Fluminimaggiore, Villaggio del Feudo Gessa-Asquer

 

Notizie sulle famiglie Gessa e Asquer

 

Il capostipite:
Venittu (Benedetto), Bisconti (Bisconte, Pisconte, Piscompte, Pisconti) Gessa (Xex, Xexe, Xesse, Sesse, Jessa, Cessa, Giessa, de Gessa).
Lo conosciamo la prima volta in un documento del 1388, il trattato di pace tra Giovanni d'Aragona ed Eleonora di Arborea, col quale l'Università di Villa di Chiese accetta e ratifica, tra le altre condizioni, il ritorno della città mineraria dalla dominazione arborense a quella aragonese).
Si avanza l'ipotesi che l'antico cognome della famiglia Gessa fosse Visconti, divenuto Bisconti. L'origine di Venittu Bisconti è toscana, da uno di quei tanti Visconti che ebbero parte importante nella storia giudicale della Sardegna. Tra l'altro i Visconti furono alleati del Conte Ugolino della Gherardesca, e, prima in auge con lui nell'Iglesiente, subirono poi le conseguenze della sua sconfitta nelle sanguinose lotte contro Pisa. Costretti dagli eventi contrari a stare nell'ombra, si ritirarono i Visconti nel distretto montagnoso di Gessa dove, in attesa di tempi più favorevoli, poterono dedicarsi alle attività che la natura del suolo consentiva, ma soprattutto allo sfruttamento delle miniere. E da Gessa presero nome e da Gessa ripartirono le loro fortune.
I Visconti-Gessa, sin dall'inizio della conquista della Sardegna da parte degli Aragonesi, stettero dalla parte di questi ultimi. Come corrispettivo ebbero la possibilità di uscire dai recessi montagnosi di Gessa e, trasferitisi a Villa di Chiese, di mettersi in evidenza nel settore mercantile in cui prosperarono a tal punto da essere in grado di fare cospicui prestiti in denaro ai conquistatori.
Le loro preferenze per costoro rimasero anche successivamente quando Villa di Chiese si ribellò per passare al Giudice d'Arborea. In quelle circostanze i Gessa furono tra coloro che rimasero fedeli e persero beni e vite umane, ciò che fece crescere i loro meriti agli occhi degli Aragonesi. Così si spiega il successo di Bisconti, la sua crescente ricchezza, la sua autorevolezza sia presso i dominatori che, di riflesso, presso i propri concittadini.
Nel 1409, come sindaco di Iglesias guidò una delegazione presso il Re Martino per chiedere, a nome della città, perdono delle offese recate alla Corona con gli atti di ribellione e per ottenere privilegi per i suoi concittadini. Nell'occasione chiese ed ottenne privilegi anche a titolo personale, come l'esenzione dai dazi sulla produzione e vendita di cose proprie e la concessione di vigne e case in Villa di Chiese e nel territorio circostante, appartenenti a proprietari arborensi non disposti a sottomettersi ad obbedienza verso la Maestà Reale. Successivamente ricoprì le cariche di Camerlengo e di Capitano, talvolta cumulandole e fu nominato, come compenso di un credito verso la Regia Camera, Armentario e Ufficiale Regio nelle Curatorie di Sulgis e Sigerro con diritto alla metà delle riscossioni.
Nel 1421 fu al Parlamento Generale degli Stamenti, iniziato il 26 gennaio alla presenza del Re Alfonso. Come Sindaco di Villa di Chiese, che era città reale, fece parte del braccio reale con l'importante incarico di trattatore, che si occupava di attribuire le quote del donativo e di riscuoterle. In quella circostanza, con diploma del 6 febbraio, ottenne dal Re, come premio per i numerosi servigi resi prompto corde , l'infeudazione del Salto della Curatoria di Sols e quello di Montagna, situato in Canadoniga, nonché delle ville di Antas e di Flumenmajor, come pure delle ville di Gonnesa e di Gulbisa della Curatoria di Sigerro. Era entrato nel Parlamento come mercante e ne era uscito feudatario.
Il nucleo centrale del feudo era costituito da quelle terre nelle quali si era rifugiata la sua famiglia dopo i rovesci seguiti ai contrasti con Pisa, e da quelle già appartenenti a sudditi arborensi sulle quali aveva posto gli occhi nel 1409 e che chiese a Re Martino.
Questo premio ricevuto non fu senza motivo. A parte gli indubbi meriti dei Gessa, la Sardegna del 1421 non era ancora del tutto conquistata dagli Aragonesi. L'infeudazione rientrava evidentemente nella politica dei conquistatori i quali, per avere un più sicuro controllo dell'Isola, si appoggiavano oltre che ai militari, a personaggi di spicco locali, possibilmente danarosi, ambiziosi e disposti a collaborare.
Il Feudo era concesso “secundum morem Italiae” per cui era ereditabile solo in linea maschile, cessando la quale era devoluto alla Corona.
Successivamente, vennero acquistati altri feudi: del 7 giugno 1428 è un atto che documenta come Pisconte Xessa acquistò per 80 lire le ville di Margal e di Pardo Longo da Ludovico d'Aragall che le aveva ricevute in feudo dal Re Alfonso; da Matteo Vidal acquistò nel 1438 una rendita feudale di 90 libbre di alfonsini minuti sulle ville di Barega, Corongiu, e la villa di Solanas. Dai Vital Bisconti acquistò anche un'altra rendita feudale di complessive 600 libbre, di prima moneta e di moneta barcellonese, sulle ville di Baratuli, Bangiargia e Cebulles, nonché il feudo di Casas. Gli acquisti furono perfezionati con il consenso del Re, con il mantenimento dei privilegi e delle clausole derivanti dalla natura dei feudi “iuxta morem feudorum Italiae”; ma Bisconti non ebbe la possibilità di riceverne l'investitura, che ebbe invece suo figlio Elias.
Bisconti esercitò dunque diritti feudali su:

