LA CONCESSIONE DELLA “ GENEROSITA’ ” IN SARDEGNA

di Enrico Tola Grixoni*

Quando in Sardegna esistevano i Giudicati e sino alla conquista – de jure nel 1290; de facto, perlomeno per i tre quarti dell’Isola, nel 1323 – da parte dei Catalano-Aragonesi, non si parlava di nobiltà né di titoli nobiliari nell’accezione moderna (contrari a tale affermazione alcuni scrittori).
Non può negarsi che anche in epoca giudicale esistesse, in Sardegna, una classe di persone che, per censo, per importanti cariche loro affidate dal Giudice-Re, per potere familiare e cospicue alleanze parentali, dominasse sul resto della popolazione e fosse seconda soltanto alla famiglia regnante. Tale classe di persone, indicata impropriamente da taluni come “magnatizia” era formata dai nobili del Giudicato chiamati Majorales o anche Principales, vale a dire i maggiori, i più importanti.
Poiché i Majorales, per la loro eminente posizione economica, non dovevano occuparsi dell’esercizio di arti meccaniche, di norma non lavoravano e se qualcuno esercitava una professione era certamente scelta tra quelle comprese nelle arti liberali.
Dal momento che, in qualsivoglia contesto storico, è sempre esistita la Nobiltà comunque essa sia stata chiamata, si può individuare nelle famiglie dei Majorales la più vecchia espressione di Nobiltà sarda. Nobiltà originaria e naturale, non di concessione.
Col decadere dei Giudicati i Majorales andarono perdendo la loro importanza sia sociale che economica, talché all’avvento dei Catalano-Aragonesi, la quasi totalità di essi era ridotta a dei normali proprietari terrieri, talvolta neppure troppo abbienti o addirittura poveri, spesso superati per censo da altre famiglie un tempo in loro soggezione.
I conquistatori iberici non tennero certo in gran conto i vecchi Majorales, specie quelli dimoranti nei villaggi; fecero, anzi, del tutto per abbatterli definitivamente tranne giusto alcuni, ancora economicamente forti, che inglobarono nel loro sistema politico-amministrativo, pure senza concedere loro nienteche li elevasse al di sopra degli altri sardi.
Non appena gli Aragonesi ritennero di poter disporre della Sardegna come di cosa propria, concedettero beni, privilegi e feudi soltanto ad aragonesi e catalani, niente ai sardi che tenuti in concetto di sudditi ribelli (e non sempre erano in errore), erano visti con grande sospetto.
Le cose andarono un po’ diversamente con i notabili delle città e, particolarmente, con quelli della città di Sassari che vantava antichi privilegi sorti sin dall’epoca in cui essa si era data gli Statuti di libero comune.
Si è detto che la conquista si compì di fatto nel 1323, ma solo per i Giudicati di Cagliari, Gallura e Torres (Sassari); il Giudicato d’Arborea era ancora saldamente in potere della dinastia, ormai sarda, dei Lacon de Thory, Visconti di Bas, che non solo osteggiava gli Aragonesi contestando il loro diritto a regnare in Sardegna, ma li combatteva con aspre battaglie nelle quali il vessillo d’Arborea era spesso vittorioso.
Oltre a ciò vi erano alcune potentissime ed illustre famiglie liguri, quali i Doria (imparentati con la Casa d’Arborea), i Malaspina e gli Spinola, che detenevano in Sardegna vastissimi possedimenti terrieri muniti di castelli-fortezza, vere e proprie signorie feudali, le quali vedevano negli iberici una minaccia costante e pressante alle loro prerogative ed ai loro beni e, pertanto, non si risparmiavano nel fomentare ribellione e congiure atte a destabilizzare la potenza catalano-aragonese. Vi era inoltre, seppure meno impellente, la continua rivendica avanzata sui territori dell’ex Giudicato di Torres dai Conti di Donoratico quali eredi diretti della Regina Adelasia ultima signora di quel Regno.
A fronte di tutto questo grave stato di tensione e posto che i territori delle tre famiglie liguri, specie quelli dei potentissimi Doria, erano situati per la maggior parte nel Capo di Sopra dell’Isola, gli Aragonesi credettero saggia politica fare in modo di blandire e rendersi amica la città di Sassari che con il suo esteso circondario territoriale era troppo pericolosamente vicina al potente e ricco Regno di Arborea ed alle signorie doriane.
In un primo tempo furono almeno, furono confermati alla Città di Sassari gli antichi privilegi tanto difesi ed enfatizzati dai notabili cittadini e, ad alcuni di questi – definiti “sardos fideles” – furono affidati incarichi (invero non particolarmente importanti) che, di norma, venivano commessi esclusivamente a catalani o aragonesi.
Tale politica di blandizie, indubbiamente, diede i suoi frutti tanto è che nella prima metà del XV secolo, allorché gli Aragonesi – scacciati dalla Sardegna Malaspina e Spinola ormai ridotti nei loro meno accessibili possedimenti in Corsica – si ritrovarono nella necessità di abbattere definitivamente di Doria ancora potenti nell’Isola e sempre arroganti e pericolosi, nell’ultima e conclusiva battaglia, la espugnazione della fortezza e castello di Monteleone Rocca d’Oria (1432), molti notabili sassaresi (e non soltanto) combatterono sotto la bandiera d’Aragona dando prova di grande valore e fedeltà.
