Visita guidata nel quartiere Castello (Cagliari) - secondo itinerario
di Luigi Orrù di San Raimondo
Piazza Arsenale – Piazza Indipendenza – Via Lamarmora (primo tratto) – Vico Martini – Via Santa Croce – Via Università – Via De Candia – Via Lamarmora (ultimo tratto) – Piazza Carlo Alberto – Piazza Palazzo – Via Martini – Piazza Indipendenza
Piazza Arsenale
Anche questo itinerario per le strade di Castello parte da una importante piazza, la Piazza Arsenale.
Ingresso al Castello da Viale Buoncammino: Alla Piazza Arsenale si può accedere dal Viale Buoncammino o dalla Salita de S’Avanzada. L’arrivo da Viale Buoncammino ci permette di ammirare la Porta Cristina, costruita nel 1825 da Carlo Pilo Boyl di Putifigari. Nella foto in bianco e nero scattata nel 1854 da Edouard Delessert si nota come dietro la Porta fossero presenti dei fabbricati che rendevano angusta la Piazza Arsenale. |
Ingresso al Castello
dalla salita di S'avanzada: In quest’altra foto in bianco
e nero, anch’essa scattata dal Delessert nel 1854, si nota l’ingresso
orientale al Castello che precedeva la porta di S’Avanzada. Oggi l’arco
non esiste più e la lapide che ricorda la sistemazione della zona
da parte di Vittorio Amedeo II nel 1728, è posta sulla roccia a destra. |
Porta di San Pancrazio: |
Regio Arsenale:
Già nel 1825, la sistemazione della Porta dell’Arsenale,
effettuata da Carlo Pilo Boyl di Putifigari, contribuì a modificarne
l’aspetto. Le successive demolizioni degli edifici e la riqualificazione
del “Regio Arsenale” a Cittadella dei Musei ne sancì
la “conversione” da area dedicata a scopi militari e difensivi
ad area destinata a funzioni “civili”. |
Palazzo delle
Seziate: La Piazza Arsenale è divisa dalla Piazza Indipendenza
dall’imponente Palazzo delle Seziate. Il nome di questo Palazzo
proviene dalle "sedute" durante le quali i viceré spagnoli
ascoltavano le rimostranze e le suppliche dei detenuti nelle adiacenti
carceri ubicate presso la torre di San Pancrazio. Il nucleo originale,
ad un solo piano, risale alla fine del XVI - inizi del XVII secolo mentre
la sopraelevazione fu compiuta nel 1838, come ricorda un'iscrizione posta
sulla porta visibile dalla Piazza Indipendenza. |
Piazza Indipendenza
Superato il portico del Palazzo delle Seziate entriamo
nel quartiere Castello arrivando nella Piazza Indipendenza. Il monumento più
significativo è la Torre di San Pancrazio, costruita in epoca pisana.
Nella Piazza si trova poi il Conservatorio della Provvidenza, il Museo Archeologico,
il Palazzo Sanjust ed il Palazzo Amat.
Torre di San Pancrazio: La torre venne edificata
nel 1305 dall’architetto Giovanni Capula a difesa dell’ingresso
settentrionale di Castello. Nel 1328 gli Aragonesi murarono il lato
verso la Piazza Indipendenza, ed adibirono la torre in parte come dimora
dei propri funzionari, in parte come magazzino. Con l’apertura
del palazzo delle Seziate, nel XVII secolo, la torre perse la sua funzione
di ingresso al Castello e venne utilizzata come carcere fino alla fine
dell’800. Nel XX secolo venne riaperto il lato verso la Piazza
Indipendenza. |
Conservatorio
della Provvidenza: Il complesso è stato fino al 1831
Collegio dei Nobili. Successivamente ospitò il Conservatorio
delle figlie della Provvidenza. Venivano qui ospitate ragazze provenienti
da famiglie povere che, come dice lo Spano, "vengono educate nella
pietà, ed instruite nei primissimi rudimenti dell'umano sapere,
e nelle faccende domestiche. La maggior parte hanno piazza gratuita,
e le altre pagano la pensione di L. 400". Qui insegnò dal
1885 al 1889 Suor Giuseppina Nicoli, oggi beatificata. Col tempo il
Conservatorio funzionò da collegio per ragazze fino alla sua
chiusura avvenuta alla fine degli anni '90. Attualmente l'edificio necessita
di un intervento di ristrutturazione e riqualificazione. |
Conservatorio della Provvidenza |
Museo Archeologico
: Il Museo venne costruito tra il 1904 ed il 1906 su progetto
dell’Ing. Dionigi Scano nel luogo dove sorgeva il carcere femminile.
Le sue importanti collezioni sono state trasferite dal 1993 nei locali
della Cittadella dei Musei (P.zza Arsenale). |
Palazzo
Sanjust: L’area del palazzo fu originariamente sede
di un Convento fino ai primi del ‘600, subito dopo divenne sede
dell’Università e nell’Ottocento caserma e scuderia.
Nella sua forma attuale il palazzo è databile alla fine dell’800
e la sua storia è legata a due grandi personaggi di questa
importantissima famiglia: Edmondo ed Enrico Sanjust. |
Via Lamarmora
Palazzo
Amat (Via Lamarmora, 138 - Piazza Indipendenza, 2): Le prime
notizie sugli abitanti del palazzo risalgono alla seconda metà
del ‘700 quando ne risultano proprietarie Donna Anna Maria Serra
(vedova di Don Giovanni Battista Masones) e la figlia Anna Masones.
