora occupato alla riedificazione del teatro annesso al Palazzo Civico –, il Frate Antonio Cano, impegnato in quel periodo nella ristrutturazione della chiesa di Santa Maria, e Felice Orsolini, genovese, figlio dello scultore che creò alcuni altari della cattedrale di San Nicola. L’epoca della progettazione dovrebbe essere tra il 1837, anno in cui è attestata la presenza dell’Orsolini a Sassari, incaricato di alcuni lavori di restauro nella fontana del Rosello, e il 1840, anno della morte improvvisa del frate Antonio Cano (caduto da un’impalcatura mentre lavorava nella Cattedrale di Oristano).
Il nucleo originario del palazzo era costituito dalla parte centrale, quella con il grande portone che da accesso al Circolo Sassarese, confinante a sinistra con un'altra proprietà dello stesso conte e a destra con un antico palazzo, prospettante in via Usai, da sempre proprietà dei Quesada. Di quest’ultimo edificio, il nuovo palazzo, godeva del giardino.
Il palazzo sorse esternamente alle mura della città, le quali ne costituiscono, riadattate, la stessa facciata. Non è chiaro se nel 1892, quando il dissesto finanziario del proprietario fece si che le tre costruzioni, quella verso il Carmelo, il Palazzo vero e proprio e la casa più antica di via Usai insieme ad altri beni, venissero requisiti da alcune banche e vendute in un’asta pubblica, l’imponente edificio fosse completato oppure no.
Divenuto proprietà di Maurizio Pintus,(1836 – 1920, abile imprenditore che partito dal nulla si costruì un’immensa fortuna impartentandosi con i Carta della buona borghesia Sassarese), insieme alle costruzioni adiacenti, l’ingegner Domenico Cordella e l’architetto Angelo Marogna furono incaricati di redigere un progetto che unisse al prestigioso palazzo lo stabile verso il Carmelo, completasse gli interni dello scalone e degli appartamenti con una sopraelevazione e unificasse la facciata. Il progetto fu completato il 29 Aprile 1909 e di li a poco si fecero i lavori che furono conclusi nel 1911, come attesta un’iscrizione collocata nell’imposta del tetto, nel lato verso viale Umberto. Ciò fece si che l’insieme degli appartamenti del palazzo raggiungesse l’estensione di circa 5.000 metri quadrati.
La grande facciata su via Mercato presenta undici aperture per piano più altre tre sul risvolto nell’angolo verso via Usai che però appartengono al palazzo attiguo.
Il piano terreno è caratterizzato da listellature orizzontali parallele dove si aprono gli ingressi – le cui aperture sono state uniformate con i lavori del XX secolo – ad ampi magazzini. Al centro, in finta simmetria, è il portone principale ricavato in quello che probabilmente era l’accesso a una torre esterna all’antica cinta muraria della città di Sassari, come si evince dagli antichi cardini in pietra ancora visibili all’interno dell’atrio. Il portone è centinato e presenta una lunetta in ferro battuto con le iniziali M P (Maurizio Pintus). Più giù, verso il Carmelo, è il nuovo portone che da a una scala secondaria decorata con pitture e ringhiere in stile Liberty; nell’estremità a destra, prima del risvolto, l’ultima porta da al giardino, mascherato dal finto prospetto del palazzo. Il piano nobile presenta finestre architravate e balconi dalla bella ringhiera a “lance” verosimilmente già esistenti nel primo impianto. Lo stesso motivo, ma con aperture più semplici, si riscontra nel secondo piano. Il cornicione aggettante è modanato e poggia su mensole. La facciata posteriore che guarda verso viale Umberto appare mossa: comprende il giardino e un cortile con ingresso verso la strada. Interessante è una loggia, oggi chiusa da muri e finestre, composta da colonne doriche.
L’interno presenta un atrio imponente caratterizzato dalle belle decorazioni ottocentesche a finti stucchi dipinti e dal bel pavimento in battuto veneziano novecentesco, al centro del quale tornano le iniziali M P. La scala a tenaglia ha i gradini in ardesia e porta direttamente al piano nobile, quello di rappresentanza, che ospita sin dal 1875 il Circolo Sassarese.
Sappiamo che alla decorazione delle sale lavorarono molti artisti quali il milanese Giovanni Dancardi, che, insieme al genovese Davide Dechifer, lavorava, nella seconda metà del XIX secolo, alle decorazioni del Palazzo della Provincia di Piazza d’Italia, o il sassarese Antonio Sassu, anch’egli impegnato nel Palazzo Provinciale. Forse a loro si possono attribuire anche le decorazioni delle scale.
Nel piano nobile dove, come detto, è il Circolo Sassarese, sono delle belle sale di rappresentanza con interessanti arredi d’epoca quali mobili, lampadari e vari salotti, è una sala da ballo di quasi 100 metri quadrati, la più grande della città.
Il giardino ad agrumeto mostra una bella scala esterna a doppia rampa che lo collega al piano nobile del palazzo; un pozzo circondato da un colonnato classico a gazebo; le siepi di bosso che affiancano i vialetti e un tratto delle antiche mura della città, ancora visibili con un’antica lapide murata nel retro dell’antica casa Quesada di via Usai forse proveniente da altro sito ma qui certamente dal XIX secolo. Essa recita: «SUB AÑO AB IN CARNACIOE DM/ MDI MAGNIFICI VIRI ANTHOIO/ CONTONA NICOLAI PILO ANTONI/ ANGOS JOHIS SOIA GEORGIO MAR/ RAS HOCANO COSILIARI CIVITATIS/ SAIHIS EMERUT ET FABRICAVNT/ DOMU HAC ?PROVJCJOHVII? CIVITATE» (“Nell’anno dell’incarnazione di Nostro Signore 1501 i magnifici gentiluomini Antonio Contona, Nicolò Pilo, Antonio Angius, Giovanni Soggia, Giorgio Marras Ogiano, Consiglieri della Città di Sassari acquistarono e fabbricarono questa casa per funzione della stessa Città”).


