Albero genealogico della famiglia Locci (di Tortolì)

La nobile casata dei Locci di Tortolì (1) trae le sue origini da Cagliari: un Francesco, dottore in utroque jure, nativo del quartiere della Marina sposò nel 1706 Francesca Ventura, della parrocchia di Villanova. La coppia si trasferì a Lanusei in Ogliastra dove nacquero tre figli: Francesco Vito nel 1714, Antonio nel 1716 e Giuseppe nel 1718. Rimasto vedovo, l’avvocato Locci prese l’ordinazione sacerdotale, e, nel 1722 venne nominato rettore parrocchiale di Tertenia, dove gli morirono i figli Francesco Vito e Giuseppe. Dal 1726 al 1749 fu vicario vescovile della diocesi d’Ogliastra in sostituzione di Don Giuseppe Pes. Nel 1759 rinunciò alla rettoria di Tertenia, continuando a vivere a Lanusei. Lasciò erede universale la rettoria di Tertenia nel caso che i suoi nipoti morissero in età minorile. L’unico figlio superstite, Antonio, che fu sindaco di Lanusei nel 1744, gli era premorto già vedovo.
Nel 1743, con RR. Diplomi del 14 marzo, il Re di Sardegna Carlo Emanuele III concedeva a favore del “dott. in utroque jure e Rettore Francesco De Lochi di Tertenia, del suo figlio e discendenti maschi” i privilegi di cavalierato e di nobiltà (2). Le lettere per la commissione di armamento erano state spedite il 25.11.1741 e il Rettore Locci venne armato cavaliere il 19.5.1742 dal Nobile Don Gian Pietro Puliga di Tortolì, come attestato dal notaio Antonio Francesco Piga. Il Diploma del privilegio equestre conteneva anche la descrizione del seguente stemma gentilizio: “Uno scudo rotondo quadripartito: nel primo quarto di colore ceruleo, un sole dorato i cui raggi sfavillanti illuminano una rupe dei suoi colori naturali; nell’altro quarto, d’argento, un braccio vestito di panno che con la mano nuda impugna un ramoscello di fiori; nel terzo, pure d’argento, un albero verde piantato su una collinetta degli stessi colori; infine nell’ultimo quarto, di color porpora, un leone rampante dorato innalzante una spada argentata”.
La discendenza continuò dunque con l’unico figlio superstite Don Antonio, che nel 1737 aveva sposato in Tortolì Donna Benedetta Guiso Minutili. Da questo momento la famiglia entrò a far piena parte della nobiltà tortoliese, con la quale strinse diverse e continuate unioni matrimoniali e occupò varie cariche nella locale amministrazione comunale fino allo scorcio dell’Ottocento.
All’inizio dell’800 la famiglia si divise in due rami: Don Francesco Locci Cardia - unico Locci compreso nell’elenco nobiliare prefettizio del 1822 - si trasferirà a Esterzili per sposare Donna Francesca Capece; il fratello minore Don Giuseppe rimarrà invece a Tortolì dove le notizie della famiglia si perdono nel primo quarto del ‘900, quando probabilmente si estinse. Appartenne a questo ramo Don Diego Locci Selis, che morirà a Roma consigliere di Cassazione. Don Francesco Locci Cardia abbandonerà Tortolì per vivere a Esterzili, paese della moglie Donna Francesca Capece. A Esterzili peraltro era esistita un’altra nobile famiglia Locci di cui parleremo più avanti. La famiglia Capece era originaria invece di Tempio. Si trasferirono a Esterzili all’inizio del XIX sec. con Don Salvatore, delegato di giustizia della Barbagia di Seulo. Era fratello del vescovo di Tempio mons. Don Diego Capece. I Locci rimasero nel centro barbaricino solo pochi lustri, per stabilirsi infine nei villaggi di Gergei ed Ortacesus, intorno al 1848. Il motivo di questo spostamento va ricollegato proprio alla famiglia Capece: nel 