Il palazzo venne acquistato dallo Stato nel 1799 per essere restaurato
e messo a disposizione del futuro Re Carlo Felice, il quale però
preferì l’ospitalità dell’amico Stefano
Manca nella Villa d’Orri. La casa venne dunque venduta nel 1801
per Lire sarde 26.753, soldi 8 e denari 10 al Marchese di Villarios
Don Francesco Amat. Successivamente il palazzo fu venduto dal Marchese
di Villarios al cugino Vincenzo Amat Amat, Marchese di San Filippo.
Ancora oggi è abitato dai discendenti di Vincenzo Amat Amat. La Casa, che dà sia sulla Piazza Indipendenza che sulla Via Lamarmora, venne ampliata alla fine dell’800 su progetto di Edmondo Sanjust addossando l’edificio alla Chiesa della Purissima. Nella volta dell’atrio è dipinto lo stemma della famiglia Amat. |
Palazzo Amat |
Palazzo
Amat (V. Lamarmora 159-155): Il palazzo appartenne nel XIX
secolo a Don Giuseppe Amat Amat e Donna Cristina Manca Thiesi. Don
Giuseppe (nato nel 1791 e morto nel 1867) era il figlio cadetto di
Don Giovanni Amat Manca Guiso, Marchese di San Filippo, Marchese d'Albis
etc, e Donna Eusebia Amat Baronessa di Sorso. Oltre a questo palazzo,
Don Giuseppe risultava proprietario del palazzo poco distante in Via
Lamarmora 135-133, poi passato ai Sanjust di San Lorenzo e successivamente
ai Ruda. |
Chiesa
della Purissima (V. Lamarmora): Subito dopo Palazzo Amat
e di fronte ad un altro palazzo posseduto da Giuseppe Amat di San
Filippo (fratello del Marchese Vincenzo Amat Amat), troviamo la Chiesa
della Purissima. La Chiesa, deve il proprio nome al monastero della Purissima Concezione, costruito nel 1554 e di cui divenne parte integrante (in tempi più recenti l’area del monastero è stata ristrutturata ed adibita ad istituto scolastico). Nel 1554 infatti la nobildonna Gerolama Ram, esponente di una famiglia originaria di Saragozza e stanziatasi a Cagliari, mise a disposizione cinquantamila lire sarde per la costruzione del monastero e qui si ritirò a vivere, secondo le regole di Santa Chiara, assieme a cinque compagne. La costruzione del monastero della Purissima fu voluta e sostenuta anche dall’Arcivescovo di Cagliari e dalla nobile famiglia Brondo, il cui patronato sulla chiesa è attestato dallo stemma nobiliare, posto sopra l’arco a sesto acuto. Durante l’esilio della corte sabauda la Chiesa fu il luogo della preghiera del Re Carlo Emanuele IV e della moglie Maria Clotilde. Costruita in stile gotico, vi si accede attraverso l’ingresso laterale con arco a sesto acuto (sopra il quale, come detto, troviamo lo stemma Brondo). L’interno è a navata unica divisa in due campane coperte da volte a crociera, con tre cappelle laterali per lato, a pianta rettangolare e volta stellare, comunicanti con la navata attraverso archi a sesto acuto modanati a tori e gole. La Chiesa, chiusa da circa trent’anni per interminabili lavori, sarà prossimamente riaperta al pubblico. |
Svoltando sulla destra in Vico Martini, e proseguendo
dritti si entra in quello che anticamente è stato il ghetto degli ebrei.
Via Santa Croce
La storia degli ebrei in Sardegna è molto antica. Rinviando agli eccellenti scritti di Cecilia Tasca sull'argomento, possiamo dire che i primi insediamenti risalgono al 19 d.C. durante l'Impero di Tiberio. A questo primo trasferimento ne seguirono diversi altri in quanto l'isola fu sempre considerata terra di confino, ed è quindi molto probabile che essi a più riprese siano stati trasferiti in Sardegna per motivi religiosi o di ordine pubblico. Per poter parlare però di vere e proprie comunità ebraiche organizzate dobbiamo aspettare la conquista aragonese. A Cagliari è probabile che già durante la dominazione pisana fossero presenti famiglie ebraiche lungo l'odierna Via Santa Croce. L'arrivo nel Castello di diverse famiglie ebree catalane e maiorchine nel 1332 costrinse in breve tempo gli ebrei ad occupare la via Santa Croce, la Via Corte d'Appello e la Via Stretta, dando vita ad un vero quartiere con concessioni ed un vero e proprio ordinamento. La comunità ebraica raggiunse il suo apice verso la metà del XV secolo, quando raggiunse le 1000 unità, e la sua juharia (ormai scissa in due tra una parte più antica ed una minore) occupava ormai un buon terzo del Castello. Nel quartiere ebraico era naturalmente presente anche una sinagoga, al posto dell'odierna Chiesa di Santa Croce, già esistente nel 1341.
Percorrendo la Via Santa Croce sulla sinistra è possibile
vedere la Chiesa di Santa Maria del Monte.