Moglie di Bisconti fu Benita Cabras. Altri suoi figli furono: Luisa (moglie di Ramon Cors), Olosurgia (moglie di Juan Pilacau), Giovanni, Saltero, Ogolino, Putxia (moglie di Raimondo de Cori).

Elias Gessa:
Fu dunque Elias l'erede diretto di Bisconti, designato con testamento del 21.6.1440 e successivo codicillo dello stesso anno. Mediante il suo Procuratore Giacomo Besora ricevette due distinte investiture dal Re Alfonso il 25.6.1445, una per i beni infeudati al padre nel 1421, l'altra per i beni acquistati nel 1428 e nel 1438. Ebbe poi la conferma delle sue concessioni in altre due investiture: il 17.9.1459 dal Re Giacomo, e dal Re Ferdinando il 7.10.1749. Tra i suoi possessi risultano anche le ville di Tului e di Perucciu, entrambe nella Curatoria di Sols, che vendette a Georgio Otger.
Come il padre ebbe una presenza non secondaria in Villa di Chiese e fu presente come Feudatario alla riunione che il braccio militare tenne nel 1448 per discutere delle richieste da presentare al Re e del donativo. A proposito del quale si ricava da un documento del 17.11.1452 che Elias aveva una rendita dal Feudo di 50 libbre di moneta cagliaritana e fu tassato per 62 lire, 14 soldi e 11 denari (tale rendita risultò tra le più modeste. Nella graduatoria che va dalle 14.000 lire del Marchese di Oristano alle 40 di Francesco Tomich, la rendita di Gessa è al penultimo posto).
I Gessa però avevano sicuramente altre risorse derivanti dalla mercatura e da affari di ogni genere e probabilmente non erano immuni dalla pratica dell'usura.
Sposò Juanita Sanchez e ne ebbe il figlio di nome Nicolao.

Nicolao Gessa:
Nicolao ebbe l'investitura di Ferdinando II il 23.8.1481 ed ottenne per sé e per i suoi eredi d poter risiedere in via definitiva e a pieno titolo a Cagliari. Sposò Anna Margens da cui ebbe Geronimo, Bernardo (che ebbe in moglie Gerolamo Torrellas), Marchesa (moglie di Gerolamo Sanchez), Catalina (moglie di Melchiorre Torrellas), Isabella (moglie di Miguel Carrillo), Francesco.
Nell'infeudazione risultano in suo possesso le ville di Gonnesa, Corongiu, Casas, Baratuli, Solanas, Gulbisa, Nugis, Margal e Perdalonga. Non si fa invece parola di Canadoniga, Antas e Flumenmajor. Il nome di queste tre località risulta abraso nel documento, ma l'appartenenza a Nicolao è certa. Il 4.9.1492 con atto in Cagliari, per 300 lire acquistò da Giacomo d'Aragall i saldi di Gindili e di Seguris. Gindili era stato concesso in feudo dal Re Giovanni il 30.8.1471 a Giacomo d'Aragall; Seguris era già appartenuto a un Gessa, Bartolomeo, che lo aveva avuto per testamento dalla madre Antonia Alagon, e lo aveva ceduto a Giacomo d'Aragall. Come contropartita, e per lo stesso prezzo di lire 300, Nicolao cedeva a Giacomo d'Aragall le ville di Nugis, Cebulles, Gulbisa, Margan e Perdalonga.
Nicolao ebbe la conferma dell'investitura da parte di Carlo V il 24.12.1516. Fece testamento il 21.5.1527 a favore del figlio Geronimo e morì il 13.8.1529. Lo stesso giorno fu sepolto con solenne processione nella cappella della famiglia dedicata a San Bartolomeo.