1840, nella notte tre il 10 e l’11 aprile, venerdì santo, Don Salvatore Capece venne ucciso durante una bardana (3) nella propria abitazione. Nell’agonia rivelò di esser stato colpito da una fucilata dal congiunto Don Giulio Tolu. Anche la figlia dell’ucciso, Donna Francesca, moglie di Don Francesco Locci, confermerà la circostanza di essere stata aggredita proprio dai congiunti Don Giulio e Salvatore Tolu, che l’avrebbero torturata per costringerla a rivelare il nascondiglio dei preziosi. Alle sue accuse si aggiunsero quelle di altri testimoni. Sulla base di questi riscontri, i due Tolu, originari rispettivamente di una nobile famiglia di Mamoiada trasferitasi a Esterzili il primo e di Seui il secondo, ridotti a misere condizioni economiche, vennero arrestati e processati. Nonostante si fossero proclamati innocenti, al termine di un processo alquanto sommario che avrebbe dovuto servire di monito, i due Tolu vennero condannati alla pena capitale con sentenza del 16 settembre 1840. Quello di Don Giulio Tolu fu l’ultimo caso di esecuzione col rito militare in Sardegna, mediante decapitazione. Circa due anni dopo l’esecuzione della condanna, si scoprirono i veri colpevoli della bardana a casa Capece: i grassatori erano ventuno e vennero tutti individuati, così come venne ritrovata la refurtiva ed esibita come prova. I Tolu erano quindi veramente innocenti! Fu riaperto il processo e la loro memoria venne riabilitata. Siccome la principale accusatrice, e quindi colpevole dell’errore giudiziario era stata Donna Francesca Capece, questa perse il suo patrimonio e dovette allontanarsi da Esterzili: morirà a Gergei, novantaquattrenne, nel 1899 a casa del nipote.
Di Don Francesco Locci non sappiamo altre notizie: forse all’epoca della bardana in casa del suocero era già morto. Dal suo matrimonio con Donna Francesca Capece risulta esser nato un solo figlio, Don Diego, nel 1825, in Esterzili. Fu costui che continuò la famiglia a Gergei, paese della seconda moglie Rosa Congiu. Dalla prima moglie Sinforosa Marongiu ebbe almeno un figlio, Don Salvatore, laureato in leggi, che aveva sposato la nobile di Ortacesus Donna Efisia Ligas, e che dopo qualche anno trascorso a Gergei, si trasferirà nel paese della moglie. In questo villaggio risulta residente con i tre figli Sinforosa, Enrico e Mario secondo l’Elenco Ufficiale Nobiliare della Sardegna del 1902, come figlio di Diego e nipote di Francesco ultimo riconosciuto nel 1822. Dal secondo matrimonio di Don Diego con Rosa Congiu nacque numerosa discendenza in Gergei: Don Antonio si trasferirà a Lanusei dove sposerà Emanuela Mameli, da cui non risulta discendenza; Don Antioco che vivrà a Ilbono, dove prenderà in moglie Cecilia Piroddi ed avrà la figlia Carlotta; infine Don Vincenzo (1855-1920), che sposerà a Cagliari la Nobile Donna Battistina Garruccio. Dei suoi tredici figli, ricordiamo Don Antonio, morto a Macomer nel 1936, sposato con Elvira Bonu, da cui ebbe diversi figli; Don Luigi, marito di Servilia Giorgetti, di cui ignoriamo la discendenza; Don Carlo, tenente colonnello di complemento, negli anni Trenta fu a lungo podestà di Gergei, dove sposò l’insegnante Iolanda Bonu ed ebbe numerosi figli; infine Mons. Don Dino Locci, che fu parroco della cattedrale di Cagliari. Gli attuali rappresentanti di questa nobile famiglia discendono dai suddetti fratelli Don Antonio e Don Carlo Locci Garruccio. Risiedono a Cagliari e a Barumini, cittadina in cui si sono recentemente dedicati all’attività alberghiera.

