Mia sorella Ottavia
di Peppina Sanjust De Magistris (n. 1845-)
Ai miei carissimi nipoti Enrico e Luigi Amat di San Filippo ed alle loro sorelle.
Eravamo a Milano quando venne al mondo. Mio padre era
Tenente Colonnello dei Carabinieri Reali. Mio nonno, il Barone di Sorso volle
si chiamasse Ottavia perché era ottava fra noi I nostri ottimi genitori
avevano già sette figli. Dovevano tenerla al Sacro Fonte il M.se di Santa
Croce e sua moglie, la nostra cara zia Javotte sorella di nostro padre, ma lo
zio Carlo fu colpito al momento della sua partenza da un grave malore, non so
se perniciosa o pleurite che gli tolse la vita in due o tre giorni, e con nostro
sommo dolore, ricevemmo in luogo della cara aspettata visita, la dolorosa notizia.
Non posso ricordare chi ne abbia fatto le veci, ma credo la contessa Francesca
De Magistris di Castella, sorella di mamà, che assieme a sua figlia Gabriella
si trovava a Milano, venute da Torino per la circostanza. Il padrino fu forse
mio fratello Enrico, allora giovinotto, ma non lo ricordo. Fu battezzata nella
nostra parrocchia di San Marco col rito Ambrosiano così diverso dal Romano
nelle cerimonie. Le furono imposti i nomi di Ottavia, Maria, Giuseppa, Galla,
Gabriella. Il calendario segnava il nome di San Gallo, e Gabriella chiese il
favore le fosse imposto il suo nome.
La nostra piccola Ottavia divenne subito la beniamina di tutti, ma specialmente
di Papà e di Enrico che l'adoravano. Veramente mai bambina meritò
meglio di lei le carezze della famiglia e fin dai suoi primi anni dimostrava
un ingegno svegliatissimo. Eravamo lontani dal nostro paese e dai nostri parenti,
ma ci bastavamo fra noi. L'amor filiale non mi acceca, nostro Padre e nostra
Madre erano modelli di ogni virtù, non vivevano che per noi, ma erano
nello stesso tempo perfetti educatori.. Fra noi fratelli e sorelle era il più
perfetto accordo ed il più vivo affetto malgrado la grande differenza
di età. Riconoscevamo tutti la superiorità di Enrico, che aveva
tutta l'ammirazione del suo piccolo mondo. Eravamo felici. Ad intorbidire il
nostro cielo scoppiò la guerra del 1866, il Papà seguì
re Vittorio Emanuele secondo facendo parte del suo Stato Maggiore. Non so descrivere
la nostra ambascia. Mia madre, vera donna forte secondo lo Spirito del Signore
ci nascondeva la sua. Sola a Milano, con sette figli dei quali tre in tenera
età (Enrico era allora in Pavia per i suoi studi) col pensiero angoscioso
del marito in guerra ed il pericolo di una discesa su Milano del nemico che
avanzava sull'Istelvio, rifiutò l'affettuoso invito di suo Padre che
la voleva in Sardegna con tutti noi e ciò per non allontanarsi troppo
da suo marito del quale a Lilano aveva notizie quasi ogni giorno. Come erano
aspettate quelle lettere datate da Torre dei Malamberti (?). Quando a Dio piacque
fu firmato l'armistizio e poi la pace. Partimmo per Padova dove risiedeva il
Re col suo Stato Maggiore. Papà ci venne incontro fino a Ferrara. In
quella circostanza Ottavia fu svezzata, aveva 20 mesi. Ricordo che nel lungo
e faticoso viaggio fu molto cattiva, con grande mortificazione di papà
trovandosi in un grande vagone assieme a generali, colonnelli, ministri e che
so io. Abbiamo traversato Rovigo le cui fortezze smantellate fumavano ancora.
L'esercito era accampato lungo la strada di Pontelagoscuro ove abbiamo anche
noi traversato il Po sovra ponti di barche sul quale giorni prima nostro Padre
aveva diretto il passaggio delle truppe e che lui stesso aveva fatto costruire
il che gli valse la promozione a Colonnello e l'incarico di fondare nel Veneto
la Legione dei Carabinieri oltre la Croce di Commendatore. Le Ferrovie erano
distrutte onde il nostro viaggio fino a Padova fu disastroso, ma eravamo felicissimi
di essere ricongiunti a nostro padre. Mi sono allontanata dal mio compito, ma
siccome questo scritto è destinato ad essere letto più tardi dai
figli vostri è bene che sappiano di quali virtù fossero adorni
i loro Bisavoli.
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Dopo tre mesi passati a Padova ed una settimana
a Venezia ove ebbimo la fortuna di assistere all'ingresso di Re Vittorio Emanuele
e delle truppe, al delirante entusiasmo dei Veneziani, spettacoli stupendi e
indimenticabili, essendo stata eletta a sede della Legione Verona, siamo partiti
per quella cara città.