Chiesa di Santa Maria del Monte |
Chiesa
di Santa Maria del Monte: La Chiesa fu eretta nella seconda
metà del XVI secolo dall’omonima Arciconfraternita. |
La
Confraternita del Santo Monte della Pietà, istituita nel 1530,
ebbe tra i suoi compiti principali l’assistenza ai bisognosi,
la visita ai carcerati, il conforto e la sepoltura dei condannati
a morte. Dal momento in cui la sentenza di morte diventava esecutiva,
il condannato veniva preso in consegna dalla comunità del Santo
Monte di Pietà e, prelevato dalla sua cella nella torre di
San Pancrazio veniva trasferito nella chiesa. Settantadue ore fino
ai primi dell’Ottocento, e ventiquattr’ore poi, era il
tempo che il condannato doveva trascorrere nella chiesa, e in quelle
ore si alternavano presso di lui il sacerdote e i confratelli. Dopo
aver ricevuto gli ultimi pasti in vasellame d’argento, il condannato
veniva accompagnato al patibolo e alla sepoltura. I Confratelli, infine,
si occupavano di custodire gli strumenti dell’esecuzione per
evitare che venissero utilizzati per sortilegi e di bruciarli nel
giorno di San Giovanni Battista. |
Interno della Chiesa |
Ex
Caserma San Carlo: Proseguendo, sulla parte destra è
possibile vedere i locali che un tempo ospitarono la Caserma San Carlo.
Il complesso, costruito nel 1738, si compone di due edifici separati
da un lungo cortile. Nel portale compare una lapide che ricorda la
costruzione. Parte dell’ex caserma è stata recentemente
ristrutturata e riaperta al pubblico per mostre ed eventi culturali. |
Basilica
di Santa Croce: La chiesa, costruita lì dove un tempo
era la Sinagoga, venne affidata nel 1530 alla Confraternita del Santo
Monte di Pietà che la tenne fino al 1564, anno in cui i gesuiti
arrivarono a Cagliari ed ebbero la Chiesa con alcuni locali adiacenti.
La Chiesa venne rinnovata ed ingrandita grazie alla benefattrice Donna
Anna Brondo Orrù, esponente di una delle più ricche
famiglie cagliaritane. La famiglia Brondo, originaria di Maiorca,
ebbe i titoli di Marchese di Villacidro, Marchese di Palmas e Conte
di Serramanna. Donna Anna, morta nel 1598, aveva nominato eredi testamentari
e curatori della sua anima i padri della Compagnia di Gesù.
Nel 1661 Don Felice Brondo, terzo Marchese di Villacidro, ricordava
la sua antenata, di cui si dichiarava pronipote, facendo scolpire
sul frontone d’ingresso lo stemma marchionale portante inquartate
le insegne dei Brondo, Gualbes, Ruecas e Zuniga e la scritta “A
Donna Anna Brundo, fondatrice, l’illustrissimo Don Felice Brondo,
Marchese di Villacidro, Pronipote, nell’Anno 1661”. |
Collegio
Gesuitico : Tra la Chiesa di Santa Maria del Monte e la Basilica
di Santa Croce, nella Via Corte d'Appello parallela a Via Santa Croce,
si trova il Collegio Gesuitico di Santa Croce, oggi sede della Facoltà
di Architettura dell'Università di Cagliari. |
Ritornando in via Santa Croce e proseguendo, arriviamo ad uno slargo in cui si trovano la Chiesa di San Giuseppe Calasanzio e la Torre dell’Elefante.
Chiesa
di San Giuseppe Calasanzio: I lavori di costruzione della
Chiesa, avviati a partire dal 1663, proseguirono fino al 1700 e, dopo
vent’anni di interruzione a causa delle guerre di successione
spagnola, verranno ripresi nel 1720, per concludersi nel 1735. |
Torre
dell'Elefante : La Torre dell’Elefante venne costruita
dai pisani nei primi anni del 1300 e terminata nel 1307 dall’architetto
Giovanni Capula. Durante la dominazione spagnola il lato verso Nord
venne murato e la torre venne utilizzata come Prigione di stato. Nella
Torre vennero esposte per diciassette anni le teste mozzate di Don
Silvestro Aymerich, Don Francesco Cao e Don Francesco Portugues, accusati
dell’omicidio del Viceré Camarassa nel 1668, mentre il
Marchese di Cea, Don Jacopo Artaldo di Castelvì, fu giustiziato
nella odierna Piazza Carlo Alberto e il suo corpo sepolto e tumulato
dai confratelli del Monte di Pietà nella Chiesa di Santa Maria
del Monte. |
Via Università
Ex Collegio degli Scolopi |
Ex Collegio
degli Scolopi: Sulla sinistra, all’inizio della Via
Università, troviamo l’ex collegio degli Scolopi, oggi
sede del Liceo Artistico. |
Palazzo
dell'Università : L’Università degli
Studi fu istituita nel 1626 durante il regno di Filippo IV, re di
Spagna. Sotto Carlo Emanuele III, re di Sardegna, nel 1764 l’ingegnere
militare Saverio Belgrano di Famolasco elaborò il progetto
per sistemare in un unico complesso il palazzo dell’Università,
il Seminario Tridentino ed il Teatro, quest’ultimo mai realizzato.
