Testamento di Vincenzo Anastasio Amat Amat

Vincenzo Anastasio Amat Amat, figlio di Giovanni Amat Manca e di Eusebia Amat Vico, nacque a Cagliari il 27 aprile 1790. Nel 1809 è comandante di compagnia del battaglione di Fanteria provinciale col grado di Luogotenente delle Regie Armate.
Nel 1812 è Cavaliere di Giustizia dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro di cui nel 1835 diventerà Commendatore. Nel 1821 è nominato Gentiluomo di Camera del Re Vittorio Emanuele I. Capitano Generale della cavalleria miliziana del Regno di Sardegna nel 1827 e dal 1827 al 1833 Prima Voce dello Stamento Militare Sardo, stante la minore età del Marchese di Laconi.
Nel 1836 capitano generale della fanteria della cavalleria di Sardegna, fu nominato nel 1848 fu nominato Senatore del Regno dal Re Carlo Alberto.
Sposò il 22 dicembre 1811 la cugina Emanuela Amat di Villarios ed ebbe otto figli. I suoi feudi furono riscattati nel 1839 per la somma di lire sarde 273.777, 11.8 pari a lire nuove piemontesi 526.652,96.
Fu il primo ordinatore dell'archivio Amat di San Filippo, ora archivio Amat.
Morì a Cagliari il 7 dicembre 1869.

 

Testamento segreto di me sottoscritto Vincenzo Amat Barone di Sorso, nativo e domiciliato in questa città di Cagliari.

In nome della Santissima Trinità, Padre Figliolo e Spirito Santo.

