Cavalierato e nobiltà

Il cavalierato ereditario introdotto in Sardegna con la dominazione aragonese del 1323, era concesso dal Re con speciale diploma (privilegio militar, de cavallerat) emanato in forma solenne e munito delle segnature del Supremo Consiglio d'Aragona (sotto la Spagna) o di quello di Sardegna nell'epoca sabauda. I diplomi spagnoli recano il nome e cognome dell'investito (non la paternità) e anche (ma non di frequente) il luogo di nascita. In quelli sabaudi sono contenuti in genere dati più precisi sul concessionario (paternità, luogo di nascita) e più particolari specificazioni circa i motivi che danno luogo alla concessione che, negli spagnoli, sono espressi in formule cavalleresche generiche, comuni a tutti i diplomi. Non mancano però, anche nei diplomi spagnoli, casi di motivazione specifica, specie quando il titolo è concesso in conseguenza di un atto singolarmente gradito alla Corona, come la partecipazione ad un fatto d'armi, o altro che riveli un particolare attaccamento al Re o alla causa regia.
Non di rado i motivi personali che danno luogo alla concessione sono di scarso rilievo e hanno bisogno, particolarmente nei diplomi sabaudi e specie in quelli degli ultimi anni della monarchia, di essere integrati dal versamento di una somma , alla Regia Cassa, il cui ammontare (da 1500 a 6000 lire sarde) è indicato nei diplomi stessi. Le motivazioni per il conferimento del cavalierato e della nobiltà sono: particolari servizi resi allo Stato in determinate circostanze speciali, benemerenze acquistate nel campo della scienza, nelle pubbliche cariche, nel Regio servizio e anche, più recentemente, l'incremento dato all'agricoltura nonché le opere edilizie fatte a cura di privati nel pubblico interesse. Un requisito che è sempre specialmente menzionato, è la fedeltà e il particolare attaccamento del concessionario alla causa regia ed alla Corona.
Precedeva l'invio del diploma di cavalierato la commissione regia (cartilla de armaçon) diretta al Viceré (o ad altro illustre personaggio che lo rappresentava), per mezzo di particolare lettera regia, perché armasse cavaliere il concessionario.
Il Viceré con cerimonia solenne in cui non era neppure dimenticata l'accolade degli antichi tempi, lo cingeva della spada. Dopo tale cerimonia il Re rilasciava il diploma o privilegio in cui approvava l'operato del Viceré, autorizzando il concessionario a chiamarsi cavaliere in tutti gli atti pubblici e privati, e ad adottare le armi gentilizie concessegli (particolarmente descritte nel diploma di concessione), e cioè a farle figurare nella propria casa, a portarle nei tornei, a fregiarsene secondo le norme consuete, col diritto di trasmetterle ai suoi figlie e discendenti maschi.
In pari data, o qualche giorno più tardi, veniva rilasciato, all'investito del titolo, anche il diploma di nobiltà, che dava in Sardegna il diritto alla qualifica di Don. Non di rado le armi gentilizie, anziché essere concesse, come di consuetudine, col diploma di cavalierato, erano conferite a parte, mediante speciale diploma. Durante il governo sabaudo, è frequentissimo il caso di conferimenti di cavalierato e di nobiltà non accompagnati dalla concessione di alcuno stemma gentilizio. Nonostante la mancanza di tale concessione, i discendenti dei concessionari si trovano oggi quasi tutti in possesso di uno stemma di famiglia la cui legittimità viene ammessa dalla Consulta Araldica, con la dimostrazione dell'uso ultratrentennale di esso, corroborata, quando è possibile, da altre prove equipollenti quali l'esistenza dell'arma in uso in tombe, monumenti o cimeli familiari.
Le formule di concessione della nobiltà erano piuttosto generiche. Nell'Archivio di Cagliari non si conservano concessioni (di cavalierato e nobiltà) anteriori alla prima metà del secolo XV. Nelle più antiche che si possiedono, il titolo di nobile è conferito anche collettivamente, non singolarmente, a più persone, con un unico diploma.
Si dà pure il caso che alla concessione del cavalierato non si accompagni quella della nobiltà. Ciò potrebbe dipendere dal fatto che del secondo diploma, per smarrimento o mancata registrazione, non è rimasta traccia; o che il concessionario non fu, sic et simpliciter, gratificato della nobiltà. O infine che il concessionario stesso non adempì, dopo la concessione del cavalierato, alle indicazioni impostegli, purché venisse gratificato di entrambi i privilegi.
La nobiltà si estende a tutta la discendenza maschile e femminile dell'investito, ma la donna non la trasmette ai discendenti. Il cavalierato si trasmette ai discendenti maschi (cioè in linea retta), ma non, naturalmente, alle femmine. La donna maritata può portare maritale nobili i titoli di Nobile e Donna, ma non li conserva oltre lo stato vedovile (Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano, del 1929, art.18). Secondo una disposizione, la donna nubile perde le qualifiche nobiliari per effetto del matrimonio e quindi anche quello di Donna, anche se si deve ammettere che la disposizione non abbia effetto retroattivo (cfr. Gazzetta Ufficiale n°55 del 1930, R° D° 14-2-30 n°101).