Una volta rientrato a Torino l’ingegnere Famolasco, il progetto
originario venne in parte snaturato e realizzato diversamente anche
per gli aspetti stilistici. Si tratta di uno dei più importanti
edifici costruiti dall’amministrazione sabauda nel Settecento
nell’Isola e si lega al programma illuministico di Carlo Emanuele
III, che comportava, tra l’altro, la riforma delle Università
sarde come sedi massime di formazione di professionalità scientifiche
ed intellettuali. La facciata, semplice e lineare, comprende tre ordini
di finestre, il primo caratterizzato da una cornice aggettante, il
secondo da un timpano curvilineo. L’ampio portale si apre sull’atrio,
dal quale si accede al cortile centrale a pianta quadrata. Una doppia
scala simmetrica dal cortile porta al bastione retrostante, mentre
una semplice scala laterale conduce ai piani superiori dove si trovano
l’aula magna con soffitto a cassettoni e interessanti dipinti
alle pareti, e le sale del rettorato |
Palazzo dell'Università |
Biblioteca
Universitaria (Ex seminario tridentino): La Biblioteca viene
istituita nel 1764 con le “Costituzioni” per la riforma
dell’Università, riceve un regolamento da Vittorio Amedeo
III nel 1785 e viene aperta al pubblico nel 1792 nella Sala Settecentesca,
al primo piano del nuovo palazzo dell’Università. Il
nucleo iniziale è costituito dai testi tratti dalla Biblioteca
privata del sovrano, da doni di personalità di rilievo come
il ministro Bogino, dai fondi acquisiti dalla soppressione dell’Ordine
dei gesuiti, dalle copie delle opere che i docenti erano tenuti a
fornire alla Biblioteca, dalle pubblicazioni degli stampatori del
Regno, dalle opere stampate a Torino dalla Tipografia Regia. Nel piano
seminterrato dello stesso palazzo che ospita la Biblioteca Universitaria,
si trova la cappella domestica delle Suore della “Congregazione
delle Figlie di San Giuseppe di Genoni. La Congregazione delle Figlie
di San Giuseppe di Genoni vide la luce proprio in questo palazzo nel
1888 per volontà del P. Felice Prinetti, allora rettore del
Seminario, che riunì il nucleo di Suore che svolgevano il loro
servizio nel Seminario Tridentino in Congregazione. Questa svolse
il suo servizio ecclesiale dal 1888 al 1956 e la Cappella domestica
rappresentava il cuore del piano abitato dalle Suore. Nel 1955 il
Vescovo di Cagliari, cedette i locali del Seminario Tridentino all’Università.
La Cappella domestica è stata restaurata tra il 2002 ed il
2004 proprio per conservare la memoria storica di un luogo tanto insigne
e per rendere omaggio alla Congregazione religiosa che proprio in
questo edificio iniziò il suo servizio ecclesiale. |
Proseguendo per la Via Università sulla sinistra
si trova l'Ex Teatro Civico.
Ex Teatro
Civico: Nel 1755 l’Ing. Belgrano, propose al governo
Sabaudo uno studio progettuale per la realizzazione nell’Area
del Balice di una struttura destinata a teatro. Tale proposta non
fu approvata dal governo, ma trovò l’interesse del Barone
Zapata, che tra il 1764 e il 1766 realizzò l’intervento.
Il teatro era costituito da un palcoscenico e da tre file di palchi.
La gestione e manutenzione del teatro divenne nel tempo un costo economico
notevole per la famiglia Zapata, tanto che nel 1831 il Teatro venne
venduto all’amministrazione civica in cambio di una proprietà
agricola nella periferia di Cagliari. Nello stesso anno iniziarono
i lavori di restauro progettati dall’Architetto Melis. |
Palazzo Boyl (Via Mario de Candia): Il palazzo venne costruito intorno al 1840 dal Conte Carlo Pilo Boyl di Putifigari. L’edificio sorge sulle rovine della Torre dei Leoni, costruita nel 1300 assieme alle Torri di San Pancrazio e dell’Elefante, e già nel ‘600 in condizioni di forte degrado. Il palazzo per le sue dimensioni è uno dei più maestosi del quartiere. Da notare la lunga balaustra in marmo con statue raffiguranti le stagioni e lo stemma dei Pilo Boyl di Putifigari. Sulla facciata sono infisse le palle di cannone a ricordo dei bombardamenti del 1708, 1717 e 1793. Il palazzo divenne alla fine del XIX secolo di proprietà del Barone Rossi ed oggi è abitato dalla famiglia Tomassini Barbarossa, discendente della famiglia Rossi. |
Via Lamarmora
Superando il portico sotto il Palazzo Boyl si può
percorrere la Via Lamarmora.