Proseguendo la Via Mercato si arriva alla Via Sedilo che, percorsa, ci immette nel Largo Felice Cavallotti dove al numero 13 è il Palazzo Delitala di Sedilo e Canales e poco più giù l’interessante facciata del Palazzo Diaz, il Palazzo Tomè (già Giordano) e il Palazzo Bozzo, questi ultimi due nella Piazza Azuni. Sempre dalla Piazza Azuni si può osservare nel Largo Ittiri il Palazzo Ledà d’Ittiri già Toufani di Nureci e Asuni che oltre a una pianta articolata presenta anche un’interessante facciata posteriore. Dei Ledà un don Gerolamo fu nell’Ottocento Sindaco della Città.

Palazzo Delitala di Sedilo poi Dessì: Al n. 13 è il Palazzo che appartenne alla Nobile famiglia Delitala Marchesi di Sedilo. Acquistato dal noto tipografo Giuseppe Dessì alla fine del XIX secolo fu parzialmente ricostruito per gli usi della tipografia, che divenne in breve tempo una delle più importanti dell’Isola. Vi abitò sino alla morte il famoso pittore Stanis Dessy (Arzana 1900 – Sassari 1986), marito di una nipote del tipografo Dessì.


Palazzo Diaz: L’interessante immobile fu edificato intorno al 1891 per ospitare nel prospetto sul Largo Cavallotti la Ditta Bancaria Fratelli Costa, fondata a Sassari nel 1887 dai fratelli Domenico e Giovanni Battista Costa Bozzo, originari di Santa Margherita Ligure, come emanazione della Francesco & Antonio fratelli Costa della quale i due erano titolari.
Il palazzo, costruito su progetto dell’ingegner Luigi Fasoli, per conto di Assunta Costa Bozzo, moglie di Giovanni Battista, era definita costruzione speciale nell’interno, per renderla adatta alle operazioni bancarie e commerciali. Per la fabbrica si spesero circa 500.000 lire (il Palazzo Giordano di Piazza d’Italia, dello stesso progettista, ne costò 600.000). L’ingresso agli appartamenti e ad altre attività commerciali della famiglia si trovano in Via del Carmine.
La banca che aveva una filiale a Genova ed era collegata a diverse altre banche, tra le quali la Hummel di Genova, la Bozzo Costa di Ajaccio e la Banca Agricola Sarda di Sassari e che nel 1890 era diventata rappresentante del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, e che in seguito rappresenterà anche la Banca Russa di Genova e la Banca Popolare di Napoli, fallirà nel 1901. L’edificio, ritiratisi in Liguria i Costa Bozzo, divenne proprietà della Nobile famiglia Diaz e con questo nome è conosciuto in città.

Palazzo Bozzo: L’imponente palazzo fu costruito intorno agli anni ’70 del XIX secolo in stile genovese, con ammezzati tra un piano e l’altro, da maestranze fatte arrivare appositamente da Genova, dai fratelli Giovanni Battista e Luigi Bozzo Costa, originari di Santa Margherita Ligure che, con altri parenti, erano giunti in Sardegna nella prima metà dell’800 dando vita a numerose attività commerciali con proficui scambi tra l’Isola e la Liguria, specializzandosi infine nella commercializzazione del caffè. Il palazzo presenta un prospetto piuttosto elaborato con bugnato e grandi archi che comprendono due livelli. L’ingresso agli appartamenti avviene dal Vicolo Bertolinis, riservando per uso delle attività commerciali i grandi locali presenti nel prospetto principale. Ancora oggi appartiene in parte agli eredi Bozzo.
Palazzo Tomè (già Giordano): L'immobile, nella seconda metà dell'800, appartenne al Barone Cesare Giordano Apostoli (1832 - 1920) e al fratello Andrea (1833 - 1924). A metà anni '20 del XX secolo, venne acquistato dal Commendator Giuseppe Tomè (1890 - 1966), commerciante e collezionista d'arte, che alla morte nominò suo erede il Comune di Sassari.

Palazzo Ledà: Nel Largo Ittiri, al n. 7 è un bell’edificio conosciuto come Palazzo dei Conti Ledà d’Ittiri. Nel passato era proprietà di Don Francesco Mearça Conte di Nureci e Asuni. Passò poi per successioni ereditarie ai Ledà d’Ittiri e ai Palici (Paliacho) di Suni Marchesi della Planargia. In antichità sembra fosse la dimora della nobile famiglia Garrucho.
Il Palazzo, oltre a una pianta articolata presenta anche un’interessante facciata posteriore e una insolita grande terrazza che affaccia sullo slargo.
Dei Ledà un don Gerolamo fu nell’Ottocento Sindaco della Città.



Risalendo Largo Cavallotti si nota sulla destra la Chiesa della Madonna del Rosario. Al termine di Largo Cavallotti si arriva nella Piazza Castello e risalendo ancora si arriva in Piazza Italia dove si trovano, tra gli altri, il Palazzo della Provincia ed il Palazzo Giordano.
Chiesa della Madonna del Rosario: L’edificio fu edificato tra il 1632 e il 1635 dalla Confraternita del Santissimo Rosario e nacque insieme al Convento dei frati Domenicani che era situato nell’area attigua, oggi occupata dal Palazzo delle Poste (progetto dell’architetto Cippelli 1922); nel 1682 venne rimaneggiata la navata e tra il 1683 e il 1686 vennero decorate in stucco le cappelle laterali.
Dell’interno si ammira la coerenza degli arredi, realizzati tutti in pietra e stucco a simulare preziose sculture e finte tarsie marmoree – salvo l’altare maggiore in legno intagliato, dipinto e dorato – con la volontà tutta barocca dei costruttori di voler stupire, impressionare e ingannare. Presenta un’unica navata, affiancata da tre cappelle per lato, con profondo presbiterio a pianta quadrata, il tutto è voltato a botte.
I recenti restauri hanno restituito al Tempio l’aspetto che aveva alla fine del ‘600 e hanno messo in luce le scritte originali dei cartigli presenti sopra ogni altare, cosa che ha permesso di riscoprire il disegno liturgico originario dell’edificazione della Chiesa. Gli altari sono tutti simili, in stucco e, così come le pareti e la volta, sono dipinti a simulare il marmo.
Nel presbiterio possiamo ammirare quello che forse è il più bel retablo ligneo della Sardegna, un tripudio di decorazioni fitomorfe dorate su fondo grigio perlaceo, opera seicentesca di maestranze locali. Finito di costruire a Sassari nel 1696, è alto 13 metri e largo 8. Negli altari laterali sono collocati diversi dipinti di prestigio risalenti per lo più al XVII secolo.

Chiesa della Madonna del Rosario

Piazza Castello:

Caserma della Brigata Sassari (Piazza Castello): Intitolata al Generale Alberto Ferrero della Marmora, fu costruita in stile Umbertino sulle macerie del distrutto castello nella seconda metà del XIX secolo. Sede del 152° Brigata Sassari, al suo interno è custodito il Museo Storico della gloriosa Brigata. Nel cortile sono un pozzo con un cunicolo sotterraneo e, murati alle pareti, cinque antichi stemmi, salvati dalla demolizione dell’antica fortezza.

Piazza Italia

Il Piano di ingrandimento e abbellimento della città di Sassari fu disegnato nel 1829 dall'architetto regio Giuseppe Cominotti e ridefinito in dettaglio dall'ingegner Enrico Marchesi nel 1836. L'ingrandimento della città e l'edificazione fuori dalle mura furono concessi dal sovrano Carlo Alberto con un Regio Pregone, seguito dal decreto prescrittivo del 1838. Piazza d’Italia nasce grazie al Piano Urbanistico che prevedeva, oltre a vari interventi sul centro storico e la cinta muraria, anche la creazione di due piazze, una circolare, nell'area del pozzo di rena, realizzata solo per metà e denominata poi Emiciclo Garibaldi, e una ottagonale, circondata da edifici porticati e in asse col piano del castello dalla quale partivano quattro vie. Solo successivamente la piazza assumerà nelle carte l’odierna forma quadrangolare. Dei portici previsti se ne realizzarono soltanto una piccola parte, limitata agli edifici che uniscono Piazza Castello a Piazza d’Italia, le classicheggianti case Quesada-Mannu a sinistra e Basso, poi Saccomanno, a destra.
Realizzata materialmente a partire dal 1872, dalle dimensioni di un ettaro esatto, la piazza si caratterizzò subito per le eleganti architetture Umbertine che le fanno tutt’oggi da contorno. Quella d’angolo con la Via Roma a destra, e con ingresso in quest’ultima, appartenne ad Antonio Segni (Sassari 1891 – Roma 1972), Ministro e poi Presidente della Repubblica Italiana, che qui visse prima di trasferirsi nel Palazzo Carta di Viale Umberto, proprietà della famiglia della moglie.
Nel 1890 un apposito comitato volle erigere una statua al “Padre della Patria” Vittorio Emanuele II. Si decise di affidare l'esecuzione dell'opera allo scultore Giuseppe Sartorio (Boccioleto 1854 - Mar Tirreno 1922) e di collocarla al centro della piazza. Il 4 maggio 1896 si aprì una sottoscrizione pubblica per finanziare il basamento della statua, ormai ultimata. Il monumento fu completato nel luglio 1898; l’opera è alta 4,50 metri su una base di metri 7,45 di altezza e 6,10 di lato. La cerimonia di inaugurazione avvenne il 19 Aprile 1900 in concomitanza con la visita alla città dei sovrani, il re Umberto I con la regina Margherita.
Palazzo Quesada:

Palazzo Quesada
Palazzo Giordano: Attuale sede della Banca Intesa–San Paolo, venne costruito a partire dal novembre del 1877 per conto del Nobile Giuseppe dei Baroni Giordano Apostoli, Deputato e Senatore e fondatore del quotidiano La Sardegna (era marito di Enedina Sanna, una delle ricchissime figlie dell’imprenditore e Deputato Giovanni Antonio Sanna) su progetto dell'ingegnere Giuseppe Pasquali al quale subentrò l'architetto Luigi Fasoli, che ne curò tutti i dettagli e le decorazioni.
L'edificio in stile neogotico si articola su tre livelli caratterizzati da un bugnato rustico in trachite al piano terreno e da un intonaco dipinto a fasce bicrome (oggi assai attenuate) negli alzati. Porte e finestre sono archiacute, ridotte a eleganti bifore trilobate nel piano nobile. Il profilo del palazzo è accentuato dalla presenza di lesene con fregio e, al di sotto del cornicione aggettante che regge il coronamento balaustrato, originariamente decorato da una teoria di busti marmorei, vi è una lunga serie di archetti pensili archiacuti.
Le sfarzose sale interne sono anch'esse decorate e arredate in stile neogotico, ricche di fregi, stucchi e importanti affreschi realizzati dal pittore Guglielmo Bilancioni (Rimini 1836 – 1907)
Nel passaggio di proprietà avvenuto nel 1921 a favore del Banco di Napoli si è conservato gran parte del lussuoso arredo interno originario, realizzato dalla ditta sassarese dei Fratelli Clemente, la stessa che integrerà il mobilio per uso della banca.

Palazzo Lombardo e Ponzeveroni - Viale:

Palazzo Lombardo e Ponzeveroni - Viale:



Palazzo De Vita:

Palazzo De Vita: Costruito e abitato sino alla morte da Proto Tola Delitala, venne successivamente venduto dagli eredi ad Achille De Vita.


Palazzo Basso (poi Saccomanno):

Palazzo Basso (poi Saccomanno)

Palazzo della Provincia: Nel 1872 il Consiglio Comunale concesse gratuitamente l'area per l'erezione del Palazzo della Provincia. Si decise quindi di costruire un palazzo di grande dignità e decoro in uno stile neoclassico molto accademico, stanziando l'importante somma di 600.000 lire.
Venne incaricato l'ingegnere Giovanni Borgnini, che come supervisore chiamò a dirigere i lavori l'ingegnere Eugenio Sironi (vero realizzatore dell’opera), padre del famoso pittore Mario Sironi, che proprio a Sassari nacque durante i lavori nella non lontana Via Roma al n. 31. La prima pietra venne posta il 18 ottobre 1873, e nel 1878 l'edificio venne inaugurato. Il 10 Luglio 1800 entrò in funzione il grande orologio posto a coronamento della facciata, realizzato dalla Ditta Granaglia di Torino e nel 1882 furono completate le imponenti decorazioni interne, con lavori in legno tra gli altri della Ditta Fratelli Clemente, e importanti affreschi che rievocano le imprese risorgimentali e la storia sassarese e della Sardegna realizzati da Giovanni Dancardi, Davide Dechiffer e, soprattutto da Giuseppe Sciuti (Zafferana Etnea 1834 – Roma 1911).
Il costo totale arrivò a 1.100.000 lire, ma il nuovo edificio poteva vantare una superficie di 4.456 metri quadrati divisi in 265 ambienti, un cortile d'onore porticato e due di servizio, più un grande giardino, che lo rendevano come dimensioni, funzionalità e architettura fra i più moderni e migliori edifici amministrativi della Nazione. Destinato all’Amministrazione Provinciale e alla Prefettura, ospitò diverse volte i sovrani d’Italia in visita alla città, le cui stanze conservano i nomi (come la stanza della Regina) e molti degli arredi originali. L'atrio d'ingresso ospita le lapidi dei caduti nel Risorgimento e nella Grande Guerra.

Con la visita al Palazzo della Provincia, ed in particolare agli appartamenti reali, termina il nostro itinerario.