Tanta manifestazione di valore e di fedeltà non poteva essere ignorata dal Sovrano aragonese, il quale, forse obtorto collo, si vide tenuto ad elargire delle ricompense senza, peraltro, sostenere gravi sacrifici economici. E quale migliore ricompensa di quella di concedere in signoria personale (una forma di allodio), da tramutarsi magari in vera e propria signoria feudale, alcuni villaggi, più o meno spopolati, con territori annessi? Non vi erano forse i pingui e vasti beni sottratti ai Doria, dei quali, sino ad allora, nessun reddito aveva tratto il Sovrano, che opportunamente spezzettati potevano egregiamente servire alla bisogna? Così fu deciso e così fu fatto.
Ai tre fratelli Manca – il più vecchio dei quali, Giovanni, aveva già combattuto valorosamente per Aragona nelle guerre di Corsica (1420) e di Napoli (1421) – furono concesse nel 1436 le ville di Thiesi, Cheremule e Bessude in consignoria; ai fratelli Montañan (o Montagnano), dei quali Serafino – già Cavaliere nel 1420 durante la guerra di Corsica – fu il comandante delle milizie sassaresi nella presa di Monteleone Rocca d’Oria, il Re concesse in consignoria le Ville di Giave e Cossoine e poi quelle di Codrongianus, Bedos e Saccargia; a Francesco Saba che, oltre ad avere prestato ingenti somme alla Corona, aveva pure combattuto con valore, furono concessi il Salto di Quirchigio e le Ville di Sant’Antonio, Moruscos e Oristale; a Francesco Melone fu concessa la signoria della Villa di Pozzomaggiore; e così via.
Vi erano però anche altri illustri sassaresi che avevano combattuto o avevano concorso con il loro denaro all’ultima fase della guerra contro i Doria e anche questi si aspettavano una ricompensa cui conseguisse qualcosa di concreto: se non da redditi da territori, quantomeno franchigie, esenzione da certi tributi e privilegi in genere, così come ne godevano i nobili catalani e aragonesi e quei due o tre sardi già creati Cavalieri.
D’altro canto i nuovi concessionari di signorie territoriali ambivano a divenire signori feudali a tutti gli effetti, e poiché in Sardegna il feudo poteva essere concesso “more italico”, secondo il costume d’Italia, questi signori necessitavano di un preciso titolo di nobiltà al fine di godere pienamente del feudo e dei diritti ad essi connesso.
E’ proprio a questo punto che nasce quel particolare e specifico privilegio nobiliare sardo e, massimamente, del Capo di Sopra della Sardegna, chiamato “Generosità”, presto dimenticato e non più concesso, se non rarissimamente, dopo il 1498.
Il privilegio di Generosità (di presumibile estrazione catalana dove i nobili di maggior grado, non necessariamente anche feudatari, i “ricos hombres” erano detti anche “generosi”) si diversifica e dal privilegio di Cavalierato e da quello più tardo di Nobiltà Sarda, ma in qualche modo li compendia entrambi, pur essendo, certamente, privilegio più ampio degli altri due.
Il Cavalierato poteva essere concesso ad personam e moriva con il concessionario, e sono di tal tipo i primissimi e scarsissimi cavalierati concessi a sardi; poteva essere ereditario, come fu la grandissima parte dei Cavalierati concessi in Sardegna, ed in tal caso tutti i discendenti maschi del primo investito avevano il diritto di fregiarsi del titolo e di godere dei privilegi ad esso legati.
La Nobiltà Sarda, privilegio, come detto, assai più tardo e concesso di norma a chi già era Cavaliere Ereditario, dava il diritto a tutti i discendenti del primo investito, maschi e femmine, di essere qualificati dall’appellativo di Nobile Don e Nobile Donna (dal 1530 in avanti i Nobili di nuova creazione venivano privilegiati del doppio diploma di Cavalierato e di Nobiltà: si pagavano i diritti separatamente).
Il diploma di Generosità, più che una concessione, è un vero e proprio riconoscimento, appunto della generosità di sangue da cui il privilegiato discende e pertanto non è privilegio specificamente personale o interessante soltanto i discendenti del primo investito, ma si riflette su tutta la famiglia per cui ne traggono godimento, quantomeno, anche fratelli, con la loro discendenza, e sorelle (esclusivamente) dell’investito.
E’ quindi una dichiarazione con la quale il Sovrano riconosce la generosità, ovvero nobiltà del sangue della famiglia dell’investito contenente tutti i diritti, esenzioni, franchigie del doppio privilegio di Cavalierato e Nobiltà, ivi compresa la concessione dello stemma.