Palazzo Rossi (V. Lamarmora, 2/6 - V. Genovesi, 1/3): Il palazzo è costruito a forma triangolare con un lato verso via Lamarmora e l’altro verso via Genovesi, ed è articolato su tre piani con diversi spunti di stile neoclassico. Dalle mappe del vecchio catasto di metà 800 risulta come l edificio, sulla via Lamarmora, fosse originariamente più corto: tra il palazzo Rossi e l’ora adiacente palazzo Asquer ve n’era un altro appartenente agli eredi Arnoux, che fu inglobato nel palazzo Rossi, rendendo omogeneo l’intero fabbricato, forse ricostruito per l’occasione. Il palazzo appartenne al Barone Rossi, probabilmente il personaggio più rappresentativo di quella borghesia emersa a Cagliari nell’Ottocento. Le origini della famiglia Rossi sono calabresi. Il padre di Salvatore, Francesco Antonio, giunse a Cagliari nella seconda metà del XVIII secolo sposandosi con tal Rafaela Piras. Salvatore, nato a Cagliari nel 1775, divenne ben presto uno dei personaggi più ricchi ed importanti di Cagliari grazie alle sue attività imprenditoriali. Creato Barone nel 1847 lasciò ai suoi eredi diversi palazzi: il palazzo all’inizio di Via Lamarmora, il palazzo Boyl, il palazzo Rossi di Piazza Martiri e quello di Piazza Yenne, nonché la Villa Rossi, originariamente fabbrica e poi divenuta residenza di campagna di un ramo degli Aymerich imparentatosi coi Rossi. |
Palazzo Asquer (V. Lamarmora, 8/14): Il palazzo, piuttosto semplice stilisticamente, risulta di proprietà del Visconte Asquer fin dal XVIII secolo. |
Palazzo
Barca Pirisi (Borro) (V. Lamarmora, 18 - V. Genovesi, 7/15): Adiacente
al Palazzo Asquer troviamo salendo l'antica casa di Don Giannantonio
Borro Aymerich, concessa in enfiteusi perpetua ereditaria al conte
Don Pietro Fancello Intendente generale del Regno, che vi teneva pure
l’ufficio e vi fece dei notevoli miglioramenti, con atto ricevuto
Massa 31 ottobre 1806 previa Carta Reale del precedente 12 agosto
che lo autorizzava, essendo la casa sottoposta a fidecommesso ordinato
dal fu zio paterno monsignor Don Giovanni Antonio Borro, abate e poi
vescovo di Bosa. La casa ceduta al conte Fancello era costruita in
forma e gusto antico, e non poteva servire in gran parte che per abitazione
di piccole famiglie povere. Era formata un tempo da più abitazioni
poi riunite insieme. Nel 1804 per ordine governativo, la facciata
che dava sulla via dritta, oggi Lamarmora, fu demolita e fabbricata
di nuovo; per non avere la somma disponibile Don Giannantonio Borro
dovette prenderla a censo dagli Eredi Ponsiglioni. Dell’antica
facciata rimane oggi solo il portone bugnato alla romana, di stile
manieristico. La casa ed i suoi confini nel 1806 sono così
descritti: “una casa grande nella strada dritta, che confina
a casa dell’Ill.mo Sig. Visconte di Flumini Don Francesco Maria
Asquer a una parte, ed all’altra a casa similmente di Giuseppe
Maria Orrù, e dirimpetto a casa degli Eredi del fu Don Francesco
Maria Viale, e che prima era del Conte Musso strada frammezzo, la
qual casa posseduta sporge alla strada così detta dei Genovesi,
dove anche ha il suo comodo ingresso per altre abitazioni della stessa
casa, e confina con casa dei RR.PP. Scolopi da una parte, e dall’altra
con casa dello stesso Giuseppe Maria Orrù, e dirimpetto strada
mediante a casa degli Eredi del fu Don Ignazio Meloni”. |
Palazzo Orrù (V. Lamarmora 24/26 - V. Genovesi 17/19) |
Palazzo
delle "Cinque teste" (V. Lamarmora 27/35): Scheda
in corso di preparazione |
Palazzo
Carboni (V. Lamarmora 37/41 - V. Canelles 36/38): Scheda
in corso di preparazione |
Palazzo Asquer Nin - Pilo Manca (V. Lamarmora, 38/40 - V. Genovesi 21/27): Scheda in corso di preparazione |
Palazzo già Aymerich di Villamar (Via Lamarmora):
L'edificio tra i civici 51 e 57, di cui resta in piedi solo la facciata,
oggi murata, sulla via Lamarmora, era l'antica residenza degli Aymerich,
conti di Villamar. La sua prima attestazione risale al 1563, quando
viene nominata nell'inventario dei beni di Don Salvatore Aymerich,
Signore di Villamar, figura tra le più rilevanti del XVI
secolo. Altre due abitazioni contigue degli Aymerich erano nell attuale
via Duomo, presso il loro oratorio privato o chiesa della Speranza,
di proprietà nel 1655 una di Don Melchiorre Aymerich e l'altra
della Nobile Donna Anna de Castelvì Aymerich vedova di Don
Angelo de Castelvì, venduta all asta il 27 agosto dello stesso
anno al Cav. Gregorio Otger e posseduta dai suoi eredi fino all
estinzione della famiglia. |
Palazzo
Otger (Via Lamarmora - Vico I Lamarmora): Vedi scheda del
primo itinerario |
Palazzo Otger |
Palazzo Melis Ximenes (V. Lamarmora, 50/52) |
Palazzo Falqui |
Palazzo
Falqui (già casa detta "di Vidal) (V. Lamarmora, 54/60
- V. Genovesi 41/51): Palazzo nobiliare sconosciuto ai più,
mai compreso in nessuna pubblicazione sul Castello, ha invece una
sua storia abbastanza documentata. Prospetta sulla via Lamarmora con
una facciata piuttosto semplice, articolata su due piani alti e un
mezzanello, con quattro aperture con balconi in ferro battuto, aggettanti
quelli dei piani superiori, a filo della facciata quelli del mezzanello.