LA FAMIGLIA DEL REGGENTE LOCCI
In Sardegna esistette un’altra nobile famiglia Locci, più antica e spesso confusa con questa testè descritta. Un Salvatore Locci, originario di Escalaplano, si trasferì a Esterzili dove sposò Michela Marcello o Marceddu ed ebbe diversi figli. Da Gian Francesco, forse il primogenito, trasferitosi nella vicina Sàdali, discese il primo ramo nobilitato. Sposatosi con Caterina Angela Ghiani, fu padre di un altro Salvatore. Questo, nato a Sàdali il 25.3.1644 si laureò in utroque iure presso l’università di Saragozza. Entrato nella Regia amministrazione, fu uditore generale dell’armata spagnola del mare oceano, soprintendente alla raccolta delle rendite regie dell’Andalusia, e nel 1702 fu nominato giudice della Reale Udienza criminale in Sardegna (4). Il 20 maggio 1691 ebbe i privilegi di cavalierato ereditario e nobiltà sarda, che presentò a Cagliari per l’exequatur nel 1705 (5). Durante la guerra di successione spagnola fu partigiano di Carlo d’Austria e dovette subire l’esilio in Francia. Rientrato dall’esilio quando la Sardegna passò sotto il governo austriaco terminò la sua brillante carriera con la promozione nel 1711 (6) all’incarico di Reggente del Supremo Consiglio d’Aragona, allora sedente in Vienna, che mantenne fino al 1714, quando venne giubilato (7) con uno stipendio di duemila scudi annui. Morì probabilmente nella stessa Vienna poco tempo dopo*: con Real Dispaccio dato a Vienna il 27 luglio 1715 si accordarono infatti a un certo Marchese di Noguera i duemila scudi annui rimasti liberi per la morte di Don Salvatore Locci(8). Fu certamente il sadalese che più si distinse fra i suoi compaesani, che ancora oggi lo ricordano affettuosamente come su Reggenti Locci. Sposò a Lisbona con una certa Maria Manconi ed ebbe Don Francesco Arturo, che morirà a Sadali nell’aprile del 1718. Questi aveva sposato la nobildonna cagliaritana Anna Frediani (o Ferdiani), dalla quale ebbe due soli figli, l’ultimo dei quali nato postumo. Il primogenito, nato a Cagliari nel 1716 fu chiamato Salvatore Saturnino in omaggio al grande nonno e al patrono della sua città natale; intorno al 1745 sposò la ricca e nobile vedova Donna Rosa Diana Tuveri, originaria di Collinas ma domiciliata a Decimomannu, dove esisteva il vasto patrimonio del primo marito Don Sebastiano Marrocu (morto nel 1744). Don Salvatore Locci non poté godere a lungo del vasto patrimonio della moglie, che spaziava fino in Trexenta, poiché il 19 ottobre 1747 morì affogato mentre a cavallo guadava il rio che separava Decimomannu dalla vicina Decimoputzu. Forse per una bizza del cavallo cadde in acqua e il suo corpo fu ritrovato soltanto dopo due giorni sulla sponda di quest’ultimo villaggio. Sorse addirittura una lite (9) tra i rispettivi parroci che pretendevano di seppellirlo nella propria parrocchia. Dovette intervenire l’Arcivescovo di Cagliari Mons. Falletti di Barolo, che dispose che, qualora non l’avessero già sepolto a Decimoputzu, lo trasferissero per dargli sepoltura a Decimomannu. Per evitare ulteriori dispiaceri alla vedova, che aveva appena partorito, su richiesta di quest’ultima, venne sepolto invece nella parrocchia di Decimoputzu. Qualche mese dopo, moriva anche l’unica figlia Anna Luisa niña. La sua vedova convolerà a nuove nozze con Don Giuseppe Antonio Cardia di Siliqua.
Il secondogenito di Don Francesco Arturo, Don Nicola, nacque postumo a Sàdali nel 1718; fattosi sacerdote, divenne rettore delle parrocchie di Pimentel, Ortacesus e Barrali, senza mai recidere i suoi legami con Sàdali, dove morì il 16.2.1768. Fece testamento (10) in Sàdali il 9.3.1767 e lo consegnò il 10 giugno successivo, sigillato in una plica, al notaio Bachisio Antonio Moy di Esterzili davanti a testimoni. Il giorno del decesso, avvenuto nelle prime ore del mattino del 16 febbraio 1768, il suo servo Sebastiano Pillai, mosso de accordio, si recò nella vicina Esterzili per darne notizia al parente stretto Don Giovanni Salvatore Locci, il quale tosto, verso le dieci della mattina, avvertiva il notaio Moy di portarsi insieme a Sàdali per aprire il testamento e dare sepoltura al defunto parente. Il cadavere di Don Nicola venne quindi, come era allora prassi, riconosciuto dai testimoni, i quali riconobbero pure che il testamento sigillato era lo stesso che videro consegnare allo stesso notaio, e si poté procedere alla sua apertura. In esso Don Nicola nominava curatore il parente Rev. Giovanni Maria Locci, che giungerà da Cagliari il mese successivo per assumere la curatela, e disponeva che si consegnasse alla cognata Donna Rosa Diana o ai suoi eredi la porzione che le spettò nella divisione fatta col defunto fratello Don Salvatore, secondo l’estimo risultante dall’inventario che avevano fatto dopo la sua morte.