Nei felicissimi quattro anni che abbiamo passato in Verona, noi tre grandi abbiamo
cominciato ad andare nel mondo. Avevamo varie amiche ed eravamo ricevute con
molto affetto. Le tre piccole cominciavano la loro educazione. Ottavia fin d'allora
mostrava un ingegno vivace e non ordinario. Ricordo che Enrico componeva e scriveva
delle piccole commedie nelle quali essa aveva la sua parte in dialetto milanese,
sola lingua che ha parlato fino ai sei anni, il che fece si che in casa fosse
chiamata Meneghin e per abbreviazione Ghin. Il pubblico era composto dai nostri
genitori e dai domestici.
Più tardi Emanuella sposa il conte Antonio Cartolari e dopo un anno ebbimo
il dolore di lasciarla a Verona col suo ottimo marito e con un bambino di un
mese.
A Napoli le tre sorelle minori compirono la loro educazione e la loro istruzione,
avevano un buon maestro, il signor Salvatore Parilli di Castiglione Salernitano,
che facevano però disperare tutte una maestra d'inglese M. E. F. Grimerwood
ed una di ricamo, donna Concetta. Inoltre un maestro di disegno ed uno di pittura
all'olio il Cav. Angelo Volpe autore dei ritratti di papà e mamma. Nostro
Padre e nostra Madre non badavano a sacrifizi per la nostra istruzione e quando
vi penso non posso capire come abbiano potuto fare tanto, e sento crescere per
essi la mia ammirazione e la mia riconoscenza.
Maria che aveva cominciato a Verona lo studio del pianoforte coll'ottimo maestro
Pedrotti e aveva fatto progressi meravigliosi per la sua età, continuò
a Napoli con un concertista di vaglia il maestro Guglielmo Nocciaroni. Io ebbi
a Milano un buon maestro di canto Professore del Conservatorio il buon Treves.
A Napoli Ottavia piena d'ingegno sebbene piccola bambina prese a scrivere un
giornalino con la collaborazione di Maria e di Annetta.
Era graziosissimo," usciva" ogni sabato e conteneva poesie alcune
delle quali proprio belline, piccoli articoli di letteratura, traduzioni dal
francese ed anche qualcheduna dall'inglese come L'orologio della scala di Longfellow.
Vincenzo Manca allora Ten. Col. dei Carabinieri e nostro parente se ne divertiva.
L'ammiraglio Lovera di Maria non mancava mai di venire il sabato sera a prendere
la sua copia essendo, come diceva lui "abbonato". Un altro abbonato
era Casimiro che essendo venuto a trovarci a Napoli se ne era tanto interessato
che se lo faceva mandare a Cagliari ogni settimana, anzi ricordo che scrisse
per Ottavia una poesia in lode del giornaletto, ma non ho potuto trovarla. Le
mie tre minori sorelle avevano oltre l'ingegno pronto e vivace una fervida immaginazione.
I loro giochi erano tutta una storia. Erano Peppa, Pancrazia e Madametta tante
avventure di questi tre personaggi, che avevano parecchie dozzine di gigli tra
i quali, nella mia memoria restano solo Bio e Vira, i quali vennero fino a Cagliari,
ma
vuotati delle loro interiora di crusca.
A Napoli si sposarono la nostra angelica Catterina e Maria, e si fidanzò
Enrico. Tutti e tre venivano a stabilirsi a Cagliari, il che spinse nostro Padre
a chiedere le sue dimissioni e ritornare in Patria dopo un'assenza di sedici
anni. Poco dopo il nostro ritorno si sposò anche Annetta. Ottavia giovinetta
continuò ad essere la nostra prediletta e la fedele e affettuosa compagnia
ed il conforto di nostra Madre quando la morte del nostro dilettissimo e santo
Padre ed il mio matrimonio la lasciarono sola con lei sebbene in casa di Enrico
e circondata di affetto da lui e dalla sua buona Maria e dei loro figlioli specialmente
di Matilde che cominciava ad essere una giovinetta.
Quando il Signore chiamò a Sé quell'angelo di Catterina, vostro
padre l'ottimo Vincenzo che tanto l'aveva amata, si trovò solo ed infelicissimo
padre di nove bambini tra i quali Luigi aveva venti mesi, Adelaide venti giorni.
Passati i primi tempi di desolazione, comprese la necessità di dare un'
altra madre ai suoi figli, e da savissimo quale egli era, pensò che solo
la sorella della loro Mamma poteva rimpiazzarla presso di essi; vostra Nonna
che vi amava teneramente approvò la scelta e si privò della compagnia
dell'unica figlia che le rimaneva, per dare a voi una seconda madre.
Quello che essa sia stata per voi, lo sapete meglio di me; quanto vi abbia amati,
forse essa sola lo sapeva, ed io in parte, ma quello che voglio dire è
che siete stati tutti per lei veri affettuosi ed amorevoli figli. In quanto
ad Enrico tu sai che madre fosse per te, suo tesoro, suo diletto, suo amico,
e di questo amore ti ha amato, ti ama, e ti amerà in eterno.
Peppina Sanjust De Magistris