La Contea di Villamar

Fra gli altri feudi che in odio di ribelli e particolarmente del visconte di Narbona, che aveva preso il titolo di giudice di Arborea, furono confiscati, vennero compresi quelli di Mara, Gesturi e Tuili.
In rimunerazione di servigi resi a don Martino re d’Aragona da Gerardo Dedoni il re di Sicilia don Martino suo primogenito e governatore degli di lui stati gli concesse dette ville in feudo secondo la consuetudine d’Italia con diploma 15 luglio 1409, che dal re padre venne poi confermato con altro 28 novembre susseguente, nel quale fu eziandìo a detto Dedoni, che non era nobile, conceduta l’abilitazione.
In ricompensa pur anche come sopra Giovanni Dedoni figlio e successore del Gerardo ottenne dal re don Alfondo il 6 aprile 1421 sopra i già detti feudi il mero impero.
E quindi all’istesso titolo di rimunerazione il medesimo sovrano don Alfonso con altra patente 18 ottobre 1438 dicendosi informato ch’esso Dedoni avesse acquistate da Nicolao Cassa le ville di Monastir, Segafe, Promont e Noraix, gli concedette tanto sopra queste, tanto sopra le altre già da lui possedute l’ampliazione, abilitando a succedervi non meno i maschi, che le femmine da lui discendenti, ben inteso però che i maschi avrebbero la prelazione alle femmine, ed il maggiore sarebbe preferito al minore. Un tal privilegio per altro sulle istanze promosse da don Salvatore Aymerich nel 1543, l’11 maggio, fu riconosciuto per apocrifo.
Ad esso Giovanni Dedoni successe figliuolo Gerardo, il quale per istrumento 1 dicembre 1460 fece vendita a Giacomo de Aragal della villa di Mara Barbaragesa in feudo secondo la consuetudine d’Italia per il prezzo di lire 7.000 alfonsine minute col patto però del riscatto perpetuo ed il contratto fu poi approvato il 15 maggio 1461.
Nel 1463, il 14 ottobre, il suddetto de Aragal ne fece poi nuovamente vendita col medesimo patto, e per l’istesso prezzo a Francesco de Alagon; e nell’anno susseguente, il 21 luglio, il re don Giovanni avendola confermata, esso de Alagon cedette poi la medesima villa con regia approvazione a sua moglie Antonia Caço per le di lei ragioni dotali.
Questa cessionaria di lì a qualche tempo avendo venduto un capital censo di lire 6.600 a Francesco de Castelvì, ipotecò specialmente la suddetta villa. E siccome d’ordine della Reale Udienza detto capitale era poi stato aggiudicato a Pietro Aymerich per un certo suo credito verso il suddetto de Castelvì, e ad essa Antonia era stato intimato di dover riconoscere per proprietario di detto censo il predetto Aymerich e di dovergli pagare alcune pensioni scadute, la qual cosa ella non era in istato di fare.
Quindi è per istrumento 21 settembre 1486 fece al già detto Aymerich dazione in paga della medesima villa di Mara, valutata lire 7.000 moneta di Cagliari, salva sempre agli eredi del Gerardo Dedoni la ragione del riscatto perpetuo.
Al Gerardo Dedoni anzidetto era succeduto Pietro suo figliolo, ed a costui Ferdinando pur anche suo figlio.
Esso Pietro per istrumento 21 ottobre 1486 avea cedute sopra detto feudo all’istesso Pietro Aymerich tutte le sue tutte le sue ragioni ed azioni, e specialmente la ragion del riscatto mediante il prezzo di lire 1.300 alfonsine, le quali per altro istrumento 8 ottobre 1504 esso Dedoni cedette ad Arnaldo Vincenzo Rota in estinzione di un debito, che il fu Gerardo suo padre avea contratto verso il medesimo Rota, cui in conseguenza di tal cessione furono poi dette lire 1.300 pagate per conto ed in servizio del pupillo Pietro Salvatore Aymerich allora possessore del feudo stante la morta già accorsa di Salvatore Cristoforo suo padre, il quale pur era in esso feudo succeduto come figlio primogenito ed erede di detto Pietro Aymerich acquisitore.