La facciata sulla via Genovesi, con un piano in più per il
dislivello tra le due strade, ugualmente semplice, è arricchita
da balconcini in ferro battuto poggianti su mensole metalliche. Originariamente
formato da due edifici stretti e lunghi, di origine medievale, uno
dei quali crollò il 23 settembre del 1759, seppellendo sotto
le sue rovine Donna Maria Grazia Falqui e la serva Vincenza, venne
ricostruito nel 1772. Sulla via Genovesi vi erano alcune stanze precedentemente
vendute all’avv. Giuseppe Carro o Carrus, estendentesi anche
verso il vicino palazzo Delitala e poi inglobato nella sopraelevazione
dei rispettivi palazzi. Le prime notizie storiche risalgono al 1734:
con atto pubblico rogato Pau Satta del 21 ottobre di quell’anno
il Protomedico generale Don Giovanni Salvatore Falqui acquistò
una casa nel Castello di Cagliari, nella strada maggiore o diritta,
confinante per davanti con le case del Marchese di Valdecalzana, detta
strada in mezzo, di spalle a casa del Dott. Joseph Carrus, da un lato
a casa che prima era del Nob. Don Joseph dela Matta e all’epoca
del Collegio delle Scuole Pie, e dall’altro lato a casa del
dello stesso Protomedico Falqui. Un altro documento del 1798 indica
i confini dell’epoca: da una parte con la casa dei PP. Scolopi,
come sopra, e dall’altra con casa che abita la Contessa di San
Lorenzo. La casa del Marchese di Valdecalzana nel 1798 era della Dama
Donna Francesca Sulis. È ben evidente dalla descrizione delle
coerenze l’unione delle due case dei Falqui: la casa degli Scolopi
è quella a Sud, conosciuta come Casa Ximenez e poi Melis, la
casa a Nord, citata nel 1734 come già appartenente ai Falqui,
nel 1798 non viene più indicata come confinante perché
inglobata nel nuovo palazzo, e viene indicato come confinante l’edificio
successivo, abitato dalla Contessa di S. Lorenzo, che è l’odierno
palazzo Delitala; il prospiciente palazzo del marchese di Valdecalzana
infine, è stato inglobato nel palazzo Sanna-Sulis. |
Palazzo
Borro Zatrillas (Serra di S. Maria) (Via Lamarmora 59 - Vico I Lamarmora):
Conosciuto anche come Cugia e, impropriamente, Carnicer, il palazzo
sembrerebbe formato dall’unione di due distinte abitazioni:
da un documento del 1645 indicante i confini della casa dirimpetto
nel vico, viene detto che quest’ultima prospettava per davanti
a casa del fu Gaspare Fortesa, posseduta dal dott. in diritto Antioco
Cani Spada e parte a casa del fu Michele Masones, allora posseduta
dal nob. Don Matteo Manconi, strada frammezzo. All’estinzione dei Borro, passò per un breve periodo in eredità alla famiglia Buschetti, attraverso Donna Giuseppa Borro Servent, unica figlia superstite di Don Giacomo Borro Zatrillas primo marchese di San Carlo, vedova del cav. Carlo Buschetti. Nel 1794 il loro figlio Don Gaetano Buschetti, canonico della cattedrale e padrone della casa “ossia Palazzo del fu Marchese Borro e ora propria del canonico Buschetti” la affittò al canonico Don Luigi Touffani, dei conti di Nureci. Il can. Touffani dovette spendere di tasca propria per accomodare la casa una discreta somma. Tra l’altro, avendo la fobia dei ladri, fece porre ovunque inferriate, anche nella scala. Alla morte del Touffani, nel 1798, la casa rimase in abbandono, “piena di immondezza, con vetri rotti e tracce di galline dentro”. Ciononostante i suoi eredi chiesero il rimborso dei lavori eseguiti nella casa. Con la scusa che le chiavi erano state consegnate all’avvocato e non al can. Buschetti proprietario, questo pretese nuovamente il pagamento del fitto, e pur di non pagare il dovuto rimborso agli eredi Touffani si dichiarò intenzionato a far levare le migliorie apportate a spese degli stessi Touffani. Donna Giuseppa Borro ved. Buschetti pretendeva alla successione del marchesato di San Carlo in quanto figlia del primo marchese Giacomo e sorella dell’ultimo possessore, morto improle, e il cugino Don Giovanni Antonio Borro, figlio di un fratello minore del primo marchese Giacomo. Con una prima sentenza del dicembre 1802 il feudo venne riconosciuto a Donna Giuseppa Borro Buschetti, ma pochi anni dopo una nuova sentenza ribaltava la prima, e il feudo venne riconosciuto a Donna Imbenia Borro, figlia del predetto cugino Giovanni Antonio. In questo modo il palazzo tornò dai Buschetti ai Borro, e da questi al figlio di Donna Imbenia, Don Giovanni Antonio Paliacio marchese della Planargia (Il primogenito Gavino era morto giovane). Intorno ai primi anni del ‘900 il palazzo venne acquistato dall’ing. Don Peppino Serra di Santa Maria, i cui discendenti lo abitarono fino al primo dopoguerra. |
Palazzo
Pes (Sanna Sulis) (V. Lamarmora 61/71 - Via Canelles, 46/48):