La certezza della morte, e l'incertezza del momento, che a Domine Iddio piaccia a mandarla, mettono il Cristiano Cattolico nel dovere di profittare del tempo che gli accorda per palesare la sua ultima volontà, e disporre dei suoi beni, acciò in quelli ultimi momenti della vita non debba essere occupato d'altro che del suo ultimo fine. Io adunque approfittando di questa grazia che il Signore mi accorda, trovandomi sano di mente, e di corpo, quantunque molestato da frequenti incomodi, volendo palesare alla mia famiglia la mia ultima volontà, e ciò che voglio venga eseguito dopo la mia morte faccio perciò il presente mio Testamento disponendo e testando come in appresso. In primo luogo dichiaro di voler morire Cattolico Apostolico Romano, come per grazia di Dio sono vissuto, raccomandando l'anima mia al Signore, pregandolo, che per i meriti del prezioso Sangue, passione e morte dell'Unigenito suo divino Figliolo Signor nostro Gesù Cristo, della Santissima Vergine Madre Maria, e di tutti i Santi, ed Angeli del Cielo, si degni perdonare i miei peccati, e ricevermi in seno alla sua misericordia.
Voglio che il mio corpo, fatto cadavere, venga subito custodito da due Religiosi Sacerdoti Cappuccini, sino all'ora della mia sepoltura; che il medesimo non venga messo nella cassa prima delle trentasei ore, e che non sia seppellito sino a che siano passate le quarantotto ore, salvo che il medesimo dasse segno di corruzione, e ciò attesa la natura del male abituale che soffro; che la mia sepoltura sia senza pompa alcuna; che sia accompagnata dalle sole Comunità Religiose di questa Città; che il mio cadavere sia portato da quattro Cappuccini; che a questa Comunità si dia, oltre la lemosina solita, una candela di tre in libbra ad ogni Religioso; che il mio Baule non abbia altro fodero che la coperta che suole dare in affitto la Parrocchia; e che due servi di Casa vadano al fianco del baule con due torcie ad accompagnarlo, non abbandonandolo sino a che sia sepolto.
Voglio inoltre che appena seguìta la mia morte siano fatte celebrare dai miei figli cinquecento messe basse, duecento delle quali voglio siano date ai Cappuccini, al più presto possibile, dando la limosina di un franco cadauna, oltre una cantata in terno, nella Cappella del Campo Santo-corpore praesenti- prima della sepoltura; e voglio che in questa chiesa delle Monache Cappuccine vengano annualmente celebrati due Anniversari, con dare scudi tre per cadauno, uno nel giorno in cui sarà accaduta la mia morte, e l'altro in quello che è accaduta quella della fu mia moglie, Donna Emanuela Amat, e questi perpetuamente, finché non piaccia a loro scaricarsene nel modo che meglio crederanno, purché sia sicura l'esecuzione di questa mia volontà.
Voglio prima ed avanti ogni cosa, che sieno subito pagati, nel caso non lo sieno stati ancora da me, al Barone Teulada mio nipote, li scudi sardi due mille, che mi prestò, come altresì sia subito pagato, se mai restassi debitore per la sua procura che tengo, mio fratello Cardinale Amat, il che si dedurrà dalle pezze, e Conti che ritengo; e se mai si trovasse qualche altro mio debito giustificato, il che non credo, sia parimenti subito pagato.
Lascio a Pasquale Orrù, mio cameriere, a titolo di Legato, sua vita durante, Scudi Sardi tre al mese per il fitto di casa; come ancora i vestiti e robe di lingeria di cui io facevo uso, volendo che queste robe sieno sole quelle che giudicheranno i miei eredi, senza che lui possa elevare dritto né pretensione alcuna a tal riguardo.
Lascio a titolo di Legato, al mio carissimo figlio Don Giovanni Amat, la Casa che possiedo in Piazza San Pancrazio (nota: L'attuale palazzo di Via Lamarmora, 138), libera e franca di ogni peso, con quanto vi è annesso, tal quale la possiedo, e che comprai dal Marchese di Villarios in prezzo di Scudi Sardi otto mille, perché sua vita durante ne goda l'usufrutto, e dopo la sua morte ne lascio la piena proprietà al suo figlio mio nipote Vincenzo Amat Quesada; come parimenti, ed ad egual titolo, nello stesso modo gli lascio la Vigna che posseggo nella regione di is Telladas, detta di San Pietrixeddu, con tutti i suoi annessi e connessi, compresavi la Chiesetta dirimpetto: qual vigna acquistai parte dal Sig. Giovanni Roccati, e parte dal Sig. Rettore Vulpes per il prezzo di Scudi Sardi quatto mille e duecento, e quanto in essa vi esisterà si di frutti, che di legnami, e di arnesi, e quanto in essa si troverà, dichiarando che su detta Vigna vi sono le annuali pensioni di Scudi Sardi cinquanta al Marchese di Valverde, Scudi sette alla Confraternita di Santa Catterina dei Genovesi, e Lire nuove Centro allo stesso mio figlio Giovanni che mi diede quel capitale per fabbricarvi la maccina delle Ulive, con stromento rogato Bande, che non calendo per non aver presente la momento la data; e siccome tal fabbrica non fu da me eseguita, anzi vendetti detta Maccina, così voglio che non abbia niente a pretendere dalla mia eredità, né per quel capitale, né per gli altri annuali pesi sovra espressi, che gravitino sulla medesima.
Lascio parimenti a titolo di Legato allo stesso mio figlio Giovanni Amat, tutti i buoi di lavoro che si troveranno nelle mie case di campagna di Ussana e Mugori, come anche tutte le vacche che tengo in Ussana e in San Pantaleo, e le Cavalle rudi che ora porta il Basone Nicolò Agus, e tutto quanto nella Casa di Ussana esisterà di mia pertinenza, tanto di mobilia, come di qualunque altra cosa, che per qualsiasi altro uso possa servire, ad eccezione dei frutti Cereali che si trovassero raccolti, mentre in tal caso voglio che li si lascino stare starelli duecento grano, cento di fave e quaranta d'orzo, e se non fossero rinchiusi ed ancora nella terra, se ne diano simili quantità di cereali alla raccolta, la cui spesa dovrà farsi dalla mia eredità.
Lascio del pari a mio nipote Vincenzo Amat Quesada, a titolo di Legato, le Lire nuove dieci mille che con stomento delli venticinque Settembre 1852, rogato dal fu notaio Salvatore Bande, diedi al mio fratello Don Giuseppe Amat con ipoteca della casa grande che possiede nella Strada dei Cavalieri, e questo voglio sieno impiegate nella sua educazione.
Allo stesso titolo di Legato, lascio a tutti i miei carissimi nipoti figli di mio figlio, e figlie, nati e che nasceranno prima della mia morte, nessuno escluso una sola volta tanto, Lire nuove cento a cadauno: a Gabriella De Magistris però voglio che se ne le diano duecento.
Dichiaro che avendo già fatto con detto mio figlio Giovanni Amat, con stromento rogato dal fu notaio Salvatore Bande, sotto li quindici decembre 1848 la divisione dei Fedecommessi e vincoli primogenitali, cui erano soggetti i miei Beni, come anche delle Cedole del Debito Pubblico del compenso feudale, così non va più soggetto a scorporazione alcuna la mia eredità per tale oggetto (…)
Dichiaro io testatore d'aver con queste mie disposizioni lasciato sufficientemente a cadauno dei miei sei figli, per aver seco loro abbondato fino a far avere pressoché il doppio di quella porzione che sarebbe potuta spettargli per legittima onde è che conoscendo la mia figliolanza, mi riprometto che saranno per conservare col mio decesso lo stesso amore, e l'istessa pace che ebbero nella mia vita. Se però alcuno vi fosse, che secondando malevoli consigli, si lasciasse sedurre a turbare la tranquillità, e pace in famiglia, ed osasse muovere liti per impugnare in tutto o in parte quanto io avessi fatto, e disposto, voglio che per questo solo fatto, quello, o quelli decadano da quanto io avessi a questo, o questi lasciato, oltre la legittima, e questo di più lasciato, accresca tutti gli altri miei figli che avranno ottemperato a quanto io ho disposto, per eguali porzioni. Questa disposizione relativa ai figli e eredi si intenderà estesa anche ai rispettivi discendenti sostituiti, ove abbia luogo la sovrascritta sostituzione, essendo tale il mio volere (…)
Questa è l'ultima mia volontà, ed il mio Testamento, con il quale annullo, e revoco per intero qualunque altra mia precedente disposizione. Raccomando ai miei figli la puntuale osservanza di quanto ho disposto, il santo timore di Dio, e finalmente la continuazione della pace, e della perfetta armonia fra essi; ed avendolo qui io stesso scritto di proprio pugno, letto, e riletto, l'approvo, e confermo, e sottoscrivo.

Cagliari 29 novembre dell'anno del Signore milleottocentocinquasette.
Vincenzo Amat Barone di Sorso.