Oltre il suddetto Salvatore, che nel 1493, il 18 novembre, fu investito di Mara e Gesturi lasciò esso Pietro dopo di sé un altro figlio chiamato Giovannotto ed alcune figlie femmine.
Nel 1499, il 15 agosto, il Pietro Salvatore ne ottenne l’investitura dal re don Ferdinando; ma fu obbligato ciò nonostante a sostener nel 1505 una lite mossagli dal Pietro Dedoni, che pretendeva ricuperar la villa di Mara, la qual lite fu poi anche riassunta da Ferdinando Dedoni figliuolo di esso Pietro.
È finalmente da notarsi che il medesimo Pietro Salvatore Aymerich instituì sopra un tal feudo primogenitura tra i suoi discendenti con prelazione dei maschi alle femmine.
Lasciò costui dopo di sé tre femmine: cioè Anna, Brianda e Marianna, oltre un figlio maschio in età infantil chiamato Melchior, che sotto la tutela di Maria Margens dichiarò suo erede universale sotto il predetto vincolo e che, nel 1564, ottenuta avendo l’investitura di Mara sotto il dì primo giugno, rinnovata poi anche nel 1591, il 6 ottobre, per l’avvenimento al trono di Filippo II, fece negli ultimi suoi giorni testamento, in virtù del quale siccome non avea che una figlia femmina e per altra parte Marianna Cani sua moglie si trovava gravida, ed egli sperava che il parte sarebbe maschio, instituì suo erede il figlio nascituro sotto la tutela di Luigi de Aragal de Gualbes.
Nacque infatti un maschio, che fu chiamato Ignazio; ed in seguito alle istanze del tutore essendo ancor nell’infanzia venne investito del feudo il 25 agosto 1609 e fatto poi maggiore su esso feudo eretto in contea sotto il titolo di contado di Villamar; non sapendosi però l’anno preciso di questa erezione per mancar il diploma.
Si maritò esso Ignazio con Anna de Cervellon ed ebbe dalla medesima tre figli maschi chiamati: Salvatore, Silvestro e Demetrio, ed il Salvatore fu da lui nominato erede sotto il vincolo della primogenitura.
Costui per certi debiti contratti da suo padre e per altri fatti da lui medesimo instituì causa di concorso sopra i frutti del contado ma morì prima che fosse pronunciata la sentenza.
Per altro nel 1696, il 2 giugno, avendo fatto il suo testamento, dichiarò erede Ignazio suo figliuolo unico tanto nei beni liberi, quanto nei vincolati a fidecommisso; dichiarando che dopo la morte di esso erede succederebbe nel feudo il di lui figlio primogenito, e che in mancanza di maschi vi succederebbero le femmine servato l’ordine di primogenitura, con prelazione però sempre dei maschi. E morendo detto Ignazio senza discendenza chiamò il figlio di Silvestro suo fratello secondogenito e di discendenti da lui per retta linea; la quale mancando chiamò il Demetrio suo fratello terzogenito con tutta la di lui discendenza; ma questa succedendo il caso d’estinguersi, dichiarò che succederebbe Paola sua sorella, la cui linea venendo poi anche a mancare, dichiarò che in tal caso rispetto a detto feudo s’osserverebbero le testamentarie disposizioni delli furono Martino e Salvatore Aymerich.
Questo Ignazio nominato erede, il qual fu poi anche conte di Bonorva, proseguì il giudicio di concorso instituito dal padre, e nel 1709, il 31 ottobre, uscì la sentenza della Reale Udienza colla quale si dichiarò. Il giudicio di concorso esser rimasto estinto dal dì della morte del Salvatore, stante che il feudo spettava all’Ignazio, che n’era l’attuale possessore; sebbene rimaneva fermo per l’altra porzione appartenente al suo predecessore a motivo di dover quella dividersi tra i di lui creditori e lo stesso possessor moderno, cui intieramente spettava l’esazione dei frutti coll’assistenza però dell’antico amministratore per evitar le frodi e poter farsene fra esso e detti creditori una giusta e fedele divisione. Salva sempre ragione al Demetrio sopra quei frutti, che da esso conte Ignazio si sarebbero percevuti, e così pure di proseguir la lite già principiata col di lui antecessore per la restituzione delle doti di sua madre, di cui egli era erede, continuandola nello stato in cui si trovavano.
