Enrico Sanjust di Teulada

Enrico Sanjust di Teulada, nato a Cagliari nel 1846 da Ignazio e da Caterina Amat dei Baroni di Sorso, svolse l'attività di avvocato e fu eletto numerose volte quale amministratore comunale.
Oltre a guidare diverse associazioni cattoliche, fu animato da una grandissima passione per il teatro che lo portò a svolgere l'attività di critico e a dar vita ad un archivio che "possiede una tale rilevanza culturale che non è azzardato dire che senza di esso sarebbe assai arduo ricostruire la vita teatrale e artistica della città di Cagliari" (Cagliari e i suoi teatri: il Fondo Amat-Sanjust, Bullegas).
Sposatosi nel 1877 con Maria Amat di San Filippo, ebbe nove figli. Morì nel 1934.
Le lettere che presentiamo sono state scritte nel 1860 e 1861 quando Enrico andò a studiare al Collegio Convitto dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Torino.

9.3.1860

"Mia ottima Madre (…) vorrei pregarla, ottima mamma, di un favore che mi sarebbe tanto tanto grato. Ho saputo che a Cagliari v'è il fotografo quindi subito mi si è destato tosto un grandissimo desiderio d'aver il suo ritratto; io desidererei come se lo può ben pensare, d'aver quello di tutti, ma non voglio essere indiscreto, quindi mi contenterò del suo. Non le so descrivere quanto caro mi sarebbe questo regalo. Spero che non vorrà negarmelo…"

3.5.1860

(lettera in occasione della morte di Caterina Amat di Villarios, madre del babbo di Enrico).


"Se essi non pigliavano la penna per iscrivermi che a malincuore, non fu minore il mio dolore dopo aver letto la loro lettera. Un pensiero consolante però venne a ritenermi le lagrime e ad empirmi di consolazione: ed è che quasi sicuramente ella già era in cielo a godere con gli angioli nel seno di Dio, la ricompensa che il Signore ha promesso a chi lo avrà amato e fedelmente servito (…)"

20.10.1860

Resoconto di un viaggio.


"(…) lasciato il Capo Corso, che volete vedere? Il bastimento ora si precipitava in fondo e riempivasi d'acqua, ora saliva in alto, ora pendeva da una parte ora da un'altra e di quando in quando colpi di mare gli battevan sopra con tal forza che pareva si sfasciasse. A me disgraziatamente mi venne foglia di fare pipisci, come fare, come non fare, non vi erano orinali, il comodo era sul ponte e prima di giungervi ne avrei cacciato le trippe. Lo dissi a papà, egli mi disse di attendere (…).
Bisogna sapere che quei soldati quando faceva quel mare ad ogni momento lanciavano bestemmie secche, non si sentiva altro che bestemmie. Papà mi disse che ogni volta che intendessimo bestemmiare dicessimo: "Dio sia benedetto", noi lo facemmo sicché abbiamo detto più "Dio sia benedetto" in quel viaggio che non forse in tutta la nostra vita (…) Noi speravamo che inoltrandoci verso terra avrebbe diminuito il furore del mare, ci ingannavamo cresceva sempre più talché il mare ci portò via non so che d'una ruota che fu tosto rimpiazzata con tavole.
Finalmente all'una di sera arrivammo a Genova (…)"

18.12.1861

"(…) Non saprei esprimere loro quanto piacere mi arrecarono le loro fotografie. Oh quanto sono somiglianti! Le assicuro che non potevano farmi regalo più gradito. Di tanto in tanto ne' tempi liberi le guardo e mi sembra di vederli parlare. Papà con quell'aria tutta sua propria, mamà con quell'aspetto fiero ma dolce, la gigantesca Peppina con quell'aria posata; l'aspetto sentimentale di Emmanuela, quel faccino rotondo di Caterinedda, e il terribile sguardo del topigeddu tutto mi fa parere di essere in mezzo a loro.
(…)Mi dico con tenero affetto
Loro Aff.mo Figlio
Enrico