Accanto al Palazzo Borro, salendo verso piazza Carlo Alberto, troviamo
il bel palazzo noto come Pes o Sanna-Sulis, uno dei meglio conservati
di Castello e ricco di notizie storiche. La facciata, piuttosto semplice,
è caratterizzata da un ingresso decentrato, sulla destra dell’edifico,
ornato da una cornice di conci in pietra; tutte le aperture del pianterreno,
come dei mezzanelli, del primo, secondo e terzo piano, sono racchiuse
da cornici semplici modanate, accompagnate da eleganti balconcini
in ferro battuto, aggettanti quelli del piano nobile e del secondo
piano, a filo della facciata quelli del terzo. Superato il portone
d’ingresso, un breve androne conduce a un cortiletto, dal quale
sale la scala scoperta che conduce al piano nobile. Al di sotto della
scala una buia apertura conduce a un rifugio antiaereo e alle antiche
stalle, lasciate integre. Sul retro, lungo la via Canelles, la facciata riprende le caratteristiche di quella di via Lamarmora, presentando, sulla destra per chi guarda, un bell’ingresso ad arco, oggi purtroppo fortemente degradato, con una cornice strombata modanata, simile ad altre del quartiere, ma forse unica nel suo genere per la presenza, sopra il portone, di un ovale che un tempo conteneva un affresco, ora del tutto rovinato. La storia di questo palazzo ci riporta fino agli anni ’70 del Settecento, quando era formato da due distinti edifici attigui, uno appartenente al famoso giurista Don Pietro Sanna Lecca, con ingresso dalla via Lamarmora, l’altro apparteneva al marchese di Valdecalzana, che risiedeva in Spagna: a questo palazzo si accedeva invece dall’ingresso sulla via Canelles. Poiché il palazzo del marchese di Valdecalzana minacciava rovina e la famiglia risiedeva a Madrid, la residenza venne messa all’asta e nel 1776 venne acquistata da Don Pietro Sanna Lecca, all’epoca reggente di toga del Supremo Consiglio di Sardegna a Torino e da sua moglie Donna Francesca Sulis. Poco tempo dopo il palazzo fu restaurato ed ampliato su progetto dell’ingegnere Carlo Emanuele Varin de la Marche; nel 1781 fu eseguito un ulteriore restauro dell'edificio, su progetto e direzione dell'architetto Carlo Maino e dell'ingegner Giacinto Marciotti, innalzando la parte della via Canelles di due piani, portandola a livello del resto della casa recentemente riedificata. Non v’è certezza storica se il Sanna Lecca abbia mai effettivamente abitato in questo nuovo palazzo, né in quale piano: nel 1766, quando già ricopriva la carica di Avvocato Fiscale Regio Patrimoniale, fu infatti nominato dal re Carlo Emanuele III reggente di toga presso il Supremo Consiglio di Sardegna sedente in Torino. Pochi anni dopo ebbe dallo stesso sovrano l’incarico di raccogliere e pubblicare tutti gli editti e i pregoni emanati durante il governo sabaudo fino a quel momento. L’opera vide la luce in Cagliari nel 1775 sotto il regno di Vittorio Amedeo III col titolo “Editti, pregoni ed altri provvedimenti emanati pel Regno di Sardegna”. Già malato, il Sanna Lecca morì a Torino verso il 1780 e gli succedette nella carica di reggente il cognato Don Francesco Pes, marito di Donna Lucia Sulis sorella della moglie, che fu suo collaboratore nella raccolta degli Editti e Pregoni e già consigliere nello stesso Supremo consiglio e che, secondo il Manno, ne compilò l’introduzione. Poiché non lasciarono discendenza diretta per la morte prematura dei loro figli – Luigi Stanislao era abate di S. Maria di Cea, Raffaele, sostituto Avvocato Fiscale Regio Patrimoniale non si sposò, un’altra figlia era monaca cappuccina – Donna Francesca nel 1790 promise i suoi beni alla nipote Donna Luigia Sulis Falqui (figlia del fratello Giuseppe) in occasione del suo matrimonio con Don Giuseppe Pes Sequi, giudice della reale udienza, cosa che puntualmente adempì facendo testamento nel 1797, lasciando dei cospicui legati in suffragio della propria anima ed alla Causa Pia e vincolando il resto dei suoi beni in fidecommesso a favore della nipote e dei suoi figli e discendenti in ordine di primogenitura. Alla morte di Donna Francesca, nel 1810, si aprì una lunga vertenza giudiziaria sulla validità dei due testamenti da lei lasciati, che si concluse nel 1828 con una transazione tra Donna Luigia Sulis, sua nipote ed erede testamentaria e i suoi figli, contro la Causapia della Diocesi di Cagliari. Con questa transazione veniva stabilito che gli eredi Pes avrebbero pagato alla Causapia la somma di £ sarde 18.500 da computarsi dal giorno della transazione, in rate di 1.850 £ per dieci anni. Con successiva transazione del 1836 gli eredi Pes cedettero alla Causa Pia una porzione del palazzo di Castello, consistente nel piano nobile, mezzanello , una bottega al