Don Geronimo Gessa e il titolo nobiliare:
Geronimo chiese l'investitura l'1.11.1530 tramite il suo procuratore Don Blasio Alagon ed ottenne da Carlo V l'investitura per tutte le ville ed i censi già posseduti dal padre, tra cui non era però citato Canadoniga. L'investitura porta la data del 21.11.1530 con l'importante clausola che comparirà anche nelle successive investiture dei Gessa “natura pheudi in aliquo non mutata, iuribusque Regii Fisci et alterius cuiuscumque sempre illesi” onde evitare possibili tentativi di trasformare i beni demaniali posseduti in beni allodiali, ciò che avrebbe comportato un radicale mutamento dei rapporti tra il Sovrano e il Feudatario, a favore di quest'ultimo.
Il documento è importante sia per i dati cronologici forniti che, soprattutto, per la descrizione delle formalità osservate: lettura del testamento (20.8.1529) da parte del notaio Michele Oriol davanti a numerosi testimoni, e dichiarazione di Geronimo, ad alta voce, di accettare l'eredità paterna; nomina del procuratore incaricato di chiedere l'investitura (Don Blasio de Alagon il 21.6.1530); presentazione in due date successive da parte di costui della richiesta di investitura del Feudo ereditato dal padre; concessione dell'investitura da parte dell'incaricato del Re, Nicolao Perrinot, e pubblica dichiarazione del procuratore Blasio de Alagon per la quale Geronimo Gessa si impegnava a rispettare i diritti del Re sul Feudo posseduto come erede del padre, e prestazione dell'atto di omaggio e di fedeltà.
Il 6.10.1533 ottenne il privilegio delle armi gentilizie e la nobiltà progressiva, con uno stemma a forma di scudo diviso verticalmente in due settori: quello a sinistra rosso con quattro pali d'argento verticali a egual distanza l'uno dall'altro, quello a destra color argento con torre emergente dal mare azzurro.
Sposò Angela Alagon da cui ebbe Cesare Sebastiano e Isabella (moglie di Felice Cervellon).

Don Cesare Sebastiano Gessa:
Nato il 20.1.1532, subentrò nel Feudo paterno per testamento mortis causa . Presentatosi dinanzi alla Procura Reale per chiedere l'investitura, esibì a riprova del suo diritto il documento d'investitura del suo defunto genitore, l'atto comprovante che era figlio di Don Geronimo ed il testamento paterno del 3.5.1538. Nel dubbio però che vi sarebbero stati ostacoli o comunque ritardi ed opposizioni, preferì seguire la strada della richiesta diretta al Sovrano, e a tal fine inviò a Madrid il suo Procuratore Alfonso della Montagna. Questi, il 21.10.1546, chiese l'investitura delle spopolate ville di Baratoli, Canadoniga, Barega, Antas, Bangiargia, Coronjo, Flumajor, Cases, Seguris, Guindili, Solanes, Conesa, definita popolata, con tutte le altre che venivano espressamente nominate nelle antiche investiture.
Cesare Sebastiano chiedeva tutte quelle ville che i suoi antecessori ebbero o per donazione reale o per acquisto, escludendo quelle che Nicolao aveva ceduto, ma includendovi tutte le altre che la sentenza del 17.7.1537 consentiva di riscattare, compresa la villa di Flumajor che da Cesare Sebastiano in poi farà parte del feudo senza contestazione da parte di alcuno (si era infatti concluso nel frattempo il contenzioso con il Conte di Quirra).
Il Supremo Consiglio, il 26.10.1546, accordò l'investitura a nome del Principe Filippo al giovane Gessa (aveva solo quindici anni) per il quale il nuovo Procuratore Giovanni Garzia prestò giuramento di fedeltà e atto di vassallaggio.
Le ville concesse furono esattamente quelle che Cesare Sebastiano aveva richiesto: si ripresentava così il Feudo nelle dimensioni che ebbe al tempo di Nicolao.
Una simile investitura non poteva non suscitare le rimostranze della città di Iglesias che si adoperò infatti subito per limitarne la portata o addirittura per farla revocare del tutto. Dagli attacchi della città e del Regio Fisco si difese Cesare Sebastiano in una causa la cui sentenza, oltre a gettare luce sui trascorsi della famiglia Gessa e sulla sua influente parentela, dall'altra avrebbe dovuto mettere fine ai contrasti sulla supposta irregolarità del titolo feudale.
Nuovamente nel 1557 il Regio Fisco diede inizio ad una causa che mirava a recuperare il Feudo alla Corona. Ancora una volta però venne accertato che l'infeudazione di Elias era stata legittima e non ingannevole perché provato con dati di fatto che Bisconti era già morto quando il figlio gli succedette nel Feudo, e che il Pisconti cui si era fatto riferimento nel ricorso era altra persona della stessa famiglia. La sentenza si concluse imponendo anche per il futuro perenne silenzio al Regio Fisco e al sindaco di Villa di Chiese riguardo alle pretese da loro avanzate contro il nobile Gessa, con la liberazione dello stesso da ogni loro richiesta, e con la condanna dei soccombenti al pagamento delle spese.
Cesare Sebastiano sposò Marchesa de Aragall e non ebbe discendenti.