Così il diritto della donna a tali qualifiche derivante dalla nascita, prima personale a vita, viene a subire una grave restrizione, con la conseguenza che le donne nubili non nobili, sposando un nobile, lo diventano; mentre le donne nobili, sposando un non nobile, perderanno la qualifica.

Prova del cavalierato e della nobiltà
Per provare il cavalierato o la nobiltà, occorre dimostrare l'attacco genealogico cl primo concessionario. A ciò soccorrono gli atti di nascita o di matrimonio dei discendenti, o altri documenti idonei a tal prova. Grande utilità offrono a tale scopo i registri dello stato civile conservati nelle Curie Arcivescovili o Vescovili anteriormente al 1865. Mancando uno degli attacchi genealogici può suffragare, come criterio equipollente, la prova del possesso del titolo di cavaliere o di nobile (congiuntamente ad altre circostanze e documenti), per varie generazioni di ascendenti del richiedente. Costituiscono valido elemento per la prova anche gli elenchi dei cavalieri, nobili, feudatari, compilati dalle singole Prefetture dell'isola nel 1822 per ordine del Governo.

Privilegi dei Cavalieri e Nobili
I Cavalieri e i nobili che erano esenti dalla giurisdizione del Veghiere e del loro assessore al pari dei loro servi e familiari, erano soggetti da tempo immemorabile, a quella dei Luogotenenti Generali e dei Governatori. L'ingiuria arrecata ad un nobile da una persona di bassa condizione era punita più gravemente che non quella arrecata ad uno del popolo. I nobili potevano liberarsi con denaro dalle ingiurie arrecate ai plebei (v. Dexart). Essi erano colpiti con la deportazione quando ai plebei si applicava la pena di morte, e la relegazione era, in loro riguardo, sostituita alla pena del remo cui era condannato il plebeo. I membri dello Stamento, e cioè i feudatari, i nobili e i cavalieri, dovevano essere giudicato da un Consiglio di Pari. Si eccettuavano i delitti di lesa maestà divina e umana, la sodomia, la falsificazione di moneta, il sacrilegio in monastero. Con Carta Reale 23-8-1633- S.M. confermava il capitolo di corte 18° concesso nel Parlamento celebrato nel 1511, prescrivente che i cavalieri, in materia criminale, venissero giudicati con il voto del Reggente la R. Cancelleria, d'un giudice della Reale Udienza e di sette pari.
Godevano del privilegio di portare armi e di non potere essere disarmati (così pure i loro familiari) dagli ufficiali regi. Se poi in teoria i cavalieri non potevano essere torturati se non nei casi citati di lesa maestà, di sodomia, di falsa moneta, ecc…nel Regno di Sardegna, ci dice il Dexart, "no hi ha memoria de homens en contrari que hage vist militar torturat". Il pregone prescrivente che non si ponesse mano alla spada, non si intendeva esteso ai militari e alle persone dello Stamento. I cavalieri e i militari non potevano essere presi e carcerati per debiti civili. Inoltre i militari erano esenti da molte imposizioni.
I cavalieri non feudatari potevano essere imbussolati e estratti a sorte per la carica di consigliere di Cagliari. I cavalieri e i nobili facevano parte dello Stamento Militare e potevano pertanto intervenire di diritto tanto alla riunioni stamentarie dei tre bracci congregati insieme, quanto a quelle separate, che lo Stamento Militare era autorizzato a tenere. Infine i cavalieri potevano in Sardegna attribuirsi la qualifica di Don in quanto fossero pure nobili, essendo essa, come pure oggi, il distintivo della nobiltà sarda, nonché di varie famiglie principesche e di molte famiglie lombarde. Non spettava quindi tale qualifica ai semplici cavalieri.
Il Codice feliciano mantenne ancora il giudizio dei pari sancendo che i feudatari, i nobili e i cavalieri fossero esenti dalla giurisdizione ordinaria e che non potessero essere citati se non davanti alla R.Udienza o alla Real Governazione (rispettivamente nel capo di Cagliari e in quello di Sassari). Le sentenze poi che condannavo un nobile o un cavaliere alla pena di morte non potevano eseguirsi senza la regia approvazione. I nobili e i cavalieri che dessero ricetto a banditi, oltreché con la pena pecuniaria sancita dalle prammatiche, erano puniti con quella di dieci mesi di presidio, o con altra maggiore o minore, a seconda dei casi.
Quelli che semplicemente li proteggessero, erano soggetti al sequestro della giurisdizione baronale e alla pena di 1000 scudi. Per il codice feliciano i ricettatori di banditi di qualunque stato, grado o condizione, erano puniti con la pena da un anno di carcere a tre anni di galera (Codice Feliciano, art.1752).

Esclusione delle nobiltà dalle cariche civili.