Esso conte Ignazio essendo poi morto senza discendenza, ed essendo pur anche mancato di vita il Silvestro, lasciati però dopo di sé un maschio chiamato Gabriele Antonio ed una figlia femmina, il Demetrio d’autorità propria si mise in possesso del contado di Villamar pretendendo spettar a sé per esser figlio del don Ignazio I che per esser zio paterno, ed (agnato) prossimiore del don Ignazio II, e per conseguenza suo erede ab intestato, come per tale appunto era stato riconosciuto dalla Reale Udienza per sentenza 22 marzo 1710 pronunciata nella lite già vertita tra lui, il Gabriele Antonio, ed il marchese della Guardia per la successione all’eredità dell’Ignazio II e dover per fine venir mantenuto nel possesso da lui preso per le ragioni dotali di sua madre.
Si oppose il predetto Gabriele Antonio e chiamò l’immissione in possesso del feudo come figlio del Silvestro fratel maggiore dell’avversante don Demetrio, come pure per essere chiamato alla successione dal testamento di suo zio il conte don Salvatore nel caso che appunto si era verificato d’esser morto senza prole il don Ignazio II di lui figliolo.
Replicò il Demetrio esser nato detto Gabriele Antonio da illegittimo matrimonio ed il Silvestro suo padre esser stato complice dell’omicidio del marchese di Laconi, marito di donna Francesca Zatrillas, druda di esso suo padre, dalla quale egli nacque: siccome anche reo di delitto di lesa maestà per l’altro omicidio commesso nella persona del viceré marchese di Camarassa, la onde fosse incapace di successione.
Ma sotto il 10 dicembre 1710, essendo poi uscita sentenza, il magistrato nonostante le ragioni allegate da esso Demetrio dichiarò dover egli venir rimosso dal possesso del feudo ed immettersi in esso il Gabriele Antonio come sottentrato nella primogenitura.
Pronunciata questa decisione, il Demetrio protestò di nullità e con altra poi 7 febbraio susseguente fu detto doversi la medesima eseguire per non esser l’opposizione di nullità sufficente ad impedirne l’esecuzione, nè tampoco essere ammissibile la supplicazione da esso Demetrio interposta dal giudicato quo ad effectum suspensivum: per il che si mandò spedir le opposte lettere per l’ordinata immissione.
In virtù di questi provvedimenti il Gabriele Antonio sotto l’11 dell’istesso febbraio prese il possesso del contado.
E frattanto il Demetrio proseguì le sue istanze nel petitorio, ma il possessore avendo detto non essere ammissibili sinché l’avversante avesse restituiti i frutti da lui percevuti pendente l’occupazione del feudo.
Sotto il 18 novembre 1711 uscì poi interlocutoria, con cui fu detto farsi luogo al nuovo giudicio del petitorio intentato dal Demetrio.
Proseguitosi dunque in tal giudicio, perse il real fisco motivo d’entrar in causa; ma non si vede poi ch’egli abbia fatte ulterior istanza per la pretesa devoluzione. E frattanto il Gabriele Antonio morì, lasciato dopo di sé un figlio pupillo chiamato Antonio Giuseppe, che istituì erede per testamento 29 settembre 1716.
Sicché contro di questo essendosi proseguita la lite, uscì finalmente sotto il 5 ottobre 1723 sentenza, con cui fu deciso; il don Antonio Giuseppe Aymerich il vero e legittimo successore del contado, e come tale venir assolto dalle istanze del don Demetrio.
Né supplicò questo al Supremo Real Consulto, ma la causa non fu proseguita più oltre dalla legittimazione del giudicio.