Don Salvatore Gessa:
Cesare Sebastiano, con testamento del 6.3.1573 nominò suoi eredi i cugini Salvatore e Gerolamo Gessa, figli di suo fratello Bernardino. I due erano però minori per cui nello stesso testamento furono nominati loro curatori Don Berengario e Don Alvaro Cervellon, nipoti di Cesare Sebastiano per parte della loro madre Isabel Gessa.
Insorsero delle difficoltà perché Bernardino, subito dopo la morte del feudatario suo nipote, inviò un proprio procuratore a prender possesso in suo nome delle ville formanti il Feudo, ed il 9.9.1573 avanzò formale richiesta di investitura come agnato prossimiore.
I figli si opposero alla sua pretesa sostenendo che il Feudo spettava ai due eredi designati o quanto meno a Salvatore che dei due era il maggiore di anni, e pertanto rispetto a Cesare Sebastiano il congiunto prossimiore in linea collaterale maschile.
Il 5.9.1576 si ebbe una sentenza a favore di Salvatore, ma i suoi effetti furono sospesi sia per le resistenze di Bernardino sia per l'opposizione del Regio Fisco Patrimoniale che reclamava la devoluzione del Feudo alla Corona per esser morto l'ultimo feudatario senza figli, e quindi per l'interruzione della linea maschile ereditaria diretta.
I due curatori però, in una vertenza che durò circa venti anni, riuscirono a dimostrare la legittimità delle aspettative di Salvatore, talché il Supremo Consiglio di Aragona, a cui i due si rivolsero, con sentenza del 21.3.1592, dichiarò che i beni del Feudo spettavano al medesimo Don Salvatore come maggiore degli eredi designato per testamento. Furono dunque respinte sia le istanze del Regio Fisco Patrimoniale, sia le pretese di Bernardino, premorto alla sentenza, sia infine le aspirazioni del cugino di Salvatore, Gerolamo Cervellon, figlio di Isabel Gessa, nel frattempo inseritosi tra i pretendenti.
In questa circostanza fu sancito che le femmine non avevano capacità di successione nel Feudo, che era retto e proprio secondo la natura dei Feudi di Italia. Quanto poi alle ville di Baratoli, Bingiargia, Cebulles, Barega, Corongiu e Solanas vendute da Matteo Vital a Bisconti, potevano essere riscattate dalla Corona o anche da Iglesias in base ad una precisa clausola dell'atto di vendita, per lo stesso prezzo per il quale furono vendute. Ma solo dopo il pagamento di tale somma quelle località sarebbero passate in possesso del Regio Fisco Patrimoniale.
Tale sentenza fece subito scattare l'opposizione del sindaco di Iglesias che però non ostacolò, alla fine, l'investitura di Don Salvatore.
Salvatore morì ad Iglesias l'8.8.1598 e le sue spoglie vennero sepolte nella chiesa di San Francesco del quale era particolarmente devoto. Aveva sposato Leandra Busquet da cui ebbe Francesco, Maddalena ed Eufrasia.

Don Francesco Gessa:
Al padre Salvatore subentrò Francesco per testamento del 27.7.1598. Riportata la residenza sua e della famiglia, il 19.7.1599 il suo procuratore Juan Biquisau fece richiesta dell'investitura alla Regia Procurazione, reiterata il 9 ottobre dello stesso anno, per gli stessi censi e ville posseduti da suo padre, e con la solita giurisdizione.
Il Regio Fisco non si oppose all'investitura, che gli fu concessa il 12.12.1600 dal Regio Procuratore e Giudice del Reale Patrimonio Don Onofrio Fabra come egli la richiese.
Nel suo testamento del 16.6.1643 lasciò curatori testamentari sua moglie Monserrata Soler ed il di lei fratello, il reverendo Antioco Soler. Dispose che il suo cadavere fosse sepolto nella chiesa primaziale, nella cappella consacrata a San Bartolomeo, dove erano stati sepolti alcuni suoi antenati.
Morì il 18.6.1643 lasciando i figli Antioco, Giovanni Battista e Marietta.

Don Antioco Gessa:
Lo stesso giorno della morte di Francesco si diede lettura del suo testamento con cui designava erede universale suo figlio Antioco (Antiogo). Questi, dal 20 al 23 dello stesso mese, mandò come procuratore suo zio Don Juan Bautista Pintus a prendere possesso delle ville del Feudo.
Sposò Maria Soler ed ebbe un figlio, Efisio. Morì il 5.10.1665.

Don Efisio Gessa:
Dalla lettura del testamento datato 1.9.1665, risultò che l'erede designato era il suo primogenito Efisio. Il quale però non aveva sufficienti attitudini ad assumersi le responsabilità della conduzione del feudo tanto che fu necessario affiancargli come curatori la madre Maria Soler e lo zio Juan Bautista Gessa, destinato a sua volta alla successione nel caso Efisio morisse senza prole.
Efisio prese possesso delle sue ville tra il 3 e il 5 ottobre del 1665, in quest'ordine: Casas il 3, il 4 Conesa, Canadoniga, Antas, Gindili e Seguris, il 5 Flumayor.
Egli richiese l'investitura il 21.5.1666 come l'aveva avuta suo padre, cioè sulle stesse ville e censi e con la medesima giurisdizione. Ma il Procuratore Fiscale Patrimoniale si oppose al riconoscimento del diritto di Efisio sui censi che, per non risultare espressamente citati nella sentenza di investitura paterna, con evidente forzatura furono considerati non concessi. Davanti a questa presa di posizione Efisio rispose che per evitare un contenzioso era disposto ad accontentarsi delle ville e dei salti concessi al padre. E ciò ottenne nella sentenza di investitura del 29.7.1666.
Nella circostanza Efisio fece giuramento promettendo di essere un buono, fedele e leale vassallo, di tenere le ville concessegli in feudo per conto del re, e di impegnarsi a prestare il servizio feudale ed ogni altro servizio a cui erano tenuti tutti i feudatari. La cerimonia fu conclusa con la consegna dell'anello all'investito.
Sposò Maria Sanna ed ebbe due figlie, Eleonora ed Elena.