I feudatari ed i nobili (non i cavalieri) erano esclusi dal reggimento della città di Cagliari, ostandovi i privilegi concessi a questa. Le domande per essere ammessi alle cariche cittadine, fatte nei parlamenti, non furono accolte. L'influenza dei feudatari e dei nobili con tutti i loro grandi privilegi avrebbe assicurato infatti ad essi una forza preponderante in seno al Consiglio. Così i consiglieri e l'Università del Castello ottennero l'esclusione ad tempus dell'elemento militare dal Corpo Consolare. L'esclusione si estendeva un tempo sia ai nobili che ai semplici cavalieri. Ma mentre per i feudatari e signori di vassalli esisteva un valido motivo di incompatibilità, a cagione di alcuni privilegi posseduti in loro pregiudizio dalla città, come la provvisione di frumento, di carne e altre derrate, non ne esisteva alcuno contro i militars non heretats. Perciò nel Parlamento del 1497, concluso nel 1511, si chiese dallo Stamento e si ottenne "que los militars non heretats" potessero entrare nel reggimento della città. Il Re Ferdinando, con prammatica 14-4-1511 (v. Dexart), aderendo all'istanza del sindaco dello Stamento Militare stabilì, in analogia ai principi della costituzione barcellonese, che per un triennio venissero imbussolati per le cariche di consigliere i nomi di dieci cavalieri (esclusi i nobili, i baroni e i feudatari), con qualche altra condizione o limitazione. Sembra lecito ritenere che, ferma sempre l'esclusione dei nobili e dei feudatari (i quali non potevano esercitare alcuna carica regia se non rinunciano ai loro feudi, né coprire quella di vicario), siano rimasti, anche in seguito, abilitati i semplici cavalieri. Tale norma almeno vigeva ancora nel 1641, come risulta dal Dexart.

La nobiltà sarda dopo il 1848
Con l'unione della Sardegna agli stati continentali (30 novembre 1847), l'isola cessava di reggersi, oltre che con bilancio separato, con legislazione indipendente da quella del Piemonte. Da quella data di fondamentale importanza storica, i codici e le leggi di terraferma sostituirono la secolare legislazione costituita dai vecchi codici spagnoli, dalle carte reali, dagli editti e pregoni iberici e piemontesi, già riuniti e compendiati sistematicamente in un solo corpo, col codice feliciano (1827). I feudi erano stati riscattati pochi anni prima dell'annessione (1836-1844) con la clausola che ai feudatari e ai discendenti di essi, fossero riconosciuti i titoli loro spettanti in base ai diplomi di infeudazione.
Il riscatto feudale e l'accennata unione venivano pertanto a chiudere definitivamente il libro delle concessioni nobiliari sarde fatte in base alle antiche leggi e consuetudini e ne circoscrivevano l'ambito ai discendenti delle antiche famiglie, che continuano tuttora a portarli, mentre i titoli di tante altre, per graduale estinzione degli eredi maschi, non hanno più rappresentanti.
Il R.D. del 16-8-1926, n°1489, trasfuso nell'Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano, approvato con R.D. 21-1-1929 ha inoltre disposto, in deroga alle vecchie concessioni sovrano del diritto sardo, variamente disciplinanti i feudi impropri (cioè trasmissibili per linea femminile in mancanza di maschi), che "i titoli, i predicati e gli attributi familiari non si trasmettano alle femmine, né per linea femminile (art.54); che quelli già concessi alle femmine, spettino alle medesime durante lo stato nubile e non diano luogo a successione (art.57) e che la successione dei titoli, predicati e attributi nobiliari, abbia luogo a favore dell'agnazione maschile dell'ultimo investito, per ordine di primogenitura, senza limitazione di gradi e con preferenza della linea sul grado (art.54). estinte le linee maschili, aventi per stipite comune la femmina intestataria del titolo, questo con gli annessi predicati dovrà tornare, previe lettere patenti di regio assenso, all'agnazione maschile della famiglia cui apparteneva prima della promulgazione delle leggi abolitive della feudalità., osservate le norme dell'art. 54 (art.59).
Pertanto anche questa legge porta indubbiamente a circoscrivere e restringere sempre più la cerchia dell'antica aristocrazia sarda, molte famiglie della quale godevano del privilegio di trasmissione dei titoli per linea femminile. Così il libro delle famiglie isolane, chiusosi definitivamente nel 1848, andrà sempre più assottigliandosi e perdendo i rappresentanti degli antichi titolati (cavalieri, nobili e feudatari). Si noti ancora che in Sardegna, a differenza delle antiche repubbliche italiane, non esisteva una nobiltà decurionale, poiché i comuni vi ebbero vita breve e poco fiorente.