Salvatore e Pietro Locci-Marcello, figli del primo Salvatore e pertanto zii del Reggente Locci, diedero vita ad altri rami le cui notizie sono alquanto scarne. Ottennero i privilegi di Cavalierato e Nobiltà sarda con distinti diplomi in data 30 agosto 1700 dal Re Carlo II (quelli di Pietro ebbero l’exequatur il 23 dicembre 1700, mentre quelli di Salvatore l’11 gennaio 1701 - Reale Udienza, classe I, exequatur, vol. 17/2, busta 118 - 1695-1709, cc. 43, 44).
Il 10 gennaio 1700 il Conte di San Lorenzo Don Dalmazzo Sanjust ricevette dal Re di Spagna Carlo II la cartilla de armaçon spedita da Madrid per armare Cavaliere Salvatore Locci Marcello. Secondo il Diploma di Cavalierato, la cerimonia di armamento fu eseguita nel villaggio di Furtei, feudo del Sanjust, il 19 aprile successivo, come risulta dalla relazione firmata dal notaio pubblico Ignazio Spano. Qualcuno, in tempi recenti ha sostenuto essere questa famiglia di Isili, confondendo Salvatore Locci Marcello con l’omonimo nipote il Reggente, e definendolo di Furtei. Secondo il Canonico Cocco (11), uno degli zii del Reggente, Pietro, faceva il notaio ad Isili. Se fosse lo stesso Pietro Locci Marcello nobilitato nel 1700, ciò spiegherebbe perché talvolta la famiglia viene detta di questo centro e non di Esterzili. La spiegazione è questa: i due fratelli Locci da armare cavalieri abitavano ad Esterzili, in Barbagia; il Conte di San Lorenzo, che doveva procedere alla cerimonia di armamento, viveva invece a Cagliari e aveva già superato la cinquantina. La distanza tra i due centri era notevole ed era scomodo per entrambe le parti raggiungere sia Cagliari che Esterzili; d’altronde anche i fratelli Locci dovevano essere avanti con gli anni e perciò venne scelto un centro più o meno a metà strada per tutti, come lo era Furtei, feudo baronale del Sanjust che vi aveva casa, raggiungibile dalla Barbagia attraversando il Sarcidano e la Trexenta.
Lo stemma concesso loro è così descritto: “uno scudo quadrato nella parte superiore ed ovato in quella inferiore, di colore ceruleo, con due alberi chiamati uno cipresso e l’altro palma, sopra i quali si vede un uccello ad ali spiegate rivolto verso il sole; sopra lo scudo un elmo d’acciaio, chiuso, ornato di vari pennacchi e lambrecchini colorati (12)”.
Circa la loro discendenza non sappiamo molto. Un ramo, probabilmente quello discendente da Salvatore visse ad Esterzili per tutto il Settecento dove si estinse all’inizio del secolo successivo. Da una causa civile (13) risulta che nel 1769 i fratelli Don Giovanni Salvatore, Don Pasquale e Donna Rosa Locci del villaggio di Esterzili ottennero dalla Reale Cancelleria il permesso per poter vendere una casa nel Castello di Cagliari, sottoposta ad un fidecommesso fondato dal loro zio Rev. Don Salvator’Angelo Locci, rettore della parrocchia di Pimentel, con testamento firmato il 3 ottobre 1733 e ratificato con codicilli dei 10 e 13 dicembre 1738. Con questo testamento dispose che i mezzanelli della casa da lui posseduta nel Castello di Cagliari nell’allora calle de Colmenar (oggi Via Genovesi) servissero per abitazione ai figli di suo fratello Don Giovanni Antioco Locci e delle sue sorelle, chiamate Donna M. Giuseppa, Donna Caterina, Donna Petronilla, Donna Serafina e Donna Agostina, mentre si trovavano a Cagliari per gli studi. Col codicillo del 13 dicembre 1738 dispose che dai suoi beni i suoi eredi spendessero ogni anno 6 scudi per le feste di Sant'Anna e Santa Restituta che ogni anno si celebravano nelle rispettive chiese di Stampace. Dopo aver istituito vari altri legati pii, lasciò erede universale il sunnominato fratello Don Giovanni Antioco Locci e in sostituzione i suoi figli, con la clausola che in mancanza di discendenti da questo, succedessero i figli delle sue sorelle, e in mancanza anche di questi, lasciava tutto in legato perpetuo, a scelta del curato più anziano, alla parrocchia