Donna Eleonora Gessa:
Con la morte di Efisio cessava la linea maschile dei Gessa. Riuscire a fargli succedere la primogenita Eleonora non fu cosa agevole perché la successione di una donna sembrava non essere prevista né per la natura del feudo né per la sentenza del 1592 del Supremo Consiglio di Aragona (v. sopra). Sembrava inoltre che fosse finito il regime di favore in cui i Gessa avevano vissuto specialmente nel periodo aragonese, favorito dalle parentele che erano riusciti a tessere con le famiglie di più antica ed autorevole nobiltà, i cui rappresentanti occupavano i posti più ragguardevoli di quei consessi ai quali competeva confermare o togliere i Feudi, riconoscere o togliere diritti.
L'avvento del dominio spagnolo aveva favorito l'emergere di nuove forze che assunsero importanza in funzione non solo dei quarti di nobiltà, ma di concrete possibilità contributive, della intraprendenza politica e della capacità di inserirsi nel gioco delle alleanze tra fazioni contrapposte che si contendevano nel Regno posti di responsabilità e prestigio.
Divenne più arduo infatti poter usufruire dell'aiuto di un Aragall (come fece Cesare Sebastiano) o di un Soler (come Francesco) e già al tempo di Salvatore si ebbero i primi segni dell'indebolimento dei Gessa e della loro minore influenza riscontrabili nella difficoltà con cui riuscivano non tanto a farsi riconoscere la titolarità del Feudo quanto a mantenere tutti i diritti che avevano avuto i loro più antichi predecessori.
Si aggiunga che le Città Reali videro crescere la loro influenza nel conflitto di interessi tra la Corona ed i Feudatari, che si spiegano i successi ottenuti da Iglesias nei confronti della famiglia Gessa. Il Feudo della quale, per essere stato ottenuto in concessione irrevocabile nel 1421, non poteva essere tolto, però poteva essere sfrondato di qualche ramo che faceva ombra alla città mineraria.
Prima Baratuli, Bingiargia e Cebulles, poi Barega e Corongiu furono perdute a favore di Iglesias che inizio a curarne gli appalti sin dal 1612. E ciò non si verificò in dipendenza dell'avvenuto riscatto di quelle ville, di cui furono costretti a cedere anche i censi, ma perché i Gessa persero gli agganci sociali indispensabili, anche allora, per mantenere diritti, autentici o presunti che fossero.
La loro famiglia perse a tal punto in prestigio da dover rinunciare anche al censo delle sei lire su Iglesias, importante non per la somma in sé, abbastanza esigua, ma perché rappresentava un elemento costitutivo della donazione che fu concessa dal Re Alfonso a Bisconti, e che diede origine alla prima investitura.
Quando Eleonora subentrò al padre per testamento del 21.1.1678, il Feudo, che con gli acquisti realizzati da Bisconti e da Nicolao si era esteso senza soluzione di continuità fra i Marchesati di Quirra e di Palmas e la Baronia di Portoscuso, quasi soffocando entra la cinta daziaria la città reale di Iglesias, era notevolmente ridotto per dimensione ed importanza. I suoi territori si presentavano come lande spopolate per effetto delle ricorrenti epidemie e, soprattutto a causa delle incursioni barbaresche sempre più penetranti verso l'interno.
Una parte di responsabilità è però anche da ricercare nell'atteggiamento che i Gessa assunsero nei confronti delle loro ville, considerate solo in quanto producevano una rendita, non come un bene da sfruttare razionalmente. Concetto questo che si ritrova costantemente nelle accuse che Iglesias mosse nelle sue vertenze contro di loro. Occorreva valorizzare il feudo creando nuova ricchezza per avere i mezzi con cui tacitare le autorità spagnole sempre pronte a riprendersi con il fisco i feudi che dessero adito a dubbi circa la legittimità dei titoli. E bisognava tenere a bada la città mineraria, storica avversaria dei Gessa, sempre in agguato e pronta a sottrarre loro qualche territorio, e aggressiva al punto da spingere la propria audacia sino a compiere nel gennaio del 1678 gli atti della presa di possesso di Canadoniga, di Gindili, di S.Benedetto, dei Salti della Montagna, di Antas, di S.Elena, di S.Giulia, di Seguris e di S.Maria di Loreto, tutte località appartenenti al feudo, la giurisdizione delle quali pretendeva le appartenesse.
Nel suo testamento Efisio aveva disposto che Eleonora avesse come tutrice e curatrice la madre Maria Sanna, la quali si preoccupò immediatamente di inviare un proprio procuratore a prendere possesso delle ville del feudo lo stesso giorno in cui Iglesias iniziò l'identica operazione per le ville sopra citate, e con la stessa sollecitudine si dedicò agli atti necessari per la concessione dell'investitura alla figlia.
Il 9.10.1678 il Regio Tribunale del Procuratore Reale pronunciò la sentenza in cui si affermava che Eleonora, come erede designata, aveva il diritto di essere immessa nel possesso delle ville costituenti il feudo.
La città di Iglesias presentò ricorso contro tale sentenza in relazione ai Salti di Antas, Seguris e Gindili che dichiarò essere di sua pertinenza, e chiese un parere di merito alla Reale Udienza. Il Fisco Patrimoniale, dal canto suo, dichiarò che Eleonora non poteva ottenere il feudo che, escludendo la successione delle donne per sua natura e sin dalle origini, si intendeva devoluto alla Corona.
La Reale Udienza, che in un primo momento annullò la precedente sentenza per vizio di forma e per eccessiva sospetta sollecitudine, il 24.5.1679 si allineava al parere espresso dalla Regia Procurazione, della quale, con evidente forzatura, faceva propria l'interpretazione di una legge risalente ai tempi dell'imperatore Adriano pur di respingere le argomentazioni degli oppositori di Eleonora e per dichiarare la medesima capace di succedere al padre nella titolarità del feudo. In una successiva sentenza veniva poi fornita la spiegazione di quella pronunciata precedentemente: dalle clausole contenute nell'atto di infeudazione a favore di Bisconti, era stata riconosciuta la volontà del Re Alfonso di fare una donazione remuneratoria che rese impropria la natura del feudo. Questo era infatti stato concesso in remunerazione dei numerosi servizi prestati dalla gente Gessa in favore degli Aragonesi, e quindi era da equipararsi ad un feudo ottenuto mediante acquisto, che è ereditabile sia in linea maschile che femminile.
Tale interpretazione favorì Eleonora che poté subentrare al padre ottenendo l'investitura il 14.11.1679.