Caratteri della nobiltà sarda
Si è notato altrove che i conferimenti di cavalierato e nobiltà a sudditi sardi cominciano a riscontrarsi nei primi decenni del secolo XV come risulta dalla serie dei più antichi rilasciati in favore degli isolani. Per quanto riguarda le concessioni feudali, in numero ben limitato furono quelle fatte a sardi fedeli nei primi tempi della conquista e più tardi a cittadini di Sassari e Bosa distintisi nell'assedio di Monteleone e Bonvehi (1436) contro Nicolò Doria, quali validi cooperatori degli aragonesi. Gli isolani cominciarono quindi ad essere ammessi nei ranghi della nobiltà non fornita di feudo solo nel secolo XV e, in misura ristrettissima, continuano ad appartenere a quella feudale, partecipando così dei benefici riservati ampiamente ai conquistatori. Cedeva man mano la diffidenza di questi verso gli indigeni, di fronte a prove inconcusse e manifeste di fedeltà alla causa regia, che facevano allontanare ogni sospetto di ribellione e di autonomia. Nondimeno la più alta e potente aristocrazia restava sempre etnicamente e politicamente, come all'inizio della conquista, catalano-aragonese (e tale continuerà a restare in seguito), poiché i feudi più numerosi ed importanti si trovavano in potere di quelle famiglie i cui antenati erano venuti dalla Spagna a fianco dei re e dei principi, per la spedizione di Sardegna. Né i re vollero permettere che l'elemento sardo acquistasse importanza politica nell'isola, non accedendo mai alla domanda degli impieghi e delle prelature agli isolani, più volte ripetuta nei parlamenti, sia per poterne disporre a favore dei magnati spagnoli, sia per prudenziale misura di governo. È significativo che le maggiori cariche, soprattutto quelle di viceré, siano rimaste durante i secoli, monopolio esclusivo, o quasi, degli spagnoli e dei piemontesi.
Così si spiega facilmente come al momento del riscatto feudale la Sardegna era ancora infeudata per massima parte ai discendenti delle antiche famiglie d'origine iberica quali i Sanjust, gli Aymerich, i Pilo, i Zapata e gli Amat, per tacere di altre potentissime, che non si degnavano ormai più di risiedere in Sardegna. La conquista aragonese aveva evidentemente segnato il tramonto dell'antica nobiltà indigena costituita dalle dinastie dei giudici, dai loro parenti e dai loro principaliores degli staterelli sardi nel lungo periodo dell'autonomia (gli Athen, i De Serra, i De Laccon, i De Thori).
Pur tuttavia gli isolani, dal secolo XV in poi, continueranno ad essere ammessi, sempre più largamente, nei ranghi del cavalierato e della nobiltà, come rivelano le concessioni relative, che si fanno più numerose nei secoli XVI-XVII e numerosissime sotto la dominazione sabauda, favorite anche, come abbiamo visto, da ragioni patrimoniali e da motivi d'interesse pubblico.
Venne pertanto meno alla Sardegna la sua remota nobiltà indigena la quale, in un primo tempo, per la vigorosa penetrazione pisana e genovese e poi per il processo rapido e violento dovuto alla conquista, fu soppiantata da una nobiltà di importazione. Quella nuova composta di elementi locali, che cominciò a formarsi un secolo dopo la prima spedizione iberica, non sorse per forza propria né in contrasto con l'autorità regia, come, in antico, nei grandi stati continentali, ma come benigna emanazione della monarchia e priva per lo più di feudi, e mal si fuse con quella feudale e potentissima che era figlia della conquista. Infatti non pochi avversari della potenza o prepotenza dei baroni che, nella memoranda rivoluzione del 1796 si schiereranno con Don Giovanni Maria Angioy, leader del movimento, erano insigniti del cavalierato e della nobiltà.
I sardi nella maggioranza dei casi impetrarono dalla maestà sovrana i privilegi nobiliari (anche se non mancarono concessioni di cavalierato e nobiltà fatte dalla Corona in ricompensa di benemerenze in imprese belliche o per sussidi pecuniari offerti in tali imprese) e non di rado, soprattutto negli ultimi tempi, corroborarono le loro istanze col versamento di somme considerevoli al tesoro regio, come dimostrano incontrastabilmente i diplomi di concessione. Così ben poco poté fare per l'isola questa nobiltà indigena di uomini nuovi asservita alla corona, nella cui orbita e secondo i cui interessi, era portata a muoversi e ad esplicare la sua azione.
La casa di Savoia, seguendo qualche esempio precedente, creò, specialmente negli ultimi tempi (fenomeno del resto non peculiare al regno sardo) una nuova nobiltà a carattere feudale. Non avendo campo o non trovando opportuno di concedere nuovi feudi e dopo l'abolizione dei medesimi, non avendo la possibilità, ricorse all'espediente di annettere titoli feudali a territori demaniali o anche di proprietà privata del concessionario, oppure di conferire sic et simpliciter (ad es. nel caso del Barone Rossi), i titoli stessi senza alcun speciale predicato. Su queste concessioni prive di giurisdizione o di diritto, o almeno di fatto per mancanza o quasi di vassalli, abbiamo altrove fermato l'attenzione chiamandole impropriamente feudali. Alcune di esse hanno infatti un contenuto esclusivamente onorifico, essendo soltanto dirette a conferire un lustro e decoro al concessionario, e alla sua famiglia. Possono dirsi di tale natura e di data assai recente, molte fra quelle che hanno per predicato il nome di un santo o il cui predicato è per lo più il nome di un possesso territoriale privato dell'investito. Queste concessioni nulla hanno di feudale se non il titolo, il territorio e la fedeltà alla corona, né presentano alcuna affinità, se non formale, con le antiche concessioni di feudi, le quali avevano la base politica della conquista armata e della difesa contro i non infondati pericoli di una ribellione allo straniero. Resta però ad esse il carattere remuneratorio di speciali e devoti servizi resi alla corona e pertanto è evidente e preponderante in esse l'elemento del vassallaggio. In epoca recente, la concessione di feudi e dei relativi titoli, rappresenta anche un compenso dato dalla corona in contraccambio di cessioni di diritti patrimoniali.