di Esterzili. Dispose inoltre un legato in denaro a favore dei suoi nipoti (sobrinos) Pietro Giuseppe e Bardilio Lobina. Appena seguita la sua morte, il suo esecutore e curatore testamentario avrebbe dovuto dare la libertà al suo schiavo cristiano nuovo chiamato Giovanni Delocci, al quale donava pure 50 starelli di grano, due gioghi di buoi domiti, 40 starelli di terre aratorie, il suo cavallo con la sella e gli attrezzi, il fucile (escopeta) e le due case terrene che comprò da Davide Mereu, con i loro due lobius e pertinenze, situate nel villaggio di Pimentel vicino alle altre sue case di abitazione. In forza di questo testamento, Don Giovanni Antioco Locci possedette la casa di Cagliari, insieme ad altri beni. Col suo ultimo testamento, ricevuto dal notaio Bachisio Antonio Moy di Esterzili il 7 luglio 1748 Don Giovanni Antioco istituì suoi eredi universali i propri figli Don Giovanni Salvatore, Don Ignazio Pasquale, Don Pietro Andrea, Don Antonio, Don Giovanni Battista, Donna Maria Orsola, Donna Anna e Donna Rosa Locci, disponendo inoltre che in caso di decesso di alcuno di essi senza figli, o morendo questi in età pupillare, si sostituissero ad invicem. Tutti i diritti ereditari erano quindi ricaduti, in forza delle disposizioni che precedono, sui suddetti Don Giovanni Salvatore, Don Pasquale e Donna Rosa, essendo gli altri fratelli tutti deceduti senza prole, ad eccezione di Don Pietro Andrea, che per essere frate francescano nei Minori Osservanti non poteva possedere beni.
A motivo di minacciar rovina imminente a danno dei vicini, si ordinò la riparazione della casa, con conseguente ricostruzione. A causa però delle grandi spese necessarie, e per non risiedere nessuno di loro in Cagliari, gli eredi Locci decisero di venderla per la somma di 500 scudi al Capitolo della Cattedrale di Cagliari, in modo da poter investire il ricavato nell’acquisto di qualche censo od effetto stabile e fruttifero da sostituire e vincolare a vantaggio dello stesso fidecommesso. La famiglia si estinse nei primissimi anni dell’Ottocento con la sunnominata Donna Rosa, che come i suoi fratelli non lasciò eredi diretti e fu l’ultima Locci a possedere i beni fidecommissari della famiglia. Col suo testamento del 1° agosto 1802 lasciò erede universale il marito Don Vincenzo Melis Ghiani d’Isili. Alla sua morte si aprì una lunga vertenza giudiziaria con i suoi cugini Lobina e Marcello, figli di due sorelle del padre, che si contendevano la successione ereditaria del fidecommesso. La successione al fidecommesso sarebbe dovuta spettare agli eredi Lobina, in quanto discendenti dalla maggiore delle sorelle di Don Giovanni Antioco e del Rev. Don Salvator’Angelo, secondo le disposizioni testamentarie di quest’ultimo, ma i magistrati ritennero valido il testamento di Donna Rosa – che era stato sospettato di falsità – e l’eredità passò ai fratelli di Don Vincenzo Melis, morto nel frattempo a Sardara nel 1804 senza successione.
Questa famiglia Locci non risulta compresa nell’Elenco nobiliare prefettizio di Carlo Felice del 1822. Altri Locci non inseriti nell’albero genealogico per mancanza di legami sono Don Pietro Locci che fu curato di Gergei nel 1771 e Donna Marianna Locci moglie di Giovanni Stefano Montixi, trasferitasi anch’essa a Gergei nel 1714, dove morì nel 1744. Data la vicinanza tra i due centri, è possibile che questi appartenessero al ramo di Don Pietro ritenuto stabilitosi ad Isili.
Gli altri fratelli Locci-Marcello, figli del primo Salvatore, che non vennero nobilitati, ebbero invece discendenza. Diversi furono notai e scrivani. Gian Francesco, il padre del Reggente, era il primogenito ed era già morto quando vennero nobilitati i fratelli, né il figlio ottenne il privilegio nobiliare in capo al padre, come avrebbe potuto fare se fosse stato ancora vivo, o alla memoria, come se vivesse, se avesse avuto altri fratelli da nobilitare.