Il 15.2.1688 Eleonora andava in sposa a Ignazio Asquer, discendente da una famiglia ligure-piemontese trapiantata a Cagliari, dove un suo esponente ottenne i diplomi di cavalierato e nobiltà nel 1640 per meriti imprenditoriali e, soprattutto, per il censo, che era l'aspetto cui maggiormente si interessarono nel commercio dei titoli sia gli spagnoli che i piemontesi, sempre alla ricerca di denaro.
Censo consolidato e nobiltà acquisita favorirono questo casato che ebbe modo di gettare le basi della propria futura influenza imparentandosi con numerose famiglie, ragguardevoli per nobiltà e prestigio, in questo certamente agevolati dal fatto che costituirono una progenie numerosissima: Don Giovanni Battista, primo a fruire del titolo, ebbe otto figli: ne ebbe sedici il figlio Francesco. Il figlio di costui, Don Ignazio, ne ebbe nove, e suo nipote Don Gavino quindici. Il successore di Don Gavino, Don Francesco Maria, che pure si sposò a 57 anni, ebbe sei figli.
Il giovane Ignazio (era nato l'1.2.1668), il cui matrimonio con Eleonora si inquadrava nella politica perseguita dalla famiglia, portò nel feudo nuovi capitali e, soprattutto, quella capacità imprenditoriale propria della sua famiglia, e si dimostrò subito dell'avviso di popolare Fluminimaggiore e Gonnesa, convinto che il feudo potesse diventare una vera fonte di ricchezza solo se vi si ponessero degli uomini per viverci stabilmente e stabilmente lavorare.
Negli anni immediatamente prima della fondazione di Fluminimaggiore pose ordine nei territori circostanti imponendo i diritti feudali ai numerosi allevatori, specialmente di Arbus, che si erano sottratti a quei pagamenti, e tentò di dare confini certi al feudo, che aveva subito non pochi ritocchi ad opera dei paesi vicini (Arbus, Gonnosfanadiga e Guspini).
Non ebbe tuttavia la sorte di conoscere il frutto delle sue iniziative, perché alla colonizzazione di Gonnesa dovette rinunciare per la strenua opposizione di Iglesias dopo avervi impegnati notevoli somme, solo in parte rientrate a seguito di una transazione. Quanto a Fluminimaggiore, il cui popolamento fu stipulato con atto del 22.4.1704 con i terralbesi Pedro Angel Serpi, Francisco Pinna e Pedro Maccioni, non ne vide lo sviluppo perché morì appena tre anni dopo, il 3.10.1707.
Da questa data resse ancora il feudo Eleonora, sino alla sua morte che avvenne il 28.9.1741. Fece testamento in Cagliari l'8.5.1741.
Donna molto pia, volle che il suo corpo, vestito del solo abito delle Carmelitane, fosse sepolto nella chiesa del Carmelo doveva avevano sepoltura gli Asquer.