Il feudo e la nobiltà feudale in rapporto alla politica di conquista
Riesce agevole, dopo queste considerazioni, tracciare rapidamente le linee d'evoluzione della nobiltà feudale e del feudo in Sardegna.
Gli aragonesi, per affermare ed estendere il loro dominio nell'isola, operarono con sagacia e prudenza politica, sfruttando abilmente quella grande arma di conquista che era il feudo. Si spiega così la formazione, nella prima metà del XIV° secolo, di un potente nucleo feudale nella parte meridionale dell'isola, centro delle prime loro fortunate operazioni. Esso ha per base i grandi feudi di Quirra e di Mandas detenuti dai fedelissimi Carroz, congiunti del sovrano e suoi cooperatori con gli altri baroni catalani, aragonesi e valenzani, venuti a seguito del principe per la grande impresa.
Assicurata Cagliari dalla parte del mare, con la sconfitta dei pisani (1325) e contro la minaccia dei Donoratico dopoché questi furono dichiarati ribelli e spogliati dei loro possedimenti in Sardegna (1355), si costituiva in vasto territorio infeudato una base formidabile e sicura di azione militare. Si dominava così l'iglesiente e si tagliava in pari tempo la strada agli arborensi, potenti signori di Oristano, e minaccia grave per i regi. Si pensi che il ribelle Mariano poté, nel 1355 e nel 1367, giungere alle porte di Cagliari e mettere a repentaglio la sicurezza del Castrum, ove gli Aragonesi avevano già potentemente iniziato (1327) la catalanizzazione dell'isola, come manu militari l'avevano iniziata in Alghero (1355) e in Sassari (1329), dopo le ribellioni di queste città.
Ma la preoccupazione più grave per i conquistatori doveva essere la parte settentrionale dell'isola ancora sotto il dominio dei genovesi, dei Doria e dei Malaspina, più esposta a pericoli da parte del mare e della Corsica e meno tranquilla per il fuoco di perpetua ribellione che vi tenevano acceso quelle potenti famiglie, spalleggiate dalla repubblica di Genova. Anche Sassari per le sue recenti rivolte (1325 e 1329) e per il suo glorioso passato di autonomia non era tale da rassicurarli appieno. Non mancarono pertanto i tentativi di penetrare vigorosamente con il feudo anche nel settentrione e di costituire con esso altrettante rocche di difesa e di offesa attorno al giudicato arborense, contro i Malaspina e i Doria.
Lo dimostrano le infeudazioni di Terranova e quelle di molte ville della Nurra, della Gallura e del nuorese, ove evidentemente si cercava di iniziare una base sicura di dominio, sebbene con scarso successo. Ai Doria, ai Malaspina, momentaneamente pacificati, si dovettero riconfermare i feudi riconoscendo il dominio dei primi sull'Anglona, su Monteleone e su Castelgenovese (1355-1357) e dei secondi su Osilo (1325-1325-52) ritardando così la penetrazione nella parte settentrionale dell'isola. Il Monteacuto, concesso in un primo tempo, unitamente a Terranova, a Giovanni d'Arborea gli fu violentemente ritolto dal giudice ribelle quando scoppiò il conflitto fra quest'ultimo, il fratello e il Re. Né certo fu estraneo alla rottura l'acume del regolo arborense, che intese perfettamente le mire dei conquistatori, suoi antichi alleati e ora suoi forti nemici. Il predominio quindi della corona dovette limitarsi nel settentrione alla stretta zona nord-est, ove Giovanni d'Arborea e Giovanni Carroz, fedelissimi sudditi erano già investiti di feudi: e cioè di Terranova e di Monteacuto il primo (1375); di Mandas, Orgosolo e dei villaggi della curatoria di Seurgus (1350) il secondo. Anche il feudo di Terranova si riunisce poco dopo (28 ottobre 1376) nella famiglia di Giovanni Carroz per la concessione fattane dalla Corona in quell'anno a Benedetta d'Arborea di lui moglie. Ma gli avvenimenti dovevano precipitare in favore dei dominatori. La spedizione di Aimerigo di Narbona riusciva fatale ai loro nemici, che si erano illusi di trovare nel visconte un potente alleato. La sconfitta di Sanluri (1409) doveva dare una grave colpo alla potenza arborense, che ormai non potrà più arginare la preponderanza decisa dei vincitori. Resa vana la resistenza di Leonardo Cubello dalle armi di Pietro Torrellas, il primo scende a patti tanto gravi che, può dirsi, segnino di fatto la rovina della vecchia e gloriosa dinastia arborense (1477). Alla perdita del titolo di giudice si accompagna per i patti del 1410 quella più concreta della diminuzione del territorio, che viene ristretto alla città di Oristano, ai tre Campidani e al Goceano, con perdita del Monteacuto e del Marghine, potenti sentinelle avanzate del giudicato. Sul Goceano stesso gli aragonesi, nonostante la concessione del 1410, pare si arroghino dei diritti, poiché lo vediamo infeudato nel 1421 al Centelles e soggetto ad incursioni di sardi capitanati dal ribelle Barzolo Manno. Se poi tale infeudazione fu arbitraria e illegale, dimostra per se stessa che ormai il marchese di Oristano nn destava più preoccupazioni.