Si spiega così perché dei tre fratelli Manca solo Giovanni ebbe la Generosità, mentre il fratello Giacomo fu anche creato Cavaliere ed il terzo fratello Andrea non ebbe alcuna concessione personale e ciononostante poté godere dei feudi e partecipare ai Parlamenti quale nobile. Era anch’egli Generoso perché discendente dal medesimi padre e avo dei fratelli maggiori.
Egualmente può dirsi per i fratelli Montañan: Serafino fu Cavaliere Ereditario, suo fratello Guglielmo, con feudatario, fu Generoso; l’altro fratello Giuseppe, che pure ebbe feudi personali e ricoprì incarichi importantissimi, non risulta onorato di alcun privilegio, ma come nobile partecipò alle Cortes del 1421, presiedute dallo stesso Re d’Aragona Alfonso V il Saggio.
La Generosità venne concessa a diverse famiglie notabili sassaresi, o del suo immediato circondario, ed anche a famiglie già nobili venute da Aragona e Catalogna e stanziate nella Città di Sassari, alcune delle quali già privilegiate del titolo di Cavaliere Ereditario.
Sino al 1460 circa i privilegi furono concessi in numero discreto, se non proprio ragguardevole, poi sempre più raramente e per significativi fatti d’arme o politici.
Nel 1498 sembra sia stato concesso alla famiglia Satta quello che appare essere l’ultimo privilegio di Generosità. Certamente dopo tale data non risulta più alcuna concessione di tal tipo (si ritrova una conferma del 1508).
Le concessioni di generosità non furono, in sostanza, molto numerose proprio perché, attribuendo privilegi amplissimi, ponevano alcuni Sardi alla stregua dei più illustri hidalgos e ricos hombres d’Aragona e Catalogna. Nei secoli successivi al XV e sino a tutto il secolo XVII, i Sovrani spagnoli privilegiarono i Sardi esclusivamente con patenti di Cavalierato Ereditario o di Cavalierato Ereditario e Nobiltà Sarda. Continuarono, naturalmente, ad esser concessi feudi, more italico, con titolo di Signore, Barone, Conte e Marchese.
Carlo d’Asburgo, nel limitato periodo in cui la Sardegna fu sotto il dominio d’Austria e, poi, i Savoia si comportarono nella medesima maniera sino al 1848.
Allorché, nel 1720, la Casa di Savoia ottenne la sovranità del Regno di Sardegna, si manifestò la necessità di procedere ad una ricognizione della classe nobiliare dell’Isola anche al fine di evitare abusi.
I componenti il Tribunale del Regio Fisco Sabaudo – organo con competenza esclusiva in materia nobiliare, feudale ed araldica – sembra non fossero troppo versati nelle discipline che dovevano trattare ed infatti commisero diversi errori, fecero confusioni e perpetuarono equivoci.
Nel mentre non vi furono problemi relativamente alla ricognizione ed al legittimo possesso dei feudi, ne sorsero di grossi quando si tratto di constatare il possesso dei titoli di Nobiltà, separati dal feudo, quali quelli di Cavaliere, Nobile e Don, Generoso.
Il Regio fisco assunse delle decisioni quantomeno discutibili:

La Generosità, concessa sic et simpliciter, senza il conforto di altri titoli, venne equiparata al Cavalierato e quindi soltanto tale titolo poteva essere portato, ed esclusivamente dai discendenti diretti del primo investito; i discendenti dei fratelli del primo investito, da sempre trattati per Nobili Generosi, vennero privati del titolo e costretti, se credevano, a richiederne uno nuovo.
Se la Generosità era stata preceduta o seguita, nel primo investito o dai suoi discendenti immediati, dal titolo di Cavaliere Ereditario, allora la Generosità veniva equiparata alla Nobiltà Sarda e dava luogo alla qualifica di Nobile Don e Donna, ma esclusivamente ai discendenti legittimi e diretti del primo investito, quindi, anche in questo caso, vennero esclusi i discendenti dei fratelli del concessionario.
È evidente come molti furono gli scontenti che si appellarono al Supremo Tribunale della Reale Udienza per ottenere riconoscimenti legittimi, e quindi giustizia. Bisogno dire che la Reale Udienza rese quasi sempre effettivamente giustizia.
Un solo caso rimase insoluto e cioè quello riguardante quelle famiglie che furono insignite di tutti e tre i privilegi: Cavalierato, Generosità, Nobiltà Sarda. La Reale Udienza non commutò la decisione del Regio Fisco che stabilì di prendere in considerazione soltanto i privilegi di Cavalierato e Nobiltà, ponendo in non cale quello di Generosità, ritenendolo – chissà perché in questo caso – pleonastico, cioè un duplicato della Nobiltà Sarda che nulla di nuovo e di più poteva aggiungere.
Ma la Generosità era ben altro. Non per niente quei ricos hombres o generosi catalani che pure godevano di quel solo, ma importantissimo titolo, per il fatto di essere stati compañeros (cioè Comites) dell’Infante Don Alfonso nella sua prima spedizione in Sardegna nel 1323, furono tutti nominati o riconosciuti Conti.
Una volta di più la Sardegna, pur valorosa e sostanzialmente fedele ad Aragona prima, alla Spagna poi, si vide usata, ma non ricompensata.