Don Francesco Giuseppe Asquer Gessa:
Francesco Giuseppe era nato il 13.5.1694, fu battezzato dal canonico Don Gavino de Acquena avendo come padrini Ignazio Aymerich e Giuseppa Martì Asquer, ed il 16.4.1714 aveva sposato a Sassari Mariangela Amat Tola, figlia del Marchese di Villarios.
Era appena subentrato alla madre quando, tramite il Tribunale della Regia Intendenza, il 3.10.1741 ricevette l'ingiunzione a comparire davanti al Regio Fisco Patrimoniale per esibire i titoli che lo abilitavano a possedere il feudo che, secondo gli accertamenti fatti, anche sua madre aveva posseduto illegittimamente.
Era infatti avvenuto che, assurti i Savoia a Re di Sardegna, il problema dell'investitura di Eleonora era riemerso con tutti i dubbi che le precedenti sentenze non erano riuscite a dissipare. Seguì dunque una lunga causa con il Fisco Patrimoniale, deciso al sequestro del feudo e a far pagare anche i frutti nel frattempo percepiti.
Pendente una tale causa, Francesco si rivolse direttamente al Re Carlo Emanuele con la supplica che chiudesse la controversia con un atto di benignità a suo favore, dichiarandosi disposto ad offrire in cambio la somma di 6.400 scudi, cioè 16.200 lire, e a rinunciare a favore del Regio Patrimonio ai diritti spettantigli dai miglioramenti derivanti dalla costituzione e dal popolamento di Fluminimaggiore. Chiese anche l'erezione del feudo in Viscontado ed il relativo titolo per sé ed i suoi successori.
Il re, con diploma del 14.9.1747 concedette in feudo a lui, ed ai suoi successori, Flumen Major, e le ville spopolate Antas, Canadoniga, Casas, Seguris, Gonnesa, Gindili, con tutti i diritti, le pertinenze e le dipendenze.
Il feudo era concesso “iuxta morem Italiae”, ma in forma impropria, ammettendo cioè alla successione anche le donne, sia pure con qualche restrizione, e con tutti gli obblighi derivanti dalla condizione di feudatario. Lo stesso giorno, con distinto diploma, il feudo venne eretto in Viscontado con la denominazione di Viscontado di Flumini Major, e non di Flumini Maggiore e Gessa, come si legge sia negli atti di riscatto che in altra documentazione.

Don Gavino Asquer Amat :
A Francesco, morto nel 1753, successe Gavino (26.7.1719-21.4.1792), che volle affrontare con decisione il problema del ripopolamento di Gonnesa, per cui spese la cospicua somma di lire sarde 39.000 circa, come si ricava dal suo testamento.
Ma se tanto fermo fu il Visconte nel proposito di dare corpo all'idea del nonno Ignazio, altrettanto decisa si dimostrò Iglesias nell'opporglisi. Ne seguì infatti un contrasto senza esclusione di colpi che durava ancora nel 1792 quando il Visconte morì, e che in seguito, negli anni 1795-1796, si acuì ancora di più tanto da sfociare in gravi fatti di sangue.
Gavino, con piglio autoritario e deciso, riportò nel feudo la disciplina e l'ordine allentati a causa dell'assenza e degli impegni del padre. Nei confronti di Fluminimaggiore poi iniziò nel 1747 un'azione giudiziaria che si concluse solo con un atto di transazione nel 1754.
Sposò Isabella Cugia.

Don Francesco Maria Asquer Cugia:
Don Francesco Maria, nato il 9.12.1758, è la figura più eminente della famiglia sia per la notorietà che gli derivò dal coraggio di combattente e dalle doti di comandante mostrati durante l'assedio che Cagliari subì ad opera dei Francesi nel 1793, sia per la triste sorte che lo accompagnò dopo tanti successi, attestati di stima e pubblici riconoscimenti.
Laureato in giurisprudenza all'Università di Torino, non trascurò gli affari mantenendo anzi viva la tradizione imprenditoriale della famiglia. Sollecitato dal Governo dell'Isola si dedicò infatti all'industria del pellame, e diede impulso a quella navale mettendo a frutto le materie prime che trovava nel suo feudo dove abbondavano animali e boschi. Non trascurò il commercio del grano, attività che procurò prosperità sia ai Gessa che agli Asquer.
Gli storici sono concordi nell'attribuirgli una grande parte del successo riportato dai Sardi nel respingere l'assedio dei Francesi.
Giuseppe Manno, oltre a considerarlo un autorevole componente dello Stamento militare ponendolo sullo stesso piano del Marchese di Neoneli e del Pitzolo, lo definisce “cavaliere destro e animoso” e riferisce che sotto la sua direzione e comando il corpo degli artiglieri divenne “numeroso ed esperto nel maneggio dell'artiglieria”.
Lo stesso Manno informa che fu opinione generale che nei giorni di cannoneggiamento da parte delle navi francesi si ebbero molte prove di virtù militare dei soldati guidati da valenti comandanti tra i quali era da ricordare “il Visconte di Flumini, che esercitò l'ufficio di capitano in modo coraggioso ed avveduto”.
Respinti i francesi, l'entusiasmo per la vittoria portò con sé una naturale speranza che il Re, a titolo di risarcimento per l'opera meritoria svolta, avrebbe compensato i combattenti, salvatori del suo Regno, con una politica più favorevole ai Sardi, e in tal senso dagli Stamenti furono presentate formali e precise richieste. Le ricompense, invece, non furono soddisfacenti e Francesco ebbe solo la riconferma nel grado di colonnello con speciale patente del Re Vittorio Amedeo e la nomina di istruttore degli artiglieri, nonché l'estensione a 12 anni della sacca del grano. Per il resto ebbe solo riconoscimenti simbolici.
L'atteggiamento del Governo inasprì sempre di più i rapporti già tesi tra regnicoli e Piemontesi, sordi ad ogni istanza di rinnovamento economico e sociale. Francesco ebbe un ruolo di moderazione nella rivolta che succedette all'arresto degli avvocati Cabras e Pintor a cui fece seguito l'irata reazione dei cagliaritani che disarmarono le truppe e pretesero la cacciata dei piemontesi. Francesco ricevette l'incarico dal viceré di proteggere tutti i piemontesi per favorirne l'imbarco verso la terraferma, e successivamente la Reale Udienza, che assunse il governo dell'Isola in attesa del nuovo viceré, nel quadro delle iniziative mirate a garantire la sicurezza della città, diede al Visconte l'incarico di costituire, armandola, una guarnigione di popolani e, una volta ristabilito l'ordine, di provvedere al ritiro di tutte le armi.
La sua esperienza nel campo della armi, la conoscenza degli ambienti mercantili di Terraferma maturata con il commercio del grano e l'abilità riconosciuta nel trattare gli affari gli valsero il delicato incarico, da parte degli Stamenti, di acquistare cannoni e fucili. Con questa azione, resa possibile dal suo grande prestigio e dalla popolarità, finirono le sue fortune ed iniziarono le sue disgrazie.
Il Governo volle ripristinare la sua autorità nel Regno favorendo un regime di disordini e sospetti. Il clima, sempre più rovente, vide i fautori dello status quo servirsi di tutti i mezzi per gettare discredito sulla fazione progressista formata da coloro che si erano battuti eroicamente per difendere la città assediata e che avevano avanzato le richieste a favore dei Sardi.
Francesco Maria rimase fedele alle sue convinzioni e perciò si montarono contro di lui accuse che dovevano lasciare il segno nella sua vita futura. In questo clima e con queste accuse Francesco Maria divenne vittima della politica subdola del Piemonte che in quelle circostanze confermò la sua attitudine ad eliminare i personaggi più in vista creando rivalità tra di loro, evidenziandone vere o presunte colpe per reprimere le aspirazioni di tutti.
Il piano per isolare il Visconte e per creargli attorno un ambiente di ostilità e sospetto per fiaccarne l'esuberante personalità e frenarne possibili iniziative riuscì pienamente. Le molte accuse, i sospetti e le gelosie, le ostilità e le diffidenze dei governanti, le difficoltà insorte in seno alla sua stessa famiglia a causa della situazione debitoria che si era venuta a creare, lo posero nell'impossibilità di riacquistare il prestigio che gli competeva. Morì il 28.2.1831.
Aveva sposato Donna Maria Anna Corrias di Iglesias.

Don Francesco Asquer Corrias:
Con il figlio di Francesco Maria, Francesco Asquer Corrias, nato il 13.2.1816 e morto il 10.5.1892, termina il legame tra la famiglia Asquer ed il suo feudo.
Al momento del riscatto, il feudo viene presentato come costituito dai villaggi di Fluminimaggiore e Gonnesa e dai salti di Gessa e di Rio Anguiddas, e denominato Viscontado di Fluminimaggiore e Gessa. Tale denominazione, come si è visto, è impropria. Giova ricordare infatti che con le patenti del 14.9.1747 il feudo fu eretto in viscontado di Fluminimaggiore e gli Asquer divennero pertanto Visconti di Fluminimaggiore.
Durante i quattro secoli di signorìa sul feudo sicuramente la famiglia Asquer riuscì ad imprimere una svolta nella gestione dei territori.
Mentre, infatti, i Gessa, conservando la loro originaria peculiarità mercantile, divennero una grande famiglia feudale, sempre impegnata a mantenere e ad ingrandire il feudo attraverso una serie di acquisti di altri feudi e tessendo una fitta serie di amicizie e parentele con le più note, nobili e potenti famiglie del tempo, ma tuttavia trascurando il feudo e lasciandolo decadere sempre di più col tempo; gli Asquer invece vi trasferirono tutta la loro indole e capacità imprenditoriale, fermamente convinti che la prima vera ricchezza del feudo dovesse essere costituita da una numerosa popolazione organizzata e messa in condizione di sfruttare le notevoli risorse di un territorio tanto vasto e ricco.
Per i Gessa Fluminimaggiore fu semplicemente un'espressione geografica, un luogo quasi sempre spopolato oggetto di totale disinteresse. Furono gli Asquer a raccogliere lo sparuto gruppo di abitanti per farne una vera popolazione, grazie all'innesto di coloni provenienti soprattutto dal Campidano, conoscitori di vari mestieri e adusi al vivere associato, dai quali ben presto si imposero ai residenti, che li assimilarono, usi, costumi, tradizioni, abitudini e linguaggio.
Il perseguimento della politica di ripopolamento creò un notevolissimo salto di qualità per Fluminimaggiore, ed ebbe risvolti molto positivi anche per la famiglia Asquer. Ai riconoscimenti per l'opera svolta si aggiunsero indubbi vantaggi, primo tra tutti quello per cui poterono conservare la titolarità del Feudo e fregiarsi del titolo di Visconti, che curiosamente richiama il cognome del primo feudatario.
Con gli Asquer il villaggio ebbe una crescita ordinata, lenta ma costante, nei limiti delle possibilità consentite dal regime feudale, rispetto al quale, con decreto del re Carlo Alberto del 21.9.1839, ottenne l'affrancamento.

 

* Tratto dal libro: “Fluminimaggiore, villaggio del feudo Gessa-Asquer 1421-1839”, Ed. Janus, 2 voll.