La Corona, quasi un secolo dopo la spedizione, analogamente a quanto aveva fatto nel cagliaritano, riesce finalmente a costituire nel nord dell'isola, un formidabile centro feudale in favore di una potente famiglia iberica, quella dei Rivosecco-Centelles. Questa considerazione spiega pertanto la cessione in feudo a Bernardo di Riusec (alias Gilaberto de Centelles, che coprì anche la carica viceregia nel 1421 e 1422), delle contrade tolte agli arborensi e la costituzione del Contado di Oliva che gareggia, per vastità, potenza e ampiezza di privilegi, col feudo meridionale di Quirra.
Negli anni 1421 e seguenti, si riuniscono in mano dei Centelles il Marchesato del Marghine, il Ducato di Monteacuto, l'anglona, la Baronia e il castello di Osilo già tolto a Brancaleona, marito di Eleonora (1390). I Doria, ricacciati verso il mare nelle ultime loro rocche di resistenza (Castelsardo, Monteleone e Bonvehi), mediante l'aiuto dei magnati sardi, fedeli alla corona, saranno ben presto completamente debellati e annientati con la confisca dei loro possessi (1436). Alcuni di questi sardi fedeli otterranno concessioni feudali di poco rilievo; altri costituiranno il primo considerevole nucleo di nobiltà non feudale che, come si è visto, avrà sviluppo, con scarsa potenza politica, nei secoli posteriori.
Queste, in rapporto al feudo, le linee della politica aragonese e il piano della conquista così felicemente attuato. Le numerose concessioni feudali minori, fatte in genere a famiglie catalane, aragonesi e talora a sardi fedeli, ne confermano e completano il quadro. Nei centri urbani esclusi dal feudo come i più importanti (Cagliari, Sassari, Iglesias, Alghero, Castelsardo e più tardi Oristano e Bosa), gli aragonesi e poi gli spagnoli, esplicano assiduamente la loro influenza o sovrapponendo addirittura ai vecchi, istituti catalani, (come a Cagliari e ad Alghero), o facendo opera assidua di penetrazione per mezzo delle istituzioni e dei costumi iberici (specie di diritto pubblico), oppure trasformando gradualmente le indigene e le antiche comunali.
Resta da considerare l'evoluzione del feudo dal lato giuridico. Il carattere patrimoniale non fu, nel feudo sardo, mai disgiunto dal carattere politico, poiché la proverbiale "avara povertà di Catalogna" portò, fin dai tempi della conquista, a sfruttare il feudo come cespite di reddito anche per gli impellenti bisogni delle guerre. Alienazioni di feudi e specialmente trapassi a titolo oneroso, furono quindi frequenti fin dai primi tempi. Senonché, dopo il secolo XV, venne meno al feudo sardo la sua funzione di strumento di conquista e di base delle operazioni belliche, come si è già notato altrove. Il detto di Ugolino, feudum est beneficium, non definisce quindi esaurientemente la sua funzione in Sardegna, come vuole il Mondolfo, e, come ha acutamente osservato il Solmi, non ne mostra che un solo aspetto. Né, assicurata la conquista, viene meno in esso ogni carattere politico, in quanto i poteri amministrativi e giurisdizionali inerenti alle concessioni feudali perdureranno, con non sostanziali limitazioni, fino al riscatto, restando sempre il feudo, fino a quel momento, la base del sistema di governo.
Nel breve periodo della dominazione austriaca, risorgono per poco le concessioni nobiliari, feudali o di altre cariche a scopo prevalentemente politico, fatte cioè dal nuovo governo col fine di ricompensare e tenersi fedeli i suoi partigiani, validi artefici della conquista contro la Spagna (in realtà anche la Spagna si comportava nella stesso modo, anche si gli sforzi fatti non le avevano evitato la perdita della Sardegna).
Durante il periodo sabaudo le concessioni feudali, sebbene perfette nei loro tre elementi, trovano non di rado principale movente in un particolare e determinato interesse del regio fisco, in quanto rappresentano l'equivalente della cessione, in suo favore, di beni ed emolumenti da parte dei nuovi investiti; oppure anche in un interesse pubblico, quale l'accrescimento della popolazione e la colonizzazione dell'isola.
Nello stesso periodo si affermano le concessioni a base beneficiaria che possono chiamarsi impropriamente feudali, cioè tali non intrinsecamente, ma per elementi esteriori (titolo, territorio, emolumenti patrimoniali di carattere non tributario) e nell'ottocento quelle di puro titolo. Tali concessioni, che il Mondolfo non distinse chiaramente dalle altre né per epoca né per funzione, potrebbero, a differenza delle seconde, essere esattamente definite dal detto di Ugolino.
Alla nobiltà non feudale degli ultimi tempi (sec. XVIII e XIX) venne meno ogni influenza politica diretta, anche per il fatto della mancata convocazione dei parlamenti dopo il 1698. Che essa, al pari della nobiltà feudale, non fosse rassegnata quietamente a questa violazione del Trattato di Londra (1718), lo dimostra la domanda fatta dagli Stamenti nel 1793 per la convocazione di tali assemblee, come si era fatto in passato; domanda che rimase frustrata dal corso degli avvenimenti posteriori. Così la levata di scudi delle classi nobiliari e borghesi (1794-1795) per il ripristino e la conquista di vantaggi e privilegi in ricompensa delle benemerenze acquisite dai sardi contro i francesi (alle quale volle darsi, a torto, significato di rivendicazione nazionale anziché, come fu realmente, di ristretto e particolare interesse di classi), ebbe a restare, si può dire, lettera morta.
Non di rado i titoli feudali sono concessi con la clausola che i titoli stessi possono essere portati dal primogenito durante la vita del padre.

Concessioni del semplice cavalierato
Normalmente in Sardegna alla concessione del cavalierato si accompagna quella della nobiltà e quindi i cavalieri sono anche nobili (i nobili isolani poi, derivanti il loro titolo da concessioni e diplomi del regno sardo anteriori al 1848, sono pure cavalieri. Le famiglie sarde che hanno il solo titolo di nobile senza quello di cavaliere derivano la loro concessione da S.M. il Re d'Italia). Quest'affermazione può però farsi solo limitatamente alle concessioni posteriori al sec. XVII. Gli esami degli elenchi degli intervenuti alle assemblee parlamentari persuade infatti che le concessioni del semplice cavalierato, più frequenti nei quattro secoli di dominazione spagnola, si fecero assai limitate nel periodo successivo.
In queste liste, ove anche per ragioni giuridiche, e cioè per il controllo dei documenti conferenti il diritto di intervento alle riunioni stamentarie, i titoli erano attribuiti agli intervenuti con scrupolosità ed esattezza, troviamo elencate molte persone insignite del semplice cavalierato. In tali casi l'appellativo Cavaller, segue il nome delle medesime, preceduto dall'appellativo di Mossen, o Micer o Amado. Così, nel parlamento del 1553-1554 (Viceré d'Heredia), troviamo un Mossen Bartolomeo Sellers cavaller, un Micer Prospero Serra cavaller e così pure un Micer Virgili Ruiz, un Amado Duran Guio, un Thomas Aleu, un Ambroso Larca, un Eliseu Dore e un Joan Galeazzo, tutti qualificati solamente cavallers. Resta però il fatto che gli intervenuti indicati con il duplice titolo di Noble Don (o Noble Dona) precedente il nome o, come altri, col semplice Don, hanno sui primi una grande preponderanza numerica. È caratteristico che non troviamo attribuita ai nobili, in tali elenchi, la triplice qualifica moderna: Cav. Nob. Don, pure essendo costoro anche cavalieri.
Gli stessi provvedimenti riferiti più sopra, che autorizzavano i semplici cavalieri a sedere nei consigli della città di Cagliari, confermano che le concessioni del semplice cavalierato prive della nobiltà, dovettero essere più numerose dei quattro secoli della dominazione spagnola. Tuttavia anche allora il numero dei cavalieri fu più ristretto in confronto di quello dei nobili tra i quali andavano annoverati moltissimi feudatari, compresi i più potenti possessori di grandi feudi. D'altra parte la nobiltà non feudale (cavalieri e nobili) creata per controbilanciare, specie nei parlamenti, l'influenza di quella potentissima fornita di feudo, ben rispondeva nelle congreghe stamentarie, per numero di voti almeno, a tale scopo politico.
Feudatari non nobili né cavalieri, qualificati semplicemente heretats si riscontrano pure frequentemente negli atti dei parlamenti. Erano mercanti arricchiti o, in genere, borghesi facoltosi che, unitamente al feudo, acquistavano anche il diritto di intervenire a quelle assemblee. Col tempo essi però ottennero generalmente la concessione del cavalierato e della nobiltà delle quali la corte regia non fu mai troppo avara ai propri fedeli; oppure, alienato il feudo per ragioni economiche, rientrarono nelle file della borghesia scomparendo, di conseguenza, dalle liste stamentarie.
Dal 1720 in poi, sono assai limitate le concessioni del semplice cavalierato, perché, unitamente a questa, i concessionari ottengono anche quella della nobiltà. Riepilogando, il nobile feudatario è qualificato come Nobile Don o semplicemente Don in precedenza al nome, seguito dall'appellativo heretat; il feudatario non nobile come Mossen, Magnifich Mossen o Amado prima del nome seguito dall'appellativo heretat; il semplice cavaliere come mossen, o micer, o amado che precedono il nome, mentre il titolo di Cavaller lo segue; il semplice nobile e cavaliere insieme, col Don o col Noble Don a precedenza del nome; il Donzello con amado o mossen che precede il nome e con la qualifica di Donzell che lo segue. Questa qualifica ricorre spessissimo negli elenchi stamentari anteriori al secolo XVII.

Abuso di titoli nobiliari
Contro l'abuso di titoli nobiliari il R.D. Legge 20-3-1924, n°442, ha stabilito che, indipendentemente dall'applicazione della pena comminata per l'usurpazione di titoli quando il fatto costituisca il delitto previsto dall'art.186 del cessato codice penale (in data 30-6-1889), chiunque, sia in documenti ufficiali, sia in qualsiasi atto giuridico o anche negli ordinari rapporti sociali, faccia uso di titoli o attributi nobiliari che non risultino appartenergli da conforme iscrizione nei registri della Consulta Araldica, sia punito con l'ammenda da Lit.1.000 a 5.000 (art.5). che in caso di recidiva non possa essere applicata un'ammenda inferiore al doppio di quella precedentemente inflitta (esclusa l'oblazione nel caso stesso) e che una quota delle ammende applicate per le singole contravvenzioni, sia devoluta agli agenti autori delle denunzie (stesso art.5). Nessuno può far uso di titoli e attributi nobiliari se non sia iscritto come legittimamente investito di tali titoli o attributi nei registri della R. Consulta Araldica. Dell'inscrizione fa fede l'annotazione nell'Elenco Ufficiale Nobiliare, approvato con R.D. 3-7-1921 n°972 e nei successivi elenchi supplementari, approvati e depositati nei modi stabiliti dal detto decreto (art.1°).
I notai e gli ufficiali dello stato civile e tutti gli altri pubblici ufficiali, non potranno attribuire ad alcuno, in atti pubblici o in qualsiasi atto o documento di carattere ufficiale, titoli o attributi nobiliari se non risultino appartenenti all'interessato dagli elenchi suindicati, o se l'interessato non dimostra di esserne investito, esibendo un certificato d'iscrizione nei registri della Consulta Araldica, sotto pena dell'ammenda di Lit. 500 o 1000 (art.4).
Numerose famiglie che hanno diritto a titoli nobiliari non si trovano iscritte in registri della Consulta Araldica e nell'Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana, e persistono tuttora nella trascuranza di far le pratiche relative, sia per ragioni economiche, sia perché noncuranti dei titoli nobiliari loro appartenenti. È frequente il caso che dei diversi rami di una famiglia, facenti capo allo stesso concessionario, sia iscritto il solo ramo primogenito o anche il primogenito ed alcuni degli ultrogeniti, e che i rimanenti rami collaterali, con i loro discendenti, non curino affatto l'iscrizione nei libri araldici. Si dà anche il caso di casati con numerosi rappresentanti viventi, i quali non figurano nel citato elenco nobiliare. Tutti costoro, pur avendo potenzialmente il diritto a titoli nobiliari, cadrebbero, per mancanza del decreto di riconoscimento, nelle sanzioni della legge se li portassero pubblicamente. In sostanza, allo stato attuale delle cose, gli elenchi ufficiali non contengono che una parte dei casati nobiliari e dei nobili.

Concessioni nobiliari di carattere particolare
Non mancano concessioni di cavalierato e nobiltà fatte personaliter tantum, ad ecclesiastici. Hanno caratteristiche speciali le concessioni del cavalierato e delle armi gentilizie (oltre che della nobiltà) fatte a donne purché profittino ai figli. Così il 13-6-1778, a favore di Donna Maura Marras furono spediti tali diplomi, perché ne fosse fatta la trasmissione ai figli di primo letto, maschi e femmine e ai discendenti maschi e femmine di essi figliuoli maschi immediati. Le stesse concessioni del cavalierato, della nobiltà e delle armi gentilizie, furono fatte nell'8 aprile 1774 a favore della vedova Maria Elisabetta Pugioni nata Loddo e dei suoi figliuoli e discendenti maschi e femmine, esclusivamente però ai discendenti da queste. La Pugioni aveva comprato la peschiera di Pontevecchio con la condizione di ottenere tali distinzioni nobiliari. Curioso è che, secondo la dizione del diploma, anche ad essa fu concesso il cavalierato senza però la cerimonia dell'armamento. Così essa (caso eccezionalissimo), ebbe diritto al titolo di cavaliere e ai privilegi inerenti ad esso.
Donna Maura Marras vedova Mura, nelle trattative per la concessione in enfiteusi della Montagna d'Abbasanta, chiese ed ottenne, con la nobiltà, il cavalierato per i figli di primo letto si maschi che femmine e per i discendenti maschi e femmine dei medesimi figliuoli maschi immediati, esclusivamente però ai discendenti delle femmine immediate.

Tratto dal libro "Cavalierato e nobiltà in Sardegna".