pianterreno e due sottani, tutti aventi ingresso nella via Lamarmora, riservandosi la proprietà degli altri due piani aventi ingresso nella via Canelles. Nell’atto di transazione sono indicate le case confinanti: la parte ceduta rifletteva in prospettiva a casa un tempo del Teologo Bardi Rettore prebendato di Guasila e posseduta allora dal canonico della primaziale Mons. Pietro Vargiu prebendato di Sanluri e Vicario Generale, nonché ad altra casa del Cav. Don Giovanni Antonio Delitala, strada mediante; da un lato a palazzo allora posseduto dal comm. Don Giuseppe Paderi giudice della Reale Udienza e dall’altro fianco a palazzo degli eredi della fu Donna Imbenia Borro Marchesa della Planargia e di Marrubiu. Gli altri piani con ingresso nella strada di Santa Caterina prospettavano invece a casa del Conte e presidente del tribunale della Reale Udienza Cav. Don Angelo Giua. Lo stesso documento ci riferisce ancora che nel 1836 il piano nobile risultava affittato al Cav. Don Salvator Angelo Satta Avvocato dei poveri, mentre la bottega era affittata al farmacista Pasquale Podda che vi abitava ed vi aveva la sua farmacia. I mezzanelli ed i due sottani erano anch’essi affittati rispettivamente all’usciere della Reale Udienza Giuseppe Antonio Figus, al sergente degli Invalidi Giovanni Battista Todde e al carrozziere Giovanni Antonio Lunis. Qualche decennio dopo il piano nobile venne acquistato dal giudice De Raimondi mentre la bottega e i mezzanelli vennero acquistati dalla famiglia Lanero. La parte di via Canelles venne divisa tra la stessa famiglia Lanero e gli eredi Pes-Sulis: dapprima fu la residenza del conte Pietro Pes, reggente la segreteria di Stato e successivamente passò ai figli del fratello conte Raffaele Pes che vi risedettero fino ai primi anni del ‘900, quando il conte Michele Pes ereditò dagli zii materni Corte e Castelli l’altro palazzo, già del Conte Viale, all’inizio della via Canelles e vi si trasferì. |
Palazzo
Pes di Villamarina (V. Lamarmora, 75): Il palazzo, caratterizzato
da un bel portone bugnato, con arco a tutto sesto, permette di accedere
ad un cortile piuttosto ampio. Ebbe diversi proprietari tra cui ricordiamo
i Marchesi Pes di Villamarina. Nella seconda metà del XIX secolo
ospitò il Circolo Filarmonico. |
Palazzo Delitala di Manca (Via Lamarmora, 62/66): Scheda in corso di preparazione |
Palazzo Falqui (Via Lamarmora): Il palazzo Falqui distrutto dai bombardamenti del 1943 |
Piazza Carlo Alberto: |
Ex Palazzo di Città: vedi
primo itinerario in Castello |
Cattedrale: vedi primo itinerario in Castello |
Piazza Palazzo (edifici esistenti fino ai primi del XX secolo): Scheda in corso di preparazione |
Palazzo Martini (V. Martini): Scheda in corso di preparazione |
Palazzo Amat (Piazzetta Mundula):
Il Palazzo, costruito alla fine del XVII e posseduto dalla famiglia
Amat (poi denominato Manca di San Placido per il matrimonio avvenuto
nel 1857 tra Giacomo Manca Conte di San Placido e Marchese di Busachi
e Maria Amat Amat, figlia del Marchese di San Filippo e Barone di
Sorso Vincenzo Amat Amat), venne acquistato nel 1912 dall’Amministrazione
Provinciale che nel 1925 riconfigurerà la facciata principale
in maniera simile al palazzo regio. Il palazzo venne lesionato dai
bombardamenti del 1943 e, seppur riparato nel 1946, presentò
lesioni così profonde da rendere necessaria la sua demolizione
nel 1972. Attualmente, al suo posto, sorge una piazzetta intitolata
a Mercede Mundula. |
Chiesa di Santa Lucia (V. Martini):
La Chiesa venne edificata intorno al 1539, anno in cui il Viceré
di Sardegna la donò con l’adiacente monastero ad un gruppo
di monache clarisse inviate da Barcellona a Cagliari da papa Paolo
III. La Chiesa è priva di una vera facciata e si confonde con le costruzioni adiacenti risultando interna all’Asilo Umberto e Margherita. L’Asilo infatti è ospitato nel vecchio monastero delle Clarisse mentre la Chiesa, con un ingresso indipendente, presenta nella cappella sinistra le caratteristiche del gotico catalano e nella cappella destra i successivi interventi con inserimento di strutture barocche. La navata è unica, divisa in due campate voltate a crociera con gemma pendula al centro. Il presbiterio è coperto da una volta stellare con nervature ogivali e gemme pendule ed è raccordato all’aula tramite un arco a sesto acuto che scarica su capitelli di foggia gotico-catalana. |
Palazzo Onnis (V. Martini 18/26 - V. Canelles 93/91): Scheda in corso di preparazione |
Piazza Mafalda: Foto della Piazzetta Mafalda prima che nel 1937 venissero demolite una fila di case |
Piazza Indipendenza: Il nostro secondo
itinerario termina in Piazza Indipendenza. |
